Blog / Sandokan | 01 Novembre 2012

Il diario di Sandokan

Commenta in Lettere

2 giugno 2012

@donGianpaolo!!!! Bentornato. Per un attimo avevo temuto. Questa discussione stava diventando come una puntata di Anno Zero dopo le dimissioni di Berlusconi. Mancava uno che stesse dalla parte del torto!
2 giugno 2012
Caro @donGianpaolo, mi dispiace deluderla ma non sono Sandokan. Mi sono presentato così per paura, paura delle donne. Ma ha visto quante femmine in questo blog! A casa mia sono tutte femmine: che casino. Adesso che sono qui ai giardinetti e Tarzan sta sull’altalena mi è venuta voglia di scrivere sul blog. 

Chi è Tarzan, dice lei? E’ il fidanzato di mia figlia. E’ il suo uomo, come dice lei. L’ha conosciuto in Africa e ce l’ha portato a casa l’anno scorso. “Guarda papà, non è bello? Sapessi com’è intelligente! L’ho capito subito quando l’ho visto che si arrampicava sugli alberi. Con lui mi sono realizzata, mi sento me stessa”.

Dopo qualche giorno da quella prima conoscenza mi son preso di coraggio e ho deciso di fare due chiacchiere con mia figlia. “Ma sei sicura che è intelligente? In questi giorni l’ho sentito soltanto ruttare!”. “Papà, come sei insensibile. Non sai mai andare oltre le apparenze. E’ vero, rutta. Ma dietro quel rutto ci sono sofferenze inimmaginabili, tante delusioni, solitudine …”. Ho provato a buttarla sul ridere: “Non sarà cattiva digestione?”. Si è messa a piangere: è priva di senso dell’umorismo! Mia moglie mi ha immediatamente rimproverato: “Tu non capisci niente: sono così felici. A mia madre piace moltissimo”.

E’ un anno che Tarzan è in giro per casa. Devo dire che un po’ comincia a farmi pena. E’ felice solo quando mia moglie e mia figlia vanno dal parrucchiere, a coltivare il loro mondo interiore. In quelle occasioni ne approfitto e lo porto a giocare ai giardini pubblici. Sembra un bambino.

Devo scappare: forza @donGianpaolo.
4 giugno 2012
Non vorrei aver trasmesso un’idea sbagliata di Tarzan, mio genero. E’ vero, uso la sua attitudine a “ruttare” e ad “arrampicarsi sugli alberi” per fare battute di spirito ma sto imparando a volergli bene. Mi sembra meglio lui di qualche persona di mia conoscenza che usa il corpo semplicemente per trasportare la testa. Avete presente questi tipi? Portano in giro la loro intelligenza con la stessa solennità con la quale i sacerdoti portano in giro il Santissimo Sacramento nel giorno del Corpus Domini. Parlano soltanto di argomenti “importanti”. Ma questi argomenti di cui parlano sono importanti perché se ne occupano loro oppure se ne occupano loro perché sono importanti?
A Tarzan invece la testa serve per capire che uso fare del proprio corpo.
Beh, certo, non fa grandi discorsi anche se ha imparato qualche parola d’italiano: merito di mia figlia che lo vuole addomesticare. Ad oggi l’unica parola che pronunzia correttamente è “aiuto”. Sa dire aiuto, ma non sa a chi dirlo!
Una sera l’ho sorpreso a leggere un quaderno di poesie. Mi sono avvicinato senza fare rumore e mi sono accorto che in realtà non leggeva: guardava le figure. Il quaderno era mio ma non era mia la poesia: l’avevo copiata da un libro. Ci avevo aggiunto un disegno di una giraffa e lui guardava il mio disegno. 
Avevo provato a leggere questa poesia a tante persone, ma nessuno era rimasto “steso” ascoltandola. Così l’ho scritta sul mio quaderno. Fa così:

 La giraffa ha il cuore/
Lontano dai pensieri
/Si è innamorata ieri
/E ancora non lo sa.


Questo fatto che esiste chi è innamorato senza saperlo mi commuove. Finalmente avevo scovato un ammiratore inatteso. Beh … forse avete ragione … forse a lui piaceva soltanto il disegno. Ma a me bastava. 
Ho pensato questo: ha bisogno di trovare qualcuno a cui piacciano le giraffe. Come potevo aiutarlo? In città non ci sono molti tipi del genere: non c’è neanche il giardino zoologico. Sapete che ho fatto? Sono andato in edicola a comprare un dvd sulle giraffe – di quelli del National Geographic – e ci siamo messi a guardarlo assieme.
5 giugno
Jane, la mia unica figlia, è un tipo interessante. Me la ricordo da bambina. Le piaceva ritagliare i personaggi dei suoi cartoni preferiti e costruire attorno ad essi nuove storie animate. Trovavamo questi ritagli dappertutto. Sopra ogni cosa preferiva le sirene, le fate, le principesse.
Da adulta, in fondo, non è poi così cambiata: per le sue storie utilizza personaggi in carne ed ossa. Ha con il suo mondo lo stesso rapporto che ha un regista con i personaggi di una scena che deve rappresentare. Si aspetta che rispettino il copione e, se non lo fanno, assume nei loro confronti un tono di rimprovero, di accusa. E’ intelligente e, naturalmente, non abusa del suo prossimo. Si aspetta però, per una sorta di istinto che non saprei se definire di genere, che gli altri si accorgano di essere fuori ruolo. Non vuole correggere, vuole ammirare. Vuole che tutto sia come deve essere.
Devo ammettere di aver pensato, inizialmente, che il suo amore per Tarzan dipendesse dal fatto che lui non ha storia. Cioè, non esiste persona che non abbia storia quindi anche Tarzan ha la sua, solo che è una storia piccola, semplice, il minimo indispensabile. Era l’attore ideale.
Non è completamente vero che sia priva di senso dell’umorismo, come ho detto prima per fare lo spiritoso. Sospetto che usi frasi del tipo “questo è il mio uomo” per farmi innervosire perché sa che frasi del genere io non le sopporto.
Le prime volte che usciva con qualcuno le domandavo sempre: “chi è il padre del tuo amico?”. Ogni tanto me lo ricorda sorridendo. E’ vero, non mi interessava tanto avere informazioni sul suo accompagnatore: volevo conoscere la sua storia. E’ rassicurante sentirsi parte di una storia.
Lei invece voleva essere l’inizio della sua storia, la sua storia la voleva generare.
Quel poco di senso dell’umorismo che possiede lo ha ereditato da me. L’ironia per me è un fatto istintivo. Non la adopero per offendere anche se qualche volta qualcuno si è offeso per certe frasi uscite dalla mia bocca. Penso che renda le relazioni più leggere (se avete letto Calvino sapete cosa intendo), più discrete. Ho cominciato a usarla con le donne, come arma di difesa. Le donne hanno la straordinaria capacità di iniziare una conversazione parlando con te e di finirla parlando di te. Tu leggi, tanto per fare un esempio, la poesia sulla giraffa a una donna e lei comincia a dirti quanto sei sensibile (o insensibile), profondo (o superficiale) … e poi inizia a paragonarti a questo o a quello.
Vorrei fare un piccolo esempio in proposito su un fatto che sarà capitato a tutti: passeggi per strada e incroci una bella ragazza. In passato mia moglie era solita osservare il mio comportamento che, solitamente, era controllato. Poi, non contenta, mi interrogava: “Ti piace quella ragazza?”. Qualche volta ho risposto di “sì” … e diventava malinconica, qualche volta ho risposto di “no” … e si arrabbiava. Un giorno, davanti a uno spettacolo degno di grande ammirazione che non potevo non aver visto, risposi così: “quale ragazza?”. Lei si mise a ridere e da allora ogni volta che ci capitano incontri del genere ci guardiamo e sorridiamo.
Ormai l’ironia è diventata per me una necessità. Mi fa ridere, ad esempio, leggere nei vostri post frasi del tipo “ok Sandokan …” oppure “mi piace Sandokan quello che scrivi …”. Penso che questo nome, Sandokan, aiuti ad alleggerire le conversazioni. In fondo essere in disaccordo con Sandokan non è poi così grave. E poi, anche se alcuni tra voi fossero d’accordo con lui, non potrebbero citare le sue opinioni nelle conversazioni da salotto: non potrebbero dire “Sandokan dice che …” senza generare una risata. E io non voglio che gli altri ridano di voi.


6 giugno


Sono completamente incapace di parlare “del più e del meno”. Lo sento come un mio limite.
Una persona può entrare d’improvviso nella vita di un’altra parlando di “giraffe con il cuore lontano dai pensieri”? Non sarebbe meglio iniziare con frasi interlocutorie del tipo: “piacere di conoscerti”, “ti piace la festa”, “che caldo che fa oggi”, “per che squadra tifi?” o anche “non ci siamo visti da qualche parte?”. Queste frasette so dirle anch’io però dopo averle dette – non so se riesco a spiegarmi bene – è come se non sapessi come continuare.
Se avvii una conoscenza parlando di giraffe invece, dopo la sorpresa iniziale, tutto si semplifica: o il tuo interlocutore scappa oppure si ferma … e comincia anche lui a parlare di giraffe. E vi ritrovate soli in mezzo a un mare di persone che “ha piacere di conoscervi” ma che non ha piacere a parlare di giraffe con voi.
L’ultimo anno di liceo l’insegnante di storia decise di assegnarci alcune ricerche sulla “Questione meridionale”. In quell’anno Garibaldi era in cima ai miei pensieri. Lo stesso anno conobbi quella che ora è mia moglie, mi innamorai di lei. Ricordo molti nostri colloqui in cui lei mi parlava della sua vita e io le parlavo di Garibaldi. Deve aver pensato a me come un soggetto da curare. Anche molto tempo dopo, quando lei mi guardava che stavo lì, in silenzio, senza far niente mi domandava: a che cosa stai pensando? A Garibaldi ?
Mia moglie vuole conoscere i miei pensieri, lei non è come la giraffa … il suo cuore e i suoi pensieri sono vicini. 



7 giugno


Ogni tanto mi sforzo di rivelare a mia moglie i miei pensieri, provo a rispondere alle sue domande, a spiegare il motivo per il quale ogni tanto mi arrampico sul mio sicomoro. Ma lei, ormai lo so, non chiede per curiosità: vuole avere conferma che, da lassù, io continui a guardarla con affetto.
Tarzan, al contrario, non sembra interessato ai miei pensieri. A lui interessano le mie giornate. Mi sembra di capire che a Jane piaccia la nostra amicizia, quella tra me e Tarzan intendo. E’ come se lei avesse scelto me, suo padre, per “iniziare” il suo uomo – ogni tanto mi prendo in giro da solo – alle meraviglie della civiltà. Dovevo ripetere con Tarzan, per amore, quello che un tempo avevo fatto con lei per dovere, per dovere di padre.
Dicendo che un padre agisce per dovere nei confronti dei figli non intendo escludere l’amore. Intendo dire che lui sente di “dover” amare i suoi figli e mai si chiede se li vuole amare. Sarebbe bello voler amare ciò che si deve amare, ma questo non è il compito specifico dei padri … è il compito di ogni uomo.
Tarzan dunque, quando aveva occasione di stare con me, mi osservava. Mi osservava e basta. Incarnavo per lui una cultura ed era come se dipendesse in gran parte da me il fatto che lui accettasse di farne parte. Anch’io però lo osservavo. Anch’io mi aspettavo qualcosa da lui. Sapevo che prima o poi avrebbe cominciato a raccontarmi delle storie, storie della sua terra: volevo da lui racconti di avventure.
Come ogni bambino che si rispetti – e lui per certi versi era un bambino – si comportava come se il senso del tutto fosse scritto nelle cose e nelle persone, che bastasse osservarle con attenzione per capire. La parte più interessante della sua vita si svolgeva fuori dalla sua testa, non era un uomo che desse importanza ai suoi pensieri. E poi in Africa bisogna affrontare i leoni! Qui invece li abbiamo ingabbiati. Qui la gente muore “schiacciata” dai propri pensieri, dalle proprie speranze deluse.
Prima o poi comincerà a fare domande, lo so.
Qualche anno fa Jane, era una bambina, mi chiese: “Papà, quando è apparso il primo uomo sulla Terra?”. “Moltissimo tempo fa!”. “Ma io non ho capito una cosa, me la potresti spiegare?”. “Dimmi!”. “Ma al primo uomo che è apparso sulla Terra, chi gliel’ha detto che era un uomo?”.
Ho preso un po’ di tempo per rispondere. “Da solo non poteva saperlo, hai ragione. Forse sono stati creati in due e se lo sono detti a vicenda, perché si sentivano diversi da tutto il resto”. “Certo”, aggiunse lei, “e dovevano essere un uomo e una donna, perché i bambini devono avere una mamma e un papà”.



8 giugno

Prima ho scritto che Tarzan era un mio amico. Che cosa intendo esattamente dicendo questo? Molte cose in comune in realtà non le avevamo, a parte mia figlia e la passione per le giraffe. Quello che stava accadendo è che ci faceva piacere stare insieme. Ero l’essere più simile a lui che gli fosse capitato di incontrare (la cosa un po’ mi preoccupava: nella mia vita non avevo mai “ruttato” – beh … forse l’avevo fatto qualche volta dopo aver bevuto la Coca Cola, ma questi tipi di “rutto” hanno la stessa validità dei primati di Ben Johnson sui 100 mt piani, non sono omologabili).
Lui, di contro, mi permetteva di stare in compagnia senza parlare troppo. Una delle mie caratteristiche è questa: mi piace stare da solo. Ma non sono un solitario: voglio stare da solo, ma voglio starci in compagnia!
Torniamo a noi, al significato che do alla parola “amico”. Una volta mi è capitato di dover spiegare a un gruppo di persone prive di formazione tecnica che cosa fosse un protocollo di comunicazione. Come farmi capire? Come rendere interessanti le cose che dirò? Quando mi capita di dover parlare di qualche argomento che riguarda il mio lavoro queste domande me le pongo sempre. Mi piacerebbe infatti che tutti fossero interessati a ciò a cui sono interessato io. Il Paradiso che cos’è in fondo: è un mondo in cui tutti hanno interesse verso ciò che interessa ciascuno.
Dopo aver riflettuto ho deciso come affrontare la questione. Dirò così, dirò a cosa serve: un protocollo di comunicazione serve ad evitare fraintendimenti. Ha lo stesso scopo dei protocolli previsti nei cerimoniali, quando si incontrano capi di stato. Dà la possibilità a due pezzi di ferro, a due computer, di scambiarsi informazioni senza malintesi.
Per anni ho studiato protocolli di comunicazione, linguaggi elementari costruiti su alfabeti a due simboli. “Ti sto mandando un messaggio …”, “In che lingua lo stai mandando?”, “Lo mando in italiano!”, “Guarda che io sono in grado di darti retta solo per 64 bit, poi ho da fare!”, “Ok, posso inviarlo?”, “Vai!” … molte delle opportunità offerte dalle nuove tecnologie sono possibili grazie alla corretta implementazione di conversazioni del genere tra macchine. C’è da commuoversi davanti alle meraviglie degli uomini. Ai tempi di Chesterton oggetto di meraviglia era il “treno”. Contro i pessimisti e i romantici della sua epoca diceva: “Tenetevi pure il vostro Byron, che piange sulle disgrazie degli uomini. Io verserò lacrime di orgoglio, leggendo l’orario delle ferrovie”.
8 giugno

L’amicizia è una possibilità di comunicazione interpersonale priva di fraintendimenti, di malintesi. Chiaramente stiamo parlando di relazioni tra persone, quindi imperfette. Però se il protocollo non è curato, corretto, costruito con delicatezza, la comunicazione interpersonale non può esistere. Se il protocollo invece funziona allora tutto diventa possibile.
Poi c’è la vita, che crea continuamente occasioni di comunione.
Un giorno ero a passeggio con Tarzan e incontro un tale, un mio vecchio compagno di scuola. Non ci vedevamo da tempo ma avevo accettato la sua amicizia su Facebook e quindi, in qualche modo, avevo sue notizie. Era uno di quelli che “postano” continuamente “frasi di Shakespeare” e “culi”, a giorni alterni. “Ti presento Tarzan, il fidanzato di mia figlia”. La nostra conversazione cominciò così e lui dopo un po’ di convenevoli cominciò a parlarmi delle sue delusioni d’amore e di come avesse ormai capito che l’amore per sempre non esiste.
Ci sono istanti in cui anche un uomo tranquillo come me perde il controllo. Basta una frase tipo “l’amore per sempre non esiste” e le tensioni che hai accumulato per varie ragioni nella giornata – qualcuno ti ha tagliato la strada mentre guidavi, tua figlia torna a casa con i capelli tinti di verde, tua moglie invita a casa la sua migliore amica la sera della partita – si scaricano contro il malcapitato che l’ha pronunziata. Non trascurerei neppure la possibilità che l’accumulo dei suoi post su Facebook avesse lasciato tracce nel mio inconscio. E poi c’era Tarzan con me e non mi andava che lui pensasse che io fossi d’accordo con queste affermazioni. E allora persi il controllo: “Senti, tu di amore non ne capisci nulla. Tu dici di amare una persona ma in realtà quello che vuoi dire è che ti piace il suo culo! Ora se per te questo è l’amore allora io sono d’accordo con te sul fatto che non possa essere per sempre: c’è sempre un culo migliore di quello che ti sta davanti! Ma, fammi il favore, quando ci incontriamo parliamo di “culi” – è un argomento su cui anch’io ho una certa competenza – ma lasciamo perdere l’amore!”.
Come potete immaginare dopo aver trasmesso questo mio pensiero la conversazione rapidamente volse al termine. Ci salutammo. Tarzan mi guardava esterrefatto. Anch’io, devo dire, mi pentii di quel delirio. Ma ormai era fatta!
Dopo poco una bella ragazza passò davanti a noi. Tarzan la guardò, mi guardò e disse: “No culo!”. Scoppiammo a ridere come due deficienti, in mezzo alla strada.

14 giugno

Sono contento che qualcuno tra voi mi abbia cercato, che abbia chiesto di me. Ogni tanto sto in silenzio per vedere se qualcuno se ne accorge … del mio silenzio, intendo.
Il silenzio infatti qualche volta è attesa. E’ attesa di qualcuno che abbia voglia di interromperlo con la sua presenza. Nel silenzio è come se attendessi uno sguardo, una parola che abbia la capacità di sanare ciò che percepisco come un’ingiustizia. Quale ingiustizia? Quella di chi ti sta vicino pensando, in cuor suo, di poter vivere senza aver bisogno di te, di ciò che piace a te, di ciò che ti sta a cuore. Quella di chi sembra credere che il mondo possa comunque essere luminoso e lieto anche nella malaugurata ipotesi che tu non ci fossi più.

Vi lascio con questo raccontino tratto da un romanzo di Bassani che sto leggendo in questi giorni. E’ questo racconto che ha suscitato in me i pensieri di cui vi ho scritto. Mi piacerebbe rileggerlo accanto a voi … non a tutti naturalmente, soltanto accanto a quelli che ne avessero voglia. Eccolo:

«Dove stiamo andando?» chiese Giannina.
Marito e moglie sedevano entrambi nel sedile anteriore, con la bambina in mezzo. Il padre staccò la mano dal volante e la posò sui riccioli bruni della figlia.
«Andiamo a dare un’occhiata a delle tombe di più di quattro o cinquemila anni fa» rispose, col tono di chi comincia a raccontare una favola, e perciò non ha ritegno a esagerare nei numeri. «Tombe etrusche».
«Che malinconia!» sospirò Giannina, appoggiando la nuca allo schienale.
«Perché malinconia? Te lo hanno detto, a scuola, chi erano gli etruschi?».
«Nel libro di storia gli etruschi stanno in principio, vicino agli egizi e agli ebrei. Ma senti, papà: secondo te, erano più antichi gli etruschi o gli ebrei?».
[…]
Giù per la strada, sempre in lieve pendio e fiancheggiata da una doppia fila di cipressi, ci scendevano incontro gruppi di paesani, ragazze e giovanotti. Era la passeggiata della domenica. Tenendosi a braccetto, alcune ragazze formavano a volte delle catene tutte femminili di cinque o sei. Strane, mi dicevo, guardandole. Nell’attimo che le incrociavamo, scrutavano attraverso i cristalli coi loro occhi ridenti, nei quali la curiosità si mescolava a una specie di bizzarro orgoglio, di disprezzo appena dissimulato. Davvero strane. Belle e libere.
«Papà» domandò ancora Giannina, «perché le tombe antiche fanno meno malinconia di quelle più nuove?»
Una brigata più numerosa delle altre, che occupava buona parte della carrozzabile, e cantava in coro senza darsi pensiero di cedere il passo, aveva costretto l’automobile quasi a fermarsi. L’interpellato ingranò la seconda.
«Si capisce» rispose. «I morti da poco sono più vicini a noi, e appunto per questo gli vogliamo più bene. Gli etruschi, vedi, è tanto tempo che sono morti» e di nuovo stava raccontando una favola «che è come se non siano mai vissuti, come se siano sempre stati morti».
Altra pausa, più lunga. Al termine della quale (eravamo già molto prossimi allo spiazzo antistante all’ingresso della necropoli, pieno di automobili e di torpedoni), toccò a Giannina impartire la sua lezione.
«Però, adesso che dici così» proferì dolcemente, «mi fai pensare che anche gli etruschi sono vissuti, invece, e voglio bene anche a loro come a tutti gli altri».
La successiva visita alla necropoli si svolse proprio nel segno della straordinaria tenerezza di questa frase. Era stata Giannina a disporci a capire. Era lei, la più piccola, che in qualche modo ci teneva per mano.

15 giugno

Certo non è facile vivere sentendosi osservati. Non è neanche possibile evitare che ti osservino.
Sicuramente non tutti gli sguardi che sentiamo su di noi hanno la stessa importanza. Ma se attorno a noi abbiamo costruito relazioni forti, queste inevitabilmente condizioneranno i nostri comportamenti. Alcuni chiamano libertà l’assenza di legami. Una persona che non ha legami, si dice, può fare quello che gli pare. Tuttavia bisogna domandarsi se una persona senza legami abbia realmente qualcosa da fare … qualcosa che giustifichi il suo impegno quotidiano, almeno davanti a se stessa.
So bene che alcuni legami sono catene che è giusto spezzare. Ma, mi chiedo, ogni legame è una catena? Non sono stati i legami tra le persone a dare origine alle culture dei popoli? Può esistere una persona al di fuori di un contesto culturale fatto di tradizioni, abitudini, linguaggio, usi e costumi, valori? Può un uomo, da solo, costruire una cultura?
Tarzan aveva bisogno di una cultura, cioè di uno strumento che gli consentisse di esaltare le proprie potenzialità. Per questa sua nuova nascita aveva bisogno di una famiglia. La famiglia è infatti il contesto culturale di ogni figlio che nasce, è la sua porta di accesso al mondo. A un mondo che esisteva prima della sua nascita, a un mondo all’interno del quale lui deve ricercare (inizialmente con l’aiuto degli altri e, nel tempo, sempre più in autonomamente) la necessità della sua esistenza individuale. Tarzan, avendo vissuto nella foresta da solo, al momento era utile solo a Jane e a me. Poteva bastare?
Quando una persona, specialmente un bambino, ci guarda è come se ci chiedesse conto del valore della cultura che incarniamo. E’ come se ci chiedesse: “Questo tuo modo di stare al mondo (il tuo lavoro, le tue amicizie, i tuoi interessi, il tuo matrimonio, …) ti serve a prendere possesso della realtà? La tua cultura ti ha aiutato a capire il motivo per il quale sei al mondo oppure devo chiedere ad altri?”.
Una cultura che non si sforzi di spiegare la realtà non è in realtà una cultura. Oggi si preferisce esaltare il “dubbio” … si dice che dubitare sia segno di intelligenza. Non saprei, mi sembra più intelligente chi i propri dubbi si sforza di risolverli. Preferisco far parte di una cultura che i propri dubbi si sforza di risolverli invece di coltivarli per giustificare vite senza senso.
Da parte mia volevo evitare a Tarzan un rischio: l’educazione, che è introduzione della persona alla realtà, non deve ridursi a introduzione a una cultura. La cultura, come ogni costruzione umana, vive dei legami tra le persone che, nel tempo, l’hanno generata. Ogni persona, nascendo in una cultura, ne modifica il senso, la rinnova, la aggiorna, la arricchisce. Questo lo capivo bene. Trasmettendo a Tarzan la mia cultura gli stavo trasmettendo la forza capace di scardinare le mie abitudini, il mio modo di vedere le cose, la mia vita.
Anni fa un sacerdote, evidentemente annoiato da un certo modo routinario di partecipare alla Messa da parte dei suoi parrocchiani, al termine della Preghiera dei Fedeli, disse: “Preghiamo anche perché il tetto della nostra chiesa crolli sulle nostre teste seppellendoci nei nostri peccati, per Cristo nostro Signore”. Tutti risposero: “Amen”. Ripensando all’episodio mi sono detto: “Ci fosse stato Tarzan avrebbe detto “amen” anche lui? Lui che non sa che dopo “per Cristo nostro Signore” bisogna dire “amen”? ”.
19 giugno

Abba Antonio, scrutando l’abisso dei giudizi di Dio, chiese: “Signore, come mai alcuni muoiono in giovane età, altri vecchissimi? E perché alcuni sono poveri e altri sono ricchi? E come mai degli ingiusti sono ricchi e dei giusti sono poveri?”. E giunse a lui una voce che disse: “Antonio, veglia su di te”. Questi giudizi spettano a Dio; non ti giova conoscerli.

In versione moderna, potremmo dire: “Antonio, fatti i fatti tuoi!”.


20 giugno


“Avete notato come gli uomini preferiscano consultare una mappa per orientarsi mentre di solito le donne chiedono informazioni a qualcuno?”.
Ammettiamolo. La riflessione non è originale. Alzi la mano chi di voi non ha mai sentito una frase del genere. Il più delle volte sopporto in silenzio frasi di questo tipo (ho imparato anche a stamparmi in faccia un sorriso che solo la mia consorte riesce a decifrare bene), ma l’altro giorno non ce l’ho fatta, mi sono avvicinato a mia moglie e le ho sussurrato: “Questo è vero … quando ci perdiamo per strada sei sempre tu a chiedermi di consultare la mappa!”. 
Purtroppo non sono in grado di comprendere quand’è il momento di fare dello spirito. Eravamo nel bel mezzo di una conferenza alla quale mi aveva trascinato perché qualcun altro mi ripetesse le stesse cose che lei mi dice da anni (a parte “te l’avevo detto io”, che è una frase che non è disposta a cedere a nessuno … fosse un vescovo sarebbe il suo motto episcopale). E io, invece di prestare attenzione alla nostra relatrice, stavo lì a dirle stupidaggini! Mi ha dato un calcio, per suggerirmi di tacere. “Ma … tesoro!? Uno che sappia consultare una mappa, nella vita, ci vuole! Non credi?”. “Non ti sopporto quando fai così”, mi ha risposto sorridendo. 
La serata sembrava potesse concludersi nel migliore dei modi, voi capite cosa intendo. Quanto a preliminari lei mi aveva dato un calcio, quindi eravamo a posto. Purtroppo mi ero scordato che eravamo invitati a una festa di compleanno. “Come dici? Andiamo a casa? Ma Giulio oggi compie quarant’anni!”. “E chi è Giulio?”. Poi mi sono ricordato chi fosse e mi sono ricordato anche perché l’avevo dimenticato.
Arrivammo alla festa poco dopo, ma io avevo uno sguardo poco festaiolo. “Ho preso un calcio per nulla”, era tutto quello che riuscivo a pensare. Salutammo alcune vecchie conoscenza e provammo a infilarci in qualche conversazione in corso, sperando di non disturbare e di sfuggire a qualcuno che già ci aveva adocchiato. Avete presente Beautiful, la soap opera che ha più anni dei vostri figli e che ha per protagonisti sette uomini e sette donne (forse non sono sette, ma chissenefrega!) che si accoppiano – pardon, fanno sesso – sfruttando tutte le possibilità offerte dal calcolo combinatorio? Beh le conversazioni di queste feste sono come le puntate di Beautiful: puoi inserirti in qualunque istante e sembra che tu ci sia dentro da anni. 
Tuttavia la nostra missione di evitare scocciatori purtroppo fallì e noi non sfuggimmo al nostro destino: “Si parla di uomini, caro. Vieni a difenderti”. “Dici a me? Ma perché mi devo difendere, qual è l’accusa poi. Ma non avete altri argomenti di conversazione?”. “Via … anche gli uomini, quando si ritrovano da soli, finiscono per parlare di donne, lo sappiamo”. “Non direi, mia cara … mai poi di donne tutte intere. Preferiscono prenderne una, farla a pezzi ed esaminarla campione per campione”.
La serata passò così, infilando una serie di conversazioni dopo l’altra – stando ben attenti a non parlare mai di qualcosa di cui realmente ci importasse – sperando di riuscire ad arrivare presto a quella buona, cioè a quella che ci avrebbe condotto all’uscita. Ma dovevamo aspettare la torta. 
Eccola! Applausi. La maggior parte dei presenti non conoscevano il festeggiato, sono pronto a scommetterci, ma sembravano felici. Che volessero fuggire via anche loro? Gli amici più intimi (i soliti buontemponi) gli avevano preparato una sorpresa: una torta celeste, a forma di pasticca di Viagra! Qualcuno, riferendosi al nostro ospite, commentò ad alta voce: “Sembra il riassunto del tuo passato e del tuo futuro”. Ma si può fare il riassunto del futuro?
Consumata la torta ci avvicinammo per salutare. Mia moglie, che trova sempre la frase adatta all’occasione, si congedò amabilmente. Io, non sapendo bene cosa dire, mi tenni sul generico: “Attenzione, è un medicinale. Leggi attentamente il foglietto illustrativo”. E poi via, all’aria aperta, cercando di dimenticare. 

22 giugno 2012 – 11:12

Sappiate che non c’è niente di più alto, di più forte, di più utile per la vita futura di un qualche bel ricordo, in particolare se conservato dall’infanzia, dalla casa paterna.

Vi parlano molto della vostra educazione, ma forse un bel ricordo, un ricordo sacro, custodito dall’infanzia è la migliore educazione possibile. Se un uomo può raccogliere tanti di questi ricordi, allora sarà salvo per tutta la vita. E se anche un solo buon ricordo rimarrà con noi nel nostro cuore, anche quello potrà servirci un giorno per la salvezza. Forse diventeremo cattivi, non saremo in grado di fermarci neanche davanti alla peggiore azione, rideremo delle lacrime altrui e degli uomini che diranno, come ha fatto Kolja poco fa “Voglio soffrire per tutti gli uomini”, e forse ci befferemo malignamente di uomini simili.

Tuttavia, per quanto cattivi potremo essere, non appena ci ricorderemo di come abbiamo sepolto Iljusa, di come gli abbiamo voluto bene negli ultimi giorni e di come ora abbiamo parlato amichevolmente insieme vicino a questa pietra, allora anche il più spietato di noi e il più beffardo, se tali diventeremo, non avrà il coraggio, dentro di sé, di ridere di come è stato buono in questo momento! Anzi, forse proprio questo ricordo lo tratterrà dal commettere un grande male ed egli penserà e dirà “Si, quella volta sono stato buono, coraggioso e onesto”.

Che rida pure tra sé e sé, non importa, gli uomini spesso deridono ciò che è bello e buono solo per leggerezza, ma vi assicuro, signori, che non avrà finito di beffarsi che subito dirà nel cuore “No, ho fatto male a deriderlo, perché di questo non si deve ridere!”.

————–

Karamazov, uno potrebbe non leggere altro nella vita (a parte Abelis … of course)!

Come è vero. Quanto sono necessari i buoni ricordi. Le definizioni da dizionario, le best practices, sono utili per … come dire … mettere da parte ordinatamente le proprie esperienze sapendo, in caso di bisogno (quando diventiamo cattivi) dove andarle a cercare. Ma c’è al mondo chi non ha esperienze che ha voglia di custodire. Per me, ad esempio, il matrimonio è mio padre e mia madre che ballano in salotto mentre io, bambino, scelgo i dischi da far suonare, litigando con mio fratello che i dischi voleva sceglierli lui. Per tutti il matrimonio è questo?

Amici miei, sono un lettore accanito. Mia moglie, per prendermi in giro con le sue amiche (o per prendere in giro qualche sua conoscente, che sceglie i libri in base al colore delle tende del salotto) mi rimprovera spesso di questa mia debolezza: “Ogni volta che esce torna a casa con un libro”. E poi aggiunge, come aggravante: “Non solo lo compra, lo legge pure!”.

Non sono sempre stato così. Lo sono diventato con il tempo, grazie a un mio amico. Forse non era proprio un mio amico, semplicemente mi piacevano i discorsi che faceva. Erano discorsi impossibili da riassumere perché non finivano mai. O meglio, finivano. Ma la fine era sempre il principio di un discorso successivo … di cui avremmo parlato il giorno dopo, il mese dopo o forse mai più.

Ad altri miei amici le sue parole davano sui nervi proprio per questo motivo: “ma che ha voluto dire?”. Non voleva dire niente, o forse quello che voleva dire non si poteva dire con un discorso sistematico. E allora distribuiva collane di perla … le perle le raccoglieva dalle sue letture (Pomilio, Dostoevskij, Rilke, Kafka, Calvino) più che dalla sua vita, ma le collane che regalava erano sue.

L’effetto che questi suoi discorsi ebbero su di me fu che iniziai a leggere tutti i libri che citava. Iniziai, mi ricordo, da Dostoevskij. Lessi tutto Dostoevskij quasi d’un fiato (e si può dire che, fino ad allora, non avevo mai letto un libro, se si escludono i libri di scuola). Poi scoprii che Dostoevskij traduceva Dickens … e allora lessi tutto Dickens. Ecco, tutto cominciò così.

Un libro che amo molto è “Il giovane Holden”. Questa però è una scoperta che ho fatto da me quando sentii parlare di Holden come di qualcuno che, osservando un fatto, ha come “prima impressione” quella che per tutti gli altri è la terza o la quarta. Ecco, ho pensato, anch’io sono così. Questo mi rende un po’ malinconico. Non desidero essere solo eppure a volte lo sono.

Malinconico … ma anche allegro. E’ possibile?

Sono andato su wikipedia per cercare il significato della parola malinconia: “Il desiderio, in fondo all’anima, di una cosa, di una persona mai conosciuta o di un amore che non si è mai avuto, ma di cui si sente dolorosamente la mancanza o per raggiungere i quali non ci si sente all’altezza”. Malinconico … ma anche allegro: è possibile, se qualcuno ha voglia di aiutarmi.

——————————–

Ad ogni modo, mi immagino sempre tutti questi ragazzi che fanno una partita in quell’immenso campo di segale eccetera eccetera. Migliaia di ragazzini, e intorno non c’è nessun altro, nessun grande, voglio dire, soltanto io. E io sto in piedi sull’orlo di un dirupo pazzesco. E non devo fare altro che prendere al volo tutti quelli che stanno per cadere nel dirupo, voglio dire, se corrono senza guardare dove vanno, io devo saltar fuori da qualche posto e acchiapparli. Non dovrei fare altro tutto il giorno. Sarei soltanto l’acchiappatore nella segale e via dicendo. So che è una pazzia, ma è l’unica cosa che mi piacerebbe veramente fare. Lo so che è una pazzia.

26/06/2012 – 19:46

E’ Magritte … ho appeso questo quadro in ufficio. Serve a ricordarmi che il mondo poteva anche essere così, ma non è così.

E’ un omaggio a Tarzan … sta evolvendo rapidamente anche lui. Ha due alternative: può spingere il carrello o finire nel carrello.

A qualcuno di voi piacciono le giraffe?

@donGianpaolo: E’ vero, forse mi sento un primo della classe ironico, ma voglio guarire. Scrivo – stavo per dire “vivo” (anche) per questo – per essere corretto da chi abbia voglia di correggermi, sperando che lo sappia fare.

La sua analisi psicologica invece non mi pare si adatti a me. L’emotività elevata a supremo criterio di giudizio? Non è una cosa che mi riguardi. Però se il vivere non mi emozionasse mi preoccuperei. Non mi vorrei abituare alla vita, alle cose, alle persone … non vorrei rinchiuderle nei miei pregiudizi, catalogarle nei miei archivi mentali (non sto dicendo che lo faccia lei, sto parlando di me). La realtà non è semplicemente il campo di applicazione della mia intelligenza, è il luogo in cui vivo. La mia realtà la voglio ascoltare, voglio averne desiderio … voglio cambiarla ma mi aspetto anche che mi cambi … in un certo senso lo pretendo: a che servirebbe altrimenti?

Magritte era sorpreso dal fatto che la realtà così com’era non sorprendesse più nessuno attorno a lui. E allora la modificava nei suoi dipinti ma non per rifugiarsi nei sogni. E’ come se volesse chiedere: perchè non ti meravigli più del fatto che esista la legge di gravità? che i corpi rispettino le leggi fisiche? perchè ti meravigli soltanto dei miei quadri, di ciò che non esiste e mai di quello che esiste?

27/06/2012 – 11:51

Riunioni. Ci sono problemi da risolvere, decisioni da prendere. Come sono solito fare, esprimo con chiarezza e con valide argomentazioni il mio pensiero. I miei suggerimenti sono accolti con favore. Un collega si avvicina e mi dice: “sei sempre brillante e ti ho dato ragione, non è facile essere in disaccordo con te”. Voleva farmi un complimento, invece ha scatenato i miei ricordi d’infanzia e ho pensato: non starò sbagliando in qualcosa?

Da bambino sono stato educato al rispetto delle regole. La prima regola che i miei genitori vollero insegnarmi fu questa: le promesse vanno mantenute. Mio padre ogni tanto, prima di addormentarmi, mi leggeva la storia di Laomedonte, il padre di Priamo, che fu ucciso da Eracle per non aver rispettato una promessa. Laomedonte era recidivo: anche con Poseidone e Apollo si era comportato allo stesso modo. Ma, a quanto pare, gli dei sono più inclini a perdonare rispetto ai loro figli. Sono quasi desiderosi di credere che chi non rispetta la promessa “corrente” sarà poi capace di rispettare la promessa “successiva”. Eracle invece non lo perdonò.

L’insegnamento che ne trassi fu questo: bisogna estorcere promesse. “Papà, mi prometti di accompagnarmi alle giostre?”, “mi prometti di giocare con me stasera?”, “mi prometti di comprarmi un gelato?”. Asfissiavo mio padre con domande del genere … fino a quando non ottenevo un sì, per stanchezza.

Un’altra cosa che mio padre non tollerava era l’approssimazione: nello scrivere, nel parlare, nell’impegno sportivo … in tutto. Mi seguiva molto negli studi, molto più di mia madre. Lui mi ha trasmesso l’idea che si viene al mondo per uno scopo.

Ricordo che, in prima elementare, la mia “a” era perfetta: rotonda, pulita … toccava appena la linea superiore e inferiore del rigo senza mai andare oltre. La gambetta poi … accanto alla mia “a” poteva stare comodamente qualsiasi altra lettera dell’alfabeto: si sarebbe sentita a suo agio.

Quasi mai prendeva le mie parti nelle discussioni che avevo con i compagni, come invece faceva mia madre. Allora, anche allora, le mie relazioni sociali erano complesse. “Perché nessuno si vuole sedere con me? Perché nessuno vuole essere mio compagno di banco?”, gli chiedevo. Lui mi dava tante risposte, ma nessuna di queste sembrava avere la forza di migliorare la mia realtà.

Un giorno tutto fu più chiaro. Mio padre capì. Avvenne grazie alla mia maestra la quale, quasi di sfuggita, si rivolse a un mio compagno in questi termini: “Se non ti impegni di più in classe ti faccio sedere con lui!”. Quel “lui” ero io. Ero diventato il suo aiutante, della maestra intendo dire. Ed ero bravo. Ero felice di essere apprezzato e non capivo perché il fare ciò che i grandi si aspettavano che facessi mi allontanasse dagli altri. “Non fa così anche papà con me? Non mi dicono tutti: bravo?”.

“Perchè la maestra dice così?”, provai a chiedergli. Lui non rispose, ma da quel giorno qualcosa cambiò. Lo capii più tardi. Voleva che io fossi amato, non semplicemente rispettato, e per questo motivo decise di cambiare le sue abitudini, decise … di imparare a fare il bene e di accettare qualche cancellatura sul mio quaderno. Se pensate che per lui sia stato facile vuol dire che non lo conoscete.

In seguito mi raccontò di essere andato anche dalla mia insegnante per spiegargli che non gli andava che suo figlio fosse considerato la colonia penale della classe, che diventasse uno “stronzo” che scrive “a” perfette sul rigo.

Ragazzi, a parlare chiaro l’ho imparato da lui!

 

3/07/2012 – 12:11

Estate. Tempo di vacanze. “Sarebbe bello andare in gita assieme!”. “Sì, hai ragione. Siamo stanche e abbiamo bisogno di tranquillità. Voi che ne dite?”.

E’ mia moglie a rivolgere la domanda a me e al marito della sua amica, ma non sembra ansiosa di ricevere alcuna risposta. Noi, d’altro canto, siamo coscienti di non avere niente di decisivo da dire. Abbiamo ricevuto un incarico, ecco tutto. Dobbiamo organizzare il viaggio: questo si attendono da noi.

C’è qualcosa di divino in queste conversazioni femminili così cariche di attese e così prive di dettagli. “In lui ci ha scelti, prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità” … ricordate questa frase così divina? Così priva di indicazioni operative?

Non è incredibile che una persona conversi per ore con la sua amica del viaggio che dovrà affrontare (di quanto sarà bello, rilassante, emozionante, …) senza mai parlare della meta da raggiungere, degli alberghi e del viaggio da prenotare, degli itinerari da disegnare?

Spesso poi le nostre scelte, i dettagli grazie ai quali i desideri diventano realtà, sembrano deluderle, così prive come sono di “senso pratico”: l’albergo è troppo distante dal centro, il volo è troppo caro. Perché non le avevo detto che avrebbe fatto fresco? Avrebbe potuto portarsi un maglioncino invece di “ballare” dal freddo! Ma perché poi i mariti delle sue amiche riescono a fare bellissimi viaggi spendendo la metà di quanto spendiamo noi?

Jane non viaggia più con noi. Ricordo una gita a Venezia. Lei era di pochi mesi e stava sul passeggino, passeggino che io portavo di peso sopra ogni ponte che attraversavamo. “Jane, cara, ti sei stancata?” le chiedeva mia moglie al termine di ogni traversata, mentre io deponevo il fardello ai suoi piedi. “Adesso papà ti compera un gelato, tesoruccio mio”, diceva alla piccolina che sorrideva a tutti completamente ignara dell’esistenza della forza di gravità.

Un’altra volta udimmo una conversazione di una coppia in viaggio di nozze sulla funivia del Monte Bianco: “Che panorama stupendo! Sarebbe bello avere una cinepresa per riprendere tutto!”, sospirò lei. E lui: “Una cinepresa? E chi se la porta appresso!”. “Ecco un uomo completamente privo di senso pratico”, sussurrai a mia moglie che mi sferrò una gomitata. Quante botte ho preso, ragazzi. Non è amore, questo?

Anche io però … è come se incoraggiassi gli altri a farsi servire da me.

Il mio problema è il seguente: mi sento sempre investito di incarichi. Sembra quasi che la mia massima aspirazione sia quella di ricevere incarichi da qualcun altro. Succede che alcune persone discutano di qualcosa che avrebbero desiderio di intraprendere e io mi sento investito del problema, penso sempre che ciò di cui stanno parlando se lo aspettino da me.

Anche con le conversazioni che leggo sul blog ho lo stesso atteggiamento. Magari state discutendo tra voi completamente incuranti della mia esistenza – intendo dire del fatto che esista la possibilità che io vi stia leggendo – e subito io penso che quello che avete affermato sia in realtà rivolto a me, che stiate parlando con me o di me. Credo di essere ancora convinto nell’intimo – sebbene abbia ormai una certa età e una certa dose di esperienze –che tutto sia stato fatto per me. Così la pensava mia madre quando ero bambino. Non che me l’abbia mai detto – forse non l’ha neanche mai pensato – però sapeva che era così, e grazie a lei lo sapevo anch’io.

C’è invece chi pensa – con naturalezza, senza cattiveria alcuna – che le cose di cui si parla in nostra presenza riguardino qualcun altro. Mi fa rabbia la loro spensieratezza.

 

05/07/2012 – 10:59

Ogni tanto Tarzan mi racconta alcuni episodi della sua vita passata, di prima che incontrasse Jane. Sono storie bellissime, avventurose. Nelle sue giornate, così almeno a me sembrava, non mancavano mai occasioni per decidere intorno a qualcosa di importante. E di ogni scelta si potevano misurare le conseguenze, cosa che lui faceva abitualmente ogni sera, attorno al fuoco.

Quando ascolto queste storie mi viene da pensare al mio esame di coscienza serale: nella mia vita non mancano le buone disposizioni … spesso mancano i leoni, mancano le avventure. Potrei scrivere un romanzo sulle cose attorno alle quali mi esamino ogni sera? Potrei farne oggetto di un racconto interessante? Ecco cosa mi chiedo. No, non potrei, pur essendone capace … mentre Tarzan potrebbe, ma non ne è capace … almeno fino ad oggi. E lui ha bisogno di raccontare almeno quanto io ho bisogno di vivere, ne sono certo.

Non predico un ritorno alla natura selvaggia. Non è la natura il problema, sono io. Tarzan ha bisogno della mia cultura e io ho bisogno che lui mi restituisca il desiderio di esplorare mondi sconosciuti, desiderio che avevo da bambino e che ho perso col crescere. Ogni persona è un mondo sconosciuto, questo mi piacerebbe pensare. Ma non lo penso più. E mi lascio vincere dalla tentazione di “non disturbare”, trasformando l’indifferenza in discrezione e cercando pure di ricevere lodi per questa mia (presunta) virtù.

E la sua vita presente? Tarzan è contento di noi? Ha occasioni per decidere anche qui, dove tutto sembra inutile, inessenziale? Non vorrei che diventasse anche lui uno dei tanti crocieristi che affollano le nostre giornate: “Ho pagato il biglietto e vorrei una cabina vista mare! Mi faccia parlare con il capitano!”, ecco tutto quello che pretendono dalla vita: che tutto sia come avrebbe dovuto essere secondo il depliant che avevano visto in agenzia e che a loro era tanto piaciuto.

 

9/07/2012 – 10:01

Ho letto Abelis!

L’ho letto al mare, circondato da bagnanti festanti, abbronzati, arrabbiati, accaldati. La mia vicina di destra si lamentava per telefono con l’albergatore per la qualità della prima colazione che le era stata servita. Il ragazzo davanti a me ascoltava musica con l’ipod. Una signora un po’ appariscente diceva a un quindicenne, che spero fosse suo figlio, di non rompergli i c… .

Un’altra bella signora due file più avanti si spalmava la crema sotto l’ombrellone. E io, per non lasciarmi indurre in tentazione – e per guadagnare il consenso delle mie donne, che facevano finta di essere distratte dal clima vacanziero ma in realtà mi osservavano, lo so – ho messo Abelis tra lei e i miei occhi.

Leggo dove posso, come posso. L’ho imparato da mia moglie, che ha letto “Maria di Nazareth” di Suarez dal parrucchiere.

“Che stai leggendo, caro?”. “Sto leggendo una favola”. “Una favola? E ci sono principi, principesse, castelli?”. “Ma certo, che favola sarebbe altrimenti?”. “Che storia racconta?”.“E’ la storia di un uomo che vuole salvare il mondo”.

Non so perché ho risposto così.

Forse non è proprio vero che Ciambellano sia il protagonista della storia. Ma a me fa tenerezza. Da qualche tempo leggo con maggiore attenzione le pagine dei Vangeli che hanno come protagonisti i cattivi: Erode, Giuda, i sommi sacerdoti, i farisei … tutti che fanno a gara a parlarne male, a disprezzarli. Quando una persona ha tutti contro mi viene voglia di stare dalla sua parte, di mettermi nei suoi panni. Mi serve a sentirmi meno “buono”.

Anni fa mi scandalizzava il chiacchiericcio che accompagnava ogni cerimonia liturgica a cui assistevo. Poi ho pensato: ha un suo senso … serve a rendere la celebrazione, come dire, più realistica: non ci saranno stati soltanto crocifissori e pie donne sul Calvario … ci saranno state anche tante persone che, mentre Gesù moriva, avranno discusso con i loro vicini su cosa preparare per cena.

“E ci riesce?” … mia moglie vuole essere rassicurata sul finale della favola. Vuole che tutto finisca bene, ha come una naturale tendenza a condividere i dolori dei principi regnanti. “Non lo so, non sono arrivato alla fine. Ma mi sembra che il suo mondo non abbia tanta voglia di essere salvato da lui.”. “Io ho paura di quelli che vogliono salvare il mondo. Più di tutti mi spaventano quelli che vogliono farlo da estranei, ho paura dei salvatori di professione”.

Mi è piaciuto Abelis? Sì. Ho come l’impressione di averlo già recensito sul blog prima ancora di averlo letto. L’unico mio dubbio riguarda l’ultimo capitolo, che io non avrei scritto. Mi è sembrato un tentativo di spiegare la storia … di mettersi al posto del lettore. Penso che un racconto debba lasciargli spazio. Soprattutto se è una favola.

Complimenti da tutta la famiglia. Anche da parte di Tarzan, che ama i draghi.

 

12/07/2012 – 20:15

Mia moglie d’estate è così:

“Valentina, spogliati. Franco non buttarti in acqua vestito. Roberta lascia stare il secchiello e togliti le scarpe. Valentina, non eclissarti come al solito, guarda Lorenzo. Roberta, stà ferma, Franco dov’è? Franco, vieni a spogliarti. Roberta, mettiti all’ombra, Franco ho detto vieni a spogliarti, Valentina metti il costumino a Lorenzo, Franco dov’è? Franco torna indietro, il bagno si fà più tardi! Ti sei bagnato tutto il vestito! Valentina dove vai? Guarda Roberta, Roberta dov’è? Roberta vieni quì, il bagno si fà più tardi! Franco, dov’è Franco? Se ti azzardi a fare il bagno senza chiedermelo, ti butto in acqua vestito! Valentina acchiappa Roberta che si butta in acqua! Franco, perchè hai fatto il bagno? Roberta, vieni quì al sole ad asciugarti! Valentina, hai proprio la testa frà le nuvole, ti avevo detto di guardarla! Lorenzino di mamma sua che si mangia la sabbietta. Non si mangia la sabbietta, brutta la sabbietta. Franco, non vedo più Franco! Quello si affoga, poi chi lo sente il padre! Ah, sei quì! Potevi rispondere, senti che ti chiamo!

Valentina, dai la paletta a Lorenzo, non senti che piange? Franco torna indietro sennò niente gelato!

Bellino il sonaglino di Lorenzo di mamma sua! Valentina, corri a cercare Franco che è venuto a cercare te.

Roberta non ti muovere! Santo cielo, credevo che fosse Roberta. Ma allora dov’è Roberta? Franco, corri a cercare Roberta e se vedi Valentina, dille di non cercarti perchè ti ho trovato. Valentina guai a te se fai il bagno! Franco, per certe cose sei pregato almeno di andare dietro il capanno!

Ah, meno male, sta arrivando vostro padre!

Signora Paoletti, venga qui, adesso possiamo parlare in santa pace! Franco, dov’è Franco…

Tratto da “VITA IN FAMIGLIA” di Antonio Amurri

 

26 luglio

Conversazioni da ufficio.
Un giorno sto lì, solo con il mio computer, ad analizzare il mio database aziendale. Devo studiare un criterio per l’estrazione dei dati che mi sono stati richiesti, non so bene perché.
Un collega mi dice: “Non perdere tempo! Cerca piuttosto di capire il motivo per il quale ti hanno chiesto queste informazioni … la nostra abilità sta nel nostro essere in grado di fornire numeri a sostegno di qualunque argomento. Questo vogliono dai tuoi bei numeri. Se non sai quali argomenti i tuoi numeri dovranno sostenere, questa tua fatica andrà sprecata … perché i tuoi numeri non serviranno a nessuno”.
Certo, dai tempi di Pitagora il mondo è cambiato. Avete presente Pitagora? Lui, nei numeri, aveva trovato il senso della realtà, l’armonia dell’universo … almeno io me lo immagino così. Andava in giro a costruire quadrati sulle ipotenuse – invece di andare a femmine come faceva la maggior parte dei suoi coevi, ci scommetto – quasi per pregare, per ringraziare, per accettare come realtà prima l’unica cosa che, a suo parere, desse ragione dell’armonia che osservava nelle mille presenze che vivevano attorno a lui. Per lui il numero non era un’astrazione, era più concreto di un sasso. Oggi invece i numeri sono un pretesto, uno strumento utile per perpetrare un abuso.
Anche a me piacerebbe che le mille cose che faccio nelle mie giornate fossero governate da un’unica intenzione … e che da questa dipendesse tutto il resto.
Credo che qualcuno abbia detto che chiunque voglia conoscere profondamente qualcosa deve saper tacere, deve imparare a osservare la realtà con sguardo silenzioso. Tutto questo naturalmente non è facile, anche nel caso in cui noi fossimo Pitagora, cioè nel caso in cui i nostri propositi fossero sinceri: la nostra cultura e i nostri pregiudizi sono sempre in agguato, sempre pronti a difenderci dalle “sorprese” … a guidarci verso un mondo dove tutto è come mi sarei aspettato che dovesse essere.
E allora come si fa?
Farsi un giro, ogni tanto, è una cosa utile. Sì Viaggiare!!!

27 luglio

Re: La suora e padre Aldo
il: 27/07/2012 – 10:23
“Ho deciso, quest’estate si va in Baviera!”.
“In Baviera? Ed è bello? Non è che fa troppo caldo? Che vestiti ci dobbiamo portare? Non facciamo come l’anno scorso, che mi hai detto che il tempo sarebbe stato bello e invece ha piovuto sempre!”.
“In Baviera … ma era il paese di Sissi!”, esclama rapita Jane.
“E chi era Sissi?” domanda l’incosapevole Tarzan.
Sono il capofamiglia e devo assumermi le mie responsabilità per cui, di fronte a un quesito del genere sento il dovere di prendere la parola ed esclamare con enfasi: “Sissi era una cretina!”. Ho lanciato questa frase nella discussione con la stessa intenzionalità con la quale, da bambino, lanciavo i petardi in mezzo a gruppi di ragazzine che vedevo, in strada, assorte in qualche loro discussione. “Ma che avranno mai da parlare così tanto?”, mi chiedevo allora “non è più divertente lanciare petardi?”.
“Sissi non era affatto una cretina”, interviene mia moglie che, da quando da bambina ha recitato a scuola nella parte di Cenerentola, ha come una naturale inclinazione a comprendere i punti di vista … a mettersi dalla parte delle principesse sofferenti. “E’ stata solo sfortunata. Suo marito non la comprendeva … stava tutto il giorno a fare il re invece di ricambiare il suo amore appassionato. Lui non capiva il suo (di Sissi) mondo interiore … d’altra parte era un uomo, cosa vuoi che capisca. Guarda tuo padre … E poi c’era quella suocera odiosa, che stava sempre in mezzo!”. “Ma non era una donna anche lei? Forse anche lei (la suocera) aveva un mondo interiore che attendeva con ansia qualcuno che lo comprendesse!”. “Ecco, lo sapevo, finisci sempre per difendere tua madre”. “Mia madre? E che c’entra mia madre?”.
“Tua madre è la suocera di Sissi?” domanda Tarzan.
Non c’è niente da fare … quando si lanciano i petardi non si sa mai dove si andrà a finire.
Partiamo per la Baviera. Panorami incantevoli e, in mezzo, i castelli di re Ludwig. “Era il cugino di Sissi”, sussurra mia moglie a Jane e a Tarzan.
Che dire di questi castelli … non sono associabili ad alcuna epoca storica, sono fuori dal tempo … destinati ad essere popolati da fate. Ma siccome Ludwig di fate non ne aveva mai trovate, ci viveva da solo.
Dopo Neushwanstein, in albergo, ci sistemiamo a letto per guardare, su YouTube, qualche scena di Ludwig di Luchino Visconti. “C’è anche Sissi nel film!” esclama Jane quando vede apparire Romy Schneider. “Ma … che sta facendo? Sta baciando Ludwig? Tradisce suo marito?”. “Ma no, stai tranquilla, sta baciando lui ma pensa al suo Franz (che non la capisce e la fa soffrire … non vedi come soffre). Nelle donne quello che conta è il mondo interiore, che importanza vuoi che abbia un bacio!”. “Questo film non mi piace”, dice mia moglie “dormiamo che domani sarà una giornata faticosa”.
Due giorni dopo si va a Dachau. Da Monaco ci si arriva prendendo la Metropolitana.
Impressioni? I castelli di Ludwig somigliano a questo luogo di annientamento, sono figli delle stesse passioni, sebbene non della stessa cultura. Per noi, estranei a quelle sofferenze, l’entrarci dentro, lo scattare fotografie, l’ascoltare i racconti … ci è sembrato di compiere un sacrilegio. Quando ascolto i racconti del libro dei Maccabei provo sensazioni simili. Posso ascoltare racconti di morte senza provarne dolore? Posso non vergognarmi di non provarne?
Cosa resterà, tra qualche anno, delle cose che ho visto. Penso rimarrà nella mia memoria quello che vi ho raccontato … e in più l’immagine dei chioschi dei gelati per le strade. C’erano molti chioschi che vendevano gelati confezionati, chioschi del tutto simili a quelli che ci sono da noi. Avevano il loro pozzo frigo e, accanto ad esso, un tabellone con le foto di tutto quello che ci avremmo trovato dentro.
Che c’era di strano allora, se tutto era uguale? La cosa strana, almeno per me, è stata che tutti i gelati indicati nel tabellone stavano anche nel pozzo, proprio tutti. Ho provato a scegliere i gusti più strani, in chioschi differenti, ma mai nessuno mi ha risposto “questo non ce l’abbiamo”, come succede sempre dalle mie parti.
E’ un popolo fatto così.

3 settembre

“Piacere alle donne, ma come si fa? Quest’aria indolente, di furbo innocente, che effetto farà?”.
Questo versetto è un ricordo d’infanzia a cui ho cercato di dare corpo facendo qualche ricerca sul web. Fa parte di una canzone interpretata da Mastroianni in “Ciao Rudy”, un musical degli anni ’60.
Lui, nel musical, era Rodolfo Valentino. “Non ho proprio nulla in comune con Casanova, eccetto l’ incapacità di andare fino in fondo”, così poi l’attore rispondeva a chi trovava somiglianza tra lui e i personaggi che interpretava.
Sarà vero che un piacere è un amore che non va fino in fondo?
Amare le donne, ma come si fa? Vogliono farsi amare da te? Vogliono lasciarsi andare … fino in fondo?
Amare e farsi amare … fecondare e essere fecondati … andare verso l’altro e lasciarsi raggiungere … pensare che il mondo si aspetti qualcosa da te, che solo tu puoi dare, e attendersi qualcosa dal mondo, qualcosa di inaspettato (come un figlio che nasce … che è atteso, perché sai che nascerà, ma anche inatteso, perché non sai come sarà), che è solo per te.
Cara … lasciati andare. Ti va di ballare?

5 settembre

Oggi sono nervoso, vi avverto. Inizio questo post senza sapere come lo finirò ma debbo sfogarmi e se non posso farlo con voi, che siete così buoni, con chi potrò farlo?
“Perché non mi saluta? E’ gentile con tutti tranne che con me!”. “State passando una buona estate? Noi tutto bene, siamo qui … da soli”. “Ti piace il nuovo colore dei miei capelli? E’ uguale al precedente dici? E’ una nuova sfumatura … ma tu non mi guardi neanche”. “Sempre a guardare la TV sdraiato sul divano! Mettiti almeno una maglietta intonata con la tappezzeria, così non ci accorgiamo neanche che ci sei”. “Ti piace il pranzetto che ti ho preparato? Non mi sembri entusiasta”. “Che cosa ha voluto dire con la frase: che bel vestito che hai? … forse non le piace perché è troppo scollato?”. “Tua madre mette troppo olio nei piatti … tutti sanno cucinare mettendo tutto quell’olio!”. “Tua moglie ce l’ha con me?”.
Ogni luogo, ogni situazione per me è diventata ostile. Provo a uscirne con un bacio. “Non mi spettinare, sono appena uscita dal parrucchiere. Aiutami ad apparecchiare piuttosto … devo ancora preparare il pranzo”. Riaffiora un ricordo d’infanzia. Ad una festa chiedono ai bambini: si consuma in cucina, cos’è? Mentre la maggioranza opta per il “gas” un bambino risponde: “la mamma”!
Devo uscire dall’accerchiamento, devo trovare forza per affrontare la vita. Allora mi chiudo in bagno e esclamo a bassa voce: “Minchia!”.
Non esiste, almeno in Malesia, una parola che esprima così efficacemente uno stato d’animo. Anni prima provai a emanciparmi usando il frasario del nord: in Cina in situazioni del genere si dice “cazz…” – i puntini non li ho messi per pudore … mi piace che il lettore fantastichi su ciò che scrivo, che non sia costretto dalle mie parole compiute ad essere o a dire quello che io sono o dico – ma la nuova “formula” non mi fece sentir meglio. Non so come spiegarlo, è questione di sfumature … “Minchia” affratella, mentre “cazz…” … è come se ponesse una barriera tra l’Io e il Tu (sto cercando disperatamente di mantenere alto il livello di questo post ma dubito fortemente di riuscirci).
Ora mi sento meglio, sfogarsi fa bene. Sono pronto ad apparecchiare la tavola. “Mettiti le ciabatte che è appena venuta la signora a fare le pulizie!”.
A proposito … stavo quasi per dimenticare. Anch’io, come Paola, il mese scorso ho avuto un po’ (Lidia, l’apostrofo è per te) da fare: ho passato tutto agosto a rifarmi le unghie! Ecco, l’ho detto … la foto dell’unghia di Fefral mi ha convinto a fare outing. Ora sono bellissime … le mie unghie intendo. Dite che è troppo un mese per rifarsi le unghie? Ma io non sono come voi … sono la Tigre della Malesia! Avete mai provato a rifare le unghie a una tigre?

7 ottobre

– Da quanto tempo vi conoscete?

– Beh, ci conosciamo da venticinque anni.
La risposta sembrò sconcertare i nostri interlocutori … e io decisi di correre in loro soccorso, di sostenere i loro pregiudizi, di rassicurarli.
– Sembra tanto, vero? Ma se leviamo tutto il tempo che io ho aspettato perché lei si vestisse … sono molti di meno.

Avete presente Roger Rabbit. Di fronte a una musica non riusciva a resistere e doveva mettersi a ballare … e io, quando mi si presenta l’occasione di fare una battuta non riesco a trattenermi … costi quello che costi. Quando siamo in sette davanti al bancone di un bar – tanto per fare un esempio – obbligo tutti a prendere il tè … semplicemente per il gusto di dire “Sette tè” al cassiere.

Questa mia … chiamiamola attitudine … ogni tanto mi procura inimicizie. Ricordo che una volta, ad una festa di compleanno, fummo invitati dal festeggiato a fare una foto di gruppo. Compiva 50 anni, ma li portava bene … si sentiva un giovanotto e aveva appena comprato un’auto sportiva superlusso. Dopo la foto lo guardai e gli dissi: “Ormai hai 50 anni, basta fotografie! E’ tempo che tu ti dedichi alle radiografie!”. Non mi ha rivolto la parola per mesi!

Mia moglie, che mi conosce, cerca di frenare questo mio istinto … con alterna fortuna. Che pazienza che ha! Col tempo però anche lei ha preso gusto all’ironia (che tuttavia riserva soltanto a me) aggiungendovi quel pizzico di ferocia femminile necessario per inchiodarmi alla realtà delle cose.

Volete un esempio?

Un giorno lei si accorse che mostravo un po’ troppa ammirazione per una mia collega di lavoro: “com’è brava”, “come mi capisce”, “mi trovo bene a lavorare con lei” … riempivo i miei racconti di vita quotidiana di frasi del genere.

– Perché non la invitiamo a cena con la sua famiglia? … le dissi un giorno
– Va bene … mi rispose con falsa ingenuità.

Fu una bella serata … e io ero felice che mia moglie potesse ammirare ciò che io ammiravo.

La sera, in camera da letto, le chiesi:

– Sei stata bene stasera?
– E’ una bella ragazza … mi risponde così … e mi sembra che si stia innamorando di te.
– Ma che dici …
– Non dico che tu ti stia innamorando di lei, anche se vi intendete fra voi … e potrà succedere, ma riguardo a lei sta già succedendo. Stacci attento!

Mi parlava con lo stesso tono con cui mi chiedeva di andare a gettare l’immondizia ogni sera, quasi di sfuggita, senza troppi dettagli … ma so che quelle parole le sono costate. E poi, dopo avermi chiarito le idee, il gran finale:

– Non mi sembra più tempo per rincorrere avventure amorose … ti stai avvicinando a grandi passi verso la tua prima visita urologica che, vedrai, sarà emozionante come il primo bacio.

Ragazzi, cosa posso dirvi: è mia moglie!!!!

31/10/2012 – 09:48

Anni fa lessi “Dombey & figlio” di Dickens. Avevo fatto il proposito di leggere tutti i romanzi di Dickens perchè avevo scoperto che Dostoevskij aveva tradotto Dickens in russo, e io amavo Dostoevskij.

Il brano che segue è tratto da questo libro. Parla dell’abitudine, che è la morte di ogni amore. Chi parla è un personaggio marginale del romanzo che improvvisamente diventa protagonista della storia. Lo diventa decidendo di smettere di cercare benevolenza dal suo prossimo. In pratica decide di complicarsi la vita, di “peggiorare”.

***************

E’ sempre l’abitudine che fa ostinare alcuni di noi, che pure sarebbero capaci di qualcosa di meglio, nell’orgoglio e nella caparbietà luciferine, che fa ostinare a sprofondare altri nell’infamia, la maggior parte nell’indifferenza, che ci indurisce ogni giorno, secondo il grado di elasticità della nostra argilla, come statue, e ci lascia sensibili come statue a nuove impressioni e convinzioni.

<…>

Mi sono contentato di farmi disturbare il meno possibile, al di fuori della mia sfera di competenze, e di lasciare che tutto ciò che mi circondava andasse avanti, giorno dopo giorno, senza venir messo in discussione, come una grande macchina <…> considerando tutto scontato, tutto giusto. Le mie serate del mercoledì si succedevano regolarmente, e col mercoledì tornavano le riunioni del nostro quartetto, il mio violoncello era ben accordato, e non c’era niente che andasse storto nel mio mondo, o comunque non molto, e poco o molto, non era affar mio.

Ero il più amato e rispettato di chiunque altro nella ditta, ma era un’abitudine per me. Andava bene al direttore, andava bene all’uomo per conto del quale dirigeva: a me andava meglio di tutti. Facevo quello che mi toccava di fare, non facevo la corte a nessuno dei due ed ero contento di avere un posto in cui non era necessario niente del genere. Così avrei continuato a fare fino ad ora, ma un mattino accadde un fatto che scosse la mia abitudine – che è l’abitudine di nove decimi degli uomini – di credere che tutto fosse a posto intorno a me semplicemente perché ci ero abituato.

<…>

Credo fosse quasi la prima volta in vita mia che mi abbandonavo a questo genere di riflessioni … come ci appaiono tante cose che ci sono familiari, e che diamo per scontate, quando arriviamo a vederle da questa prospettiva nuova e distaccata in cui, un giorno o l’altro, dobbiamo metterci tutti!

Da quel mattino io fui un po’ meno cordiale, come dire, meno alla buona e accomodante.

 

3/11/2012 – 10:19

Tranquilli, non ho incontrato nessuna persona buona. Solo i soliti stronzi.

Ma esistono le persone buone? Penso di sì ma sono tutti morti, purtroppo: “Oggi, munito dei conforti religiosi, è deceduto il signo X, uomo di specchiate virtù. Addolorati (o costernati, o afflitti, …) ne danno il triste annunzio la moglie, la figlia, i nipoti” … insomma, tutti.

Non ho mai letto necrologi di questo tenore: “Oggi, munito dei conforti religiosi, ha liberato parenti e amici della sua presenza il signor X. Non era un granché, ma noi ci eravamo abituati a vederlo in giro attorno a noi e, per questo, ci mancherà”. Scherzando ho proposto a mia moglie, per me, questo necrologio ma non le è piaciuto. Non le piace quando parlo male di me stesso. Vuole farlo lei in esclusiva.

Sembra che, da vivo, l’uomo abbia meno valore che da morto. Non ci avete fatto caso? E’ la morte a restituirgli valore, a trasformarlo in uomo di specchiate virtù. E’ un po’ come un timbro su un documento che improvvisamente trasforma un cumulo di stronzate messe nero su bianco in un atto amministrativo!

Ma io non volevo parlarvi di questo.

Ieri ho incontrato un amico che chiacchierava con una bella ragazza che conoscevo. Mi sono avvicinato, non so bene se a lui o a lei, e ho cominciato a dare libero sfogo alle mia capacità comunicative.

“Allora! Tua figlia è stata alle gare?”.

“Siamo tornati ieri, è stato bellissimo, di questo stavamo parlando con Federica, la sua allenatrice che le ha accompagnate. La conosci? C’era anche sua figlia che è arrivata quarta ai campionati nazionali”.

“Questa non è una sorpresa”, aggiungo io “con la madre e i nonni che si ritrova!”.

Federica è la proprietaria di una società sportiva di pattinaggio artistico e suo padre è considerato il pioniere di questo sport nella nostra città. A lui è intitolata la pista di pattinaggio. Alla sua società appartengono atleti che hanno partecipato quest’anno ai campionati europei.

A questo punto Federica ci sorprende: “Ma i miei genitori non sapevano pattinare!”.

“Come?! Non sapevano pattinare? I pionieri?”

“E’ cominciato tutto così. Nel luogo in cui andavamo in vacanza c’era la migliore scuola di pattinaggio del nostro Paese. Ero bambina e mio padre mi accompagnava a pattinare. Poiché a me questo sport piaceva, i miei genitori si misero a cercare qualcuno che potesse aiutarmi a praticarlo anche nella nostra città. Trovammo dei maestri e iniziammo, io e una mia amica, ad allenarci con loro. Eravamo brave, vincevamo le gare, ma non eravamo le preferite dei nostri allenatori. Un giorno la mia amica arrivò prima a una competizione e si vide consegnare la coppa destinata alla seconda classificata, perché la coppa più bella volevano darla ad altri. Mio padre se ne accorse e disse: non possiamo continuare a tenere qui le bambine. E sapete che fece? Creò una nuova società di pattinaggio, contattò allenatori professionisti che venivano da noi per una settimana al mese e cominciammo ad allenarci con loro. Mio padre non era ricco e, per coprire le spese e il tempo che occorreva a gestire il tutto, dovette coinvolgere molte altre persone. Tutto cominciò così. E’ stato faticoso per lui e per mia madre, ma ero la loro unica figlia. L’hanno fatto per me. E adesso eccoci qui!”.

Sapevo che Federica non ha una vita facile. I suoi genitori morirono giovani e anche lei rimase vedova a poco più di 30 anni con due bambine piccole da crescere. La sua società è praticamente la sua unica fonte di reddito. Questo fatto assieme al suo racconto mi hanno commosso, ma non perché io sia buono. E’ che sono un sentimentale!

A me questa storia d’amore che produce, quasi involontariamente, fatti mi stende. Capite? Non è che suo padre volesse fare un’opera buona … che ne so … un’opera sociale. Voleva far sorridere la sua unica figlia, ma voleva farlo davvero, con caparbietà, con impegno, per sempre. E questo suo impegno ha fatto sorridere altri, anche la figlia del mio amico.

Forse ciò che ha realizzato non ha un gran valore, potreste pensare. Ma dovreste vederle le bambine, sulla pista!

Che spettacolo!

 

9/11/2012 – 09:53

“Ti avevo detto che non voglio animali in casa!”

“Ciao caro, com’è andata la giornata?”.

“E’ andata bene”, rispondo bruscamente ancora più irritato per il fatto che mia moglie vuole cambiare discorso. “Mi hai sentito?”.

“Non capisco di che cosa parli”.

“C’è un animale peloso sul tavolo della cucina”.

“Ah”, mia moglie sorride, “ma non è un animale. E’ il mio nuovo portachiavi. Me lo ha regalato il pellicciaio. Non è carino?”.

“Ma ha le dimensioni di un’anguria!”.

“E’ questo il bello”, dice serafica. “Mi perdevo sempre le chiavi. Adesso ho risolto il problema. Anche tu dovresti usare un portachiavi del genere”.

Mi trattengo dal dire che preferirei dormire fuori piuttosto che andare in giro con quel coso e affronto la questione con il garbo che mi contraddistingue: “Non penso che si adatterebbe ai miei vestiti, dovrei cambiare tutto il guardaroba per adattarlo al portachiavi e non mi sembra economico. Non lo pensi anche tu?”. Mia moglie è parsimoniosa. Sapevo che l’argomento sarebbe stato convincente. “Hai ragione, però è un peccato!”.

Dopo essermi accertato, girando per casa, che il portachiavi non fosse l’allegato di una pelliccia, mi son seduto in cucina e ho cominciato a guardarlo. “Ma il colore si abbina alle tende del salotto?”. “Non molto, per questo lo tengo in cucina”. “Saggia decisione. Speriamo che non divori la cena. Sembra vivo!”.

Sembra incredibile ma già al termine del pasto provavo affetto per lui. Stava lì, in silenzio, a guardarci mentre parlavamo, senza un minimo di discrezione, di lui.

“Non è che perde pelo?”. “Ma che dici, non è mica un animale”. “Guarda che anche le cose invecchiano”.

Improvvisamente mi tornò alla mente un episodio della mia infanzia. Mia madre che torna a casa e si rivolge a mio padre irata: “il pellicciaio è un maleducato, non ci torno più da lui!”. Mio padre, che voleva esultare ma sapeva trattenersi, chiese: “che ti ha fatto?”. “Sono andata a portare la mia vecchia pelliccia per farla risistemare: così com’è non è più di moda, è vecchia di vent’anni!”. Queste ultime parole avevano un tono di accusa verso mio padre che io, bambino, notai. “Ma a te sta tutto così bene!”, affermò mio padre che doveva pur difendersi. “Il pellicciaio”, continuò mia madre facendo finta di non sentire, “l’ha guardata e mi ha risposto che non si poteva fare nulla, era troppo invecchiata”. “Parlava della pelliccia naturalmente”, fece mio padre che, come me, non sapeva rinunciare alle occasioni di fare dello spirito. Sembrava pronto a sanare col sangue la ferita all’amante offesa. “Non fare lo scemo. Io gli ho detto che l’avevo custodita con cura per vent’anni nell’armadio”. “E lui?”, mio padre sapeva che stavamo giungendo al dunque. “E lui mi risponde: signora, se lei si fosse chiusa per vent’anni nell’armadio non ne sarebbe uscita uguale a com’era quando c’era entrata”. “Che mascalzone!”, fece mio padre che da quel giorno diventò amico del pellicciaio.

Prima di andare a letto ho lasciato sul tavolo qualche mollichina per il mio nuovo amico peloso. Hai visto mai? L’ho detto a mia moglie. “Stai diventando scemo”. “No, cara. Credo di amarlo: io lo amo!”.

 

13/11/2012 – 09:31

“Che cosa vuol dire vincere il male con il bene?”.

“Vuol dire che bisogna pensare positivo, che non bisogna dare importanza al male ricevuto”.

“Scusa, ma se tu ricevi un calcio in culo, pensi positivo?”.

“Beh, no”.

“Ecco, allora smettiamola di dire stronzate e cerchiamo di rispondere meglio alle domande che ci fanno. Facciamo entrare le nostre giornate nelle nostre risposte”.

 

21/11/2012 – 10:51

«Che cos’hai?».

Mia figlia Jane è turbata.

«E’ colpa di Tarzan? Lo vogliamo rimandare nella foresta?».

«Tarzan è perfetto. Piuttosto tu stammi a sentire e smettila di leggere il giornale, per favore». Jane è prudente come sua madre. Sa che ho bisogno di tempo per cambiare di stato, per trasformarmi da “lettore di giornale” a “padre attento e premuroso”».

«E allora?», faccio io accomodandomi in poltrona e lanciando, ogni tanto, un’occhiata al mio piacere momentaneamente perduto, badando bene di non farmi scoprire.

«Ti ricordi di Clara?».

«La tua amica d’infanzia? ».

«Non siamo amiche. La conosco da tanto tempo e parliamo a lungo – anzi, è lei che parla spesso con me – ma non siamo mai entrate in confidenza».

«Che ha combinato? ».

«E’ sempre stata brava a scuola» – Jane comincia così il suo racconto, partendo da lontano, riempiendolo di particolari per me inutili, ma non per lei, evidentemente – «anche se non sembrava molto interessata a quello che studiava. Era soprattutto intenta a esaminare i difetti degli altri. Lo faceva in modo scientifico».

«E tu la rimproveravi di questo, immagino. Che cosa le dicevi? »

«Quello che mi avete insegnato: che non bisogna parlare o pensare male di nessuno».

«A parte i presenti», aggiungo io ironicamente.

«A parte i presenti». Jane sorride.

«Ma lei mi dava dell’ingenua: “Pensi che tutti siano buoni, non ti accorgi che non esiste nessuno che non faccia qualcosa per il suo interesse?”».

«Devo dire» – continua lei – «che, più che le sue maldicenze, mi dava fastidio il fatto che avesse ragione: anch’io mi accorgevo, dopo qualche tempo, che le persone su cui chiacchierava avevano realmente i difetti di cui mi aveva parlato. Me ne accorgevo sempre dopo di lei. “Guarda che se continua a fare così prima o poi le capiterà questa o quell’altra cosa”, mi diceva. E poi, puntualmente, le sue previsioni si avveravano. Che rabbia sentire i suoi “te l’avevo detto io”».

«Forse portava sfiga», replico io per istinto, per togliere tensione al suo sfogo. «E oggi, cosa è successo oggi?». Ho fretta di arrivare alla conclusione. Stare lontano dai propri piaceri costa fatica.

«Oggi ci incontriamo per caso, ci salutiamo e iniziamo a chiacchierare. All’improvviso vediamo una nostra conoscenza comune passarci accanto piangendo. Inizialmente non si era accorta di noi, ci scorse solo passandoci accanto. “Mio padre e mia madre hanno deciso di separarsi. Me l’hanno comunicato oggi. E io non so cosa fare”, queste sono state le sue parole, dette unicamente per giustificare lo stato in cui l’avevamo sorpresa. Non cercava consolazioni. Poi si è scusata ed è andata via. Si era allontanata solo di pochi metri e Clara mi sussurrò: “Lo sapevo che sarebbe finita così. Quei due non avrebbero mai dovuto sposarsi”. Iniziò poi a inondarmi di mille particolari probabilmente veri riguardanti quella famiglia. Mi ricordai che di quelle cose ne avevamo già parlato in passato.

Clara non è cattiva ma in quel momento, si vedeva, era felice. Era felice del fatto che le sue previsioni si fossero avverate, che il suo teorema si fosse dimostrato vero. Era felice di non essere come lei. E allora ho capito».

«Che cosa hai capito?».

«Ho capito che non parlare e non pensare male di nessuno non è sufficiente. Dei difetti degli altri bisogna piangere».

«E anche dei propri».

«E anche dei propri», mi fece eco sorridendo.

Veder sorridere la propria figlia: sono soddisfazioni.

 

Re: La paura di godere

il: 22/11/2012 – 09:56

 

Pare che s. Ignazio di Antiochia abbia scritto: “Il cristianesimo non è opera di persuasione, ma di grandezza!”. Pare anche che, oralmente, abbia aggiunto: almeno credo, quando muoio ve lo saprò dire con precisione.

 

Ricevere formazione cristiana, mi hanno spiegato anni fa, è come andare a una pompa di benzina a fare rifornimento di carburante. Poi via … non è il benzinaio a decidere dove devi andare. Non è compito suo. Quello che a lui interessa è che tu vada via al più presto, perché possa rifornire di benzina qualcun altro. Mi sembra sbagliato passare la vita nelle pompe di benzina.

 

 

Re: Twitter

il: 1/12/2012 – 15:15

 

Elimod scrive al blog:

 

Carissimi, proprio stamattina nelle lodi ho pregato che il Signore mi facesse scoprire un forum dove autori cristiani e non (intendo persone legate dalla passione per l’evangelizzazione attraverso la scrittura e l’arte) si confrontino serenamente, apertamente. Da tempo cercavo uno spazio simile e sono contenta di esserci arrivata.azione attraverso la scrittura e l’arte) si confrontino serenamente, apertamente. Da tempo cercavo uno spazio simile e sono contenta di esserci arrivata.

 

Cara Elimod, non vorrei che ti fossi fatta una idea troppo elevata dei frequentatori di questo blog. E’ gente che, a incontrarla nel mondo reale, fa paura.

Prendiamo don Mauro, ad esempio, l’organizzatore del gineceo. E’ chiaramente un sadico. Ma hai visto che cosa ha combinato al povero don Gianpaolo? Prima lo invita in tono supplichevole a scrivere qualche post: “vieni, dammi una mano, cerca di trovare il tempo, non è difficile usare il pc …”. E lui, don Gianpaolo, alla fine gli crede, si intenerisce, si fa vincere dalla sua emotività, e comincia a illudersi che vogliano conoscere veramente la sua opinione su questo o su quello. E così lui, lo sventurato, finisce per palesarla. E invece no: è lui che vogliono conoscere. E finiscono per utilizzare le sue parole per farlo a pezzi (tipo Hostel, non so se hai visto il film).

Dammi retta: è gente che ama vivisezionare. Tu arrivi nel blog e ti accoglie Tres … e ti sembra l’isola della felicità. Invece anche lei fa parte dei persecutori. L’hanno messa all’accoglienza perché è l’unica del gruppo incapace di dare con naturalezza dello “stronzo” a uno stronzo. Ma anche lei è come le altre. Stacci attenta. Lei sa che dentro ci sono Acida, Vittoria, Fefral, Lidia, … (persone che, a lasciarle fare, ti macinano il cervello neurone per neurone) e nonostante questo ti invita a entrare. Ormai ho capito che quando inizia un post con “Tesoro mio …” non vuol dire altro che questo: che si è liberato spazio nel congelatore. Al primo “tesoro mio …” scappa via a gambe levate! Paola questo l’ha capito, infatti non c’è quasi mai. E’ sempre sul punto di uscire quando scrive un post.

Una volta, tanto per dirne un’altra, presentai a don Mauro un amico. Gli dissi: è un bravo ragazzo, tutto casa e chiesa. Pensavo che questo lo stendesse. E invece lui lo sai che mi dice? Mi dice così: “Ma non conosci qualcuno che ritenga la masturbazione un atto necessario per lo sviluppo dell’identità sessuale della gioventù? Oppure qualche amico che pensi che sotto la terza misura non può essere vero amore? Voglio conoscere persone così”.

Ora, dico io, ti sembrano parole da prete queste?

Gli uomini del blog hanno capito come funziona.

Scriteriato si guarda bene dall’affermare limitandosi ad ammirare.

Federico era già a pezzi prima di frequentare il blog. Quando ha cominciato a raccontarci della sua collezione di film zozzi lo sai che ho pensato? Ho pensato: quest’uomo ha un problema. Sicuramente la moglie si sarà stufata di tenere in salotto tutti quegli scatoloni pieni di videocassette. “Che dici se mettiamo al loro posto una vetrinetta con i regali della lista nozze?”. “Ma, amore, e le videocassette?”. “Buttale via!”. “No, piuttosto mi iscrivo a qualche blog di cattolici e vedrai che riuscirò a smerciarle a metà prezzo”.

Quanto a me, io non esisto neanche. Né io, né la mia storia. Ma questo non mi crea problemi. Abelis esiste, forse? Eppure se ne parla.

Elimod, benvenuta nel blog!!!

 

 

Re: Lamicizia tra uomini e donne

il: 11/12/2012 – 10:06

 

L’amicizia riconosce “familiarità” tra persone differenti che, su una qualche materia, vedono le cose dallo stesso punto di vista. Ora, la familiarità genera “affetto” quindi ogni amicizia tende a diventare affettuosa. E’ questo aggettivo che trasporta i “doveri” all’interno di una relazione governata dalla volontà libera.

Affetto è la parola che solitamente utilizziamo per qualificare l’amore dei genitori nei confronti dei figli ed è anche la parola migliore, secondo me, per qualificare l’amore coniugale, che può vivere senza amicizia ma non può vivere senza affetto. L’affetto Lewis lo definisce come un bisogno di “dare” a chi sentiamo in qualche modo consanguineo, un bisogno di sentirsi necessari per qualcuno.

L’affetto non nasce dall’apprezzamento, come invece l’amicizia.

“Si può essere orgogliosi di «essere innamorati», o di un’amicizia; l’affetto, al contrario, è modesto, quasi furtivo e schivo”.

[…]

“Quello che ho definito «amore di apprezzamento» non è un elemento costitutivo dell’affetto; di solito, soltanto l’assenza o la privazione ci fanno apprezzare le persone verso le quali proviamo questo semplice affetto, e che finiamo per considerare come scontate: e questo dare per scontato, che sarebbe un affronto in un rapporto di tipo amoroso, in quest’ambito invece è, fino a un certo punto, ammissibile e appropriato, e ben si adatta alla natura confortevole e tranquilla di questo sentimento. L’affetto non sarebbe tale se dovessimo esternarlo a parole, e spesso: esibirlo in pubblico fa lo stesso effetto che trasportare all’aperto il nostro vecchio mobilio durante un trasloco; nel suo posto abituale faceva la sua figura, visto adesso alla luce del sole sembra malandato, pacchiano, grottesco. L’affetto dà l’impressione di infiltrarsi, di insinuarsi furtivamente nella nostra esistenza. Esso predilige gli oggetti più umili, disadorni, privati: comode pantofole, vecchi abiti, vecchie storielle, il battere ritmico della coda di un cane sonnacchioso sul pavimento della cucina, il ronzio di una macchina da cucire, un pupazzo dimenticato sul prato”.

[…]

“Fare amicizia è ben diverso dall’affezionarsi a qualcuno, ma quando un amico diventa un vecchio amico, tutte quelle cose che, originariamente, non avevano alcun rapporto con la nostra amicizia per lui ci divengono familiari, e quindi care. Anche un amore passionale può diventare col tempo estremamente sgradevole se, passato il momento di trasporto iniziale, non si riveste dell’abito senza pretese dell’affetto. Altrimenti diventerebbe una condizione troppo scomoda: troppo angelica o troppo animale o, a turno, entrambe le cose; sempre troppo grande o troppo piccola per i bisogni dell’uomo”.

[…]

“Gli amici e gli innamorati sentono di essere «fatti l’uno per l’altro». Vanto dell’affetto, invece, è proprio il fatto di legare persone che, nella maniera più assoluta – talvolta fino a sfiorare il ridicolo – non si direbbero certo spiriti affini; individui che, se il fato non avesse deciso di metterli a vivere nello stesso ambiente familiare o nella stessa comunità, non avrebbero mai avuto niente in comune. Solo se l’affetto accenna a diminuire – e non è detto che ciò debba accadere – cominceremo allora ad aprire gli occhi”.

L’affetto per i figli nasce dall’averli generati. L’affetto tra coniugi può nascere da una loro amicizia preesistente ma anche dal rispetto dei ruoli (non dei compiti) che la relazione coniugale in sè “impone”. Non ho ancora letto i libri della Miriano ma, dai loro titoli e da qualche informazione ricavata qua e là, penso di poter dire che essi si siano limitati a sviluppare nel presente ciò che san Paolo scrive a proposito del rapporto tra mogli e mariti.

Poi esiste la possibilità per l’affetto, che non si preoccupa delle differenze, di generare amicizia. E’ il bello della vita. Provare per credere.

 

 

Re: Twitter

il: 12/12/2012 – 09:10

 

Il mio amico Yanez mi prega di inserire questo post, che lui non è pratico. Non sono d’accordo con nulla di quanto scrive, ma lui è un tipo aggressivo e io, per paura, devo fare come dice.

 

Cara Lidia,

io non ho mai scritto un tweet. Mi vuoi sposare?

Capisco che forse è un po’ poco per farti dire di sì. Ma, dico, hai letto quello che ha scritto quel citrullo di Sandokan nell’altra stanza di questo blog? Basta poco, per cominciare. Mi dispiace di non avere una mia foto con me ma, ti assicuro, sono quanto di più simile a un sumero che si possa trovare oggi sul mercato. Niente a che vedere con un sumero originale, d’accordo, ma … insomma … non se ne vedono in giro da duemila anni!

Ma forse tu non sei d’accordo con quello che scrive Sandokan. Ti capisco, anch’io non lo riconosco più. Si è rincretinito. E’ tutta colpa di sua moglie e di Jane … poi ci si sono messi anche Tres e Fefral. Se mi si avvicina ancora a leggermi la poesia sulle giraffe ti giuro che gli tiro in testa il portacenere (sono un fumatore accanito, è giusto che tu lo sappia)!

Tres e Fefral hanno rincretinito anche don Gianpaolo. Ormai è quasi addomesticato. L’hanno sistemato sul divano del salotto, tra la vetrinetta portagioie e l’abat-jour. Ogni tanto lui cerca di ribellarsi: “No, le emozioni no!”, dice rialzando la testa. Ma ormai è preso. Non lo stanno più nemmeno ad ascoltare: gli fanno una carezza, gli danno un biscottino e lui torna ad accucciarsi buono buono.

Anni fa io e Sandokan passavamo il tempo a cacciare le tigri. Era uno spasso. Ora sto qui a girarmi i pollici e a guardare lui che sorride alla luna. Ma, dico, si può?

L’altro giorno abbiamo fatto un giro per caverne qui in Malesia … tanto per fare una cosa diversa dal solito giro per negozi che gli propinano i suoi cari. Ce n’era una con le pareti piene di graffiti e di scritte: “Ti amo, parliamone”, “Ragazzo Tic cerca ragazza Tac per fare Tic-Tac”, “Vorrei rimbalzare nel flipper del tuo cuore” … insomma frasi così. Io ho cominciato a dire che non c’è più rispetto per la natura, che non ci si comporta in questo modo … cose che qualunque persona sana di mente avrebbe detto. Lui invece sai che fa? Se ne esce con questa frase: “Per te gli uomini delle caverne hanno dipinto sulle rocce”. “Ma che stai dicendo? Per te chi?”. “Per la donna”, mi fa lui. Per fortuna sua non c’erano massi a portata di mano. Quando perdo il controllo perdo il controllo. Sono fatto così.

Lidia! Ti prometto battute di caccia, una casa sugli alberi e lunghe serate passate senza dire una parola, almeno da parte mia. Chi ti può offrire di più?

Tuo (?)

Yanez

 

 

Re: Cheppalle queste prediche!

Il: 13/12/2012 – 10:20

 

Tarzan mi segue ovunque quando gli è possibile. Lo fa non perché gli piacciano i luoghi che bazzico. Semplicemente si fida di me.

Per questo motivo ha iniziato a frequentare la Messa feriale. Ciò che lo colpisce in particolare è – più che la liturgia che, al momento, per lui è quasi incomprensibile – la fauna che normalmente popola la chiesa. Non è propriamente quello che si dice un campione rappresentativo della realtà.

Innanzitutto quando entriamo lui si sente immediatamente oggetto di ammirazione da parte delle attempate signore che recitano il Rosario in attesa che inizi la celebrazione. Secondo me per lui il Rosario è la sigla iniziale dello spettacolo. So poi perché lo ammirano. Sono sicuro che le arzille vecchiette ogni giorno sognano le loro nipoti sciampiste unite a lui in matrimonio. Perché è un bel ragazzo, sapete. “E poi viene in chiesa”, pensano. “Dev’essere buono”.

C’è anche qualche giovane signorina tra i fedeli. Una in particolare si siede vicino a noi e passa tutto il tempo a guardare in alto. Un giorno Tarzan mi interroga: “Perché guarda in alto?”. “Non guarda in alto, vuole soltanto mostrarsi attratta dal Signore dei Cieli. E’ un atteggiamento di preghiera”. La mia argomentazione non lo convince. Ha la testa dura. “Ma non è anche Signore della Terra? No, secondo me nella cupola della chiesa c’è qualcosa … o qualcuno. Alla fine della Messa vado a vedere”. Ho usato tutta la mia forza di persuasione per dissuaderlo. Ve lo immaginate aggrappato alle colonne? Un po’ però mi è dispiaciuto: è nato nella foresta, sapete, un’arrampicata ogni tanto per lui è necessaria.

Una signora anziana ha il monopolio dei canti. Non è intonata e non se li ricorda più bene. Ma se qualcuno si azzarda a prendere iniziative a sua insaputa comincia a cantare più forte e tu devi arrenderti. Neanche il sacerdote ha poteri su di lei. Nelle parti che non ricorda inizia a farfugliare, ma a voce alta. E così costringe anche noi, che invece le parole ce le ricordiamo, a farfugliare.

Maschi ce ne sono pochi. C’è il nipote di qualche pia donna presente. Non mi fa una grande impressione, devo dire. Di un ragazzo che serve Messa ho sentito dire: “E’ un bravo ragazzo, credo che voglia fare il prete: la ragazza non ce l’ha”. Questi discorsi li sentivo anch’io da piccolo. E’ uno dei motivi per i quali non volevo servire Messa. Perché io volevo avere una ragazza, volevo dire le parolacce, volevo essere come gli altri.

Ogni tanto, vi confesso, riesco a pensare a Dio che sta morendo davanti a tutto questo: alla signora stonata che canta, al giovanotto sfigato che “lavora” per diventare prete, alla signorina che guarda lassù chissà mai perché, a Tarzan che non sa bene dove si trova e a me che rido di tutto questo.

E mi vergogno un po’.

 

 

Re: Cheppalle queste prediche!

il: 17/12/2012 – 09:27

 

XXXX, 20 dicembre 2010

Carissimi,

stamattina a Messa il sacerdote ha letto il colloquio tra l’angelo e Maria (Lc 1, 26-38).

Maria, riflettendo su quanto l’angelo le prospetta, di fronte alla sua vocazione, chiede

“Come è possibile?” e l’angelo risponde così: “Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza

dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra …”. E Maria risponde: “Ecco la serva del Signore:

avvenga per me secondo la tua parola”.

Maria, che è piena di grazia, non si sente capace … e chiede aiuto.

Un mio amico, qualche giorno fa, mi ha scritto di non credere che “i problemi [del mondo]

si possano risolvere con una prece o un salmo”. Penso che Maria sia d’accordo con lui. Lei

infatti non chiede aiuto per risolvere i problemi del mondo … lei ha bisogno di aiuto per

risolvere i problemi di Dio.

La forza di Maria sta nella sua visione indiretta, mediata, della realtà.

Ho pensato a Maria qualche anno fa leggendo Italo Calvino e la sua lezione sulla

“Leggerezza”:

“L’unico eroe capace di tagliare la testa della Medusa è Perseo, che vola coi sandali alati,

Perseo che non rivolge il suo sguardo sul volto della Gorgone ma solo sulla sua immagine

riflessa nello scudo di bronzo. <…> Per tagliare la testa di Medusa senza lasciarsi pietrificare,

Perseo si sostiene su ciò che vi è di più leggero, i venti e le nuvole; e spinge il suo sguardo su

ciò che può rivelarglisi solo in una visione indiretta, in un’immagine catturata da uno

specchio. <…> E’ sempre in un rifiuto della visione diretta che sta la forza di Perseo, ma non

in un rifiuto della realtà del mondo di mostri in cui gli è toccato vivere, una realtà che egli

porta con sé, che assume come proprio fardello.<…>

Nei momenti in cui il regno dell’umano mi sembra condannato alla pesantezza, penso che

dovrei volare come Perseo in un altro spazio. Non sto parlando di fughe nel sogno o

nell’irrazionale. Voglio dire che devo cambiare il mio approccio, devo guardare il mondo con

un’altra ottica, un’altra logica, altri metodi di conoscenza e di verifica. Le immagini di

leggerezza che io cerco non devono lasciarsi dissolvere come sogni dalla realtà del presente e

del futuro …”.

Il sacerdote ha poi tenuto una breve omelia a commento del Vangelo, omelia nella quale ha

paragonato l’ombra dell’Altissimo che scende su Maria all’ombra prodotta dalle mani dei

sacerdoti congiunte sul pane e sul vino durante ogni Messa. L’ombra dell’Altissimo

consacra la vita di Maria e consacra anche l’Eucarestia!

Poi mi sono comunicato, ho ricevuto l’Eucarestia, e ho pensato alla risposta che Maria

diede all’angelo.

L’anno scorso un religioso francescano, durante un incontro con i genitori a scuola di mia

figlia, disse che nelle “Litanie lauretane” Maria è chiamata in molti modi bellissimi …

manca però l’unica cosa che Maria dice di sé: “Ancilla Domini” … “Serva del Signore”.

“C’è un’analogia profonda tra il fiat pronunciato da Maria alle parole dell’Angelo, e

l’amen che ogni fedele pronuncia quando riceve il corpo del Signore”. Così dice Giovanni

Paolo II al punto 55 dell’enciclica Ecclesia de Eucharistia e così vorrei che fosse per me e

per tutti voi.

Buon Natale.

 

 

Re: Però non chiedermi di perdonarti, non ce la faccio

il: 18/12/2012 – 14:14

 

Una proposta illuminante per il nostro don Mauro: caro don Mauro, quando un argomento è profondo mettiamo nel post una P, quando è molto profondo una doppia PP, quando è una cazzata una C. Mi sembra giusto poi che sia il prete a stabilire quando un argomento è profondo, solo che qui di preti ce ne abbiamo due. Come fare? Ci vuole un terzo prete che stabilisca il livello di profondità dei preti qui presenti. Chi ne conosce qualcuno (che sia profondo, mi raccomando) lo presenti!

PS Questo è un post di tipo C

 

 

Re: Però non chiedermi di perdonarti, non ce la faccio

il: 20/12/2012 – 11:03

 

Si avvicina il Natale, fervono i preparativi.

Cerco di stare fuori casa più tempo possibile. Non voglio far parte del comitato organizzatore. Ma, sulla porta, mia moglie mi ferma: “Dove stai andando? Non startene in giro tutto il giorno. Mi serve una mano”.

“Con chi staremo per Natale?”, dico io facendo finta che fosse questo pensiero a spingermi fuori casa.

“Dunque, la Vigilia si cena da tuo fratello!”.

“E mio fratello lo sa?”.

“Ne ho parlato io con sua moglie. Per favore, visto che in casa non sai stare, cerca di sistemarti un po’. Vai a tagliarti i capelli per esempio. Perché non vai dal mio parrucchiere? E’ per uomo e per donna, sai?”.

“Da Jean Louis David? Non mi sento al sicuro lì dentro!”

“Ma perché? Ci sono più uomini che donne”.

“Guarda, tesoro. Io vado dal barbiere. Si chiama Pasquale e mi fa lo stesso taglio da 46 anni”.

La parola “Tesoro” ho imparato a usarla da poco. Non vi dico da chi l’ho imparata. Sono timido.

“Fai come ti pare. Ah, stasera in parrocchia hanno organizzato la tombolata. Ricordati”.

La tombolata! Mi ero scordato la tombolata. E’ una delle iniziative di cui si è discusso nell’ultimo consiglio parrocchiale dedicato ai festeggiamenti natalizi. Accanto a me, nel consiglio, c’era una suora un po’ dura d’orecchi. “Che stanno dicendo?”. “La tombolata, vogliono fare una tombolata”, ho provato a urlargli. “Come?”. “La tombolata”, dico aiutandomi con i gesti. “Ah, la tombola. Che bello. Ci sarò sicuramente”.

Ho alzato la mano: “Scriviamo i numeri estratti sui cartelloni”. La proposta è stata accolta entusiasticamente da tutti.

“Che ha detto?”, dice ancora la suora. “Ho proposto di scrivere i numeri sui cartelloni”. “Come?”. “I cartelloni!!!”.

Rispondo a mia moglie: “Va bene. Verrò alla tombolata. Ma se sento di nuovo la solita canzone ti giuro che colpisco qualcuno”.

“Ma quale canzone?”, dice lei. “Ah, ho capito”. E comincia a cantare sorridendo:

A Natale puoi,

fare quello che non puoi fare mai:

riprendere a giocare,

riprendere a sognare,

riprendere quel tempo

che rincorrevi tanto.

Vi dirò che sono una tigre buona. Sono anni che non picchio nessuno. Secondo voi, posso farlo a Natale?

 

 

Re: Natale e “il grande, assurdo, regalo di me stesso”

il: 27/12/2012 – 11:20

 

Le feste – rumorose, allegre – sono piene di sconosciuti o semi-sconosciuti con i quali ti tocca parlare.

L’approccio con i semi-sconosciuti è piuttosto semplice: “Ciao! Da quanto tempo non ci vediamo! Come stai?”. Il “come stai?” l’ho sempre inteso – prima di conoscere Tres, si capisce – come una domanda retorica perché ammette, come unica risposta socialmente accettabile: “Bene, grazie!”. Se ti azzardi invece a riempire la tua risposta di dettagli, finisce che nessuno ti rivolgerà più la parola per il resto della serata. E allora alla festa che ci sei andato a fare?

L’approccio con gli sconosciuti invece è più complicato, almeno per me. Perché so che prima o poi finiranno per chiedermi: “di che cosa ti occupi?”.

Ora, non c’è niente di segreto nelle mie occupazioni. Solo che non posso rispondere a questa domanda con una sola parola (mentre so che questo è il desiderio segreto di chi me l’ha rivolta). Se facessi il barbiere, il medico, l’architetto tutto sarebbe più semplice. Ma, almeno in Malesia, pochi sanno che lavoro faccia l’analista di processo. Oppure quelli che lo sanno non vanno alle feste. E io – è un mio difetto, lo so – non mi diverto a parlare lingue sconosciute. Voglio essere compreso.

Così, negli anni, ho maturato sempre nuove definizioni per il mio lavoro. A scopo divulgativo. Per fare un figurone alle feste presso le quali mi invitano. Perché mi piacciono le feste, sapete. Purché si possa parlare. Perché parlare mi piace di più. E anche ascoltare (anche se questa è una scoperta recente).

All’inizio la mia risposta durava svariati minuti. Ero fresco di studi. Ci tenevo a far sapere a tutti in dettaglio quali fossero le mie mirabolanti attività. Ma, presto, mi accorsi che non riuscivo mai a terminare le mie spiegazioni: il mio interlocutore, lo vedevo nei suoi occhi, si pentiva di ciò che mi aveva chiesto. Aveva fretta di parlare d’altro. O di ricevere una telefonata dalla zia, dalla suocera … da chiunque che potesse strapparlo da me.

Per un po’ di tempo, vi confesso, mi indignai per l’indifferenza del mio prossimo verso la mia vita lavorativa. E decisi di dire, al mio prossimo, ciò che lui voleva sentire. “Vuoi sapere che lavoro faccio? Eccoti servito: aggiusto computer”. Le mie relazioni sociali per un po’ migliorarono. La mia risposta era sintetica e comprensibile. Ma non era vera. E questo mi provocava problemi. Problemi di vanità (“ha tanto studiato e poi è finito in laboratorio a sistemare computer”, questo pensavano tutti senza dirmelo, lo so) e anche di coscienza, perché le bugie non le so dire.

Oggi invece ho elaborato una risposta migliore, soddisfacente per me e per gli altri. Non è perfetta, sapete. E’ semplicemente il meglio che sono riuscito a partorire fino ad oggi. Ma conto di migliorarla. Guardando le facce di chi la sta a sentire.

Questo mio, chiamiamolo “desiderio pieno di essere compreso” si è trasformato, nel tempo, in “desiderio pieno di comprendere”. Adesso mi esercito in tutto. Ho letto che Einstein diceva che nessuno poteva vantarsi di aver capito realmente qualcosa se non era in grado di spiegarlo a sua nonna. Ecco, quando leggo qualcosa che mi emoziona, per esempio, faccio finta di essere mia nonna. Vorrei spiegarglielo, per emozionare anche lei.

Ieri, per esempio, ho letto una frase della Familiaris Consortio che diceva così: la famiglia riceve la “missione di custodire, rivelare e comunicare l’amore”. Mi è piaciuta questa frase (ed è pure scritta in corsivo: dev’essere importante).

Custodire l’amore … son sicuro che esistono numerosi libri bellissimi capaci di dare sostanza a una frase del genere. Ma non posso dare a mia nonna un libro.

Mi sono fatto aiutare dall’attenzione che il Natale rivolge a Maria, a Giuseppe e al loro Bambino. Per loro la frase custodire l’amore voleva dire custodire un Bambino. Questo, ho pensato, è in fondo il compito della famiglia di Nazareth: custodire il Bambino. Ma non sarà forse il compito di ogni famiglia custodire Gesù Bambino? Non è, per caso, questo il matrimonio cristiano? L’affidamento di Gesù Bambino a ogni coppia di sposi? Non è questo compito comune l’origine della comunione coniugale?

Gesù adulto ci ha chiamati amici, uno per uno. Gesù bambino ci chiama mamma e papà, famiglia per famiglia. E noi lo guardiamo sorridendo: non è carino?

 

 

Re: Lamicizia tra uomini e donne

il: 28/12/2012 – 10:17

 

“Voi uomini siete tutti uguali. Le donne poi, non le conoscete”.

Ogni tanto sento in giro frasi del genere. Frasi leggere, inutili. Forse. O forse no. La mia reazione, ascoltandole, dipende dal mio stato d’animo. Alcune volte sorrido, altre volte mi arrabbio. Un giorno a una mia conoscente replicai così: “Guarda, le donne forse non le conosco. Ma forse non le voglio conoscere. Non tutte. Non te”.

Qualche anno fa – eravamo in macchina, di ritorno da una gita – mia moglie mi raccontò di una conversazione che ebbe con sua madre molti anni prima. Sua madre le aveva chiesto: “Ma non hai paura a stare con lui?”. Ci conoscevamo da un po’, frequentavo spesso la loro casa e, vi assicuro, sono mansueto. Ma questa domanda, che inizialmente mi fece sorridere, in fondo non mi sorprese. E non sorprese neppure mia moglie.

C’è sempre paura quando due persone si avvicinano oltrepassando la distanza di sicurezza. Oltrepassando i pregiudizi, le proprie esperienze personali, le proprie abitudini. Solo allora ci si accorge che non c’è nessuno uguale a un altro. Le frasi inutili, come quella con cui ho iniziato questo post, hanno in realtà uno scopo: mantenere tra individui la distanza di sicurezza.

Mia suocera, che è morta da qualche anno, ha vissuto in un’altra epoca. Non ha potuto andare all’università perché allora, nel dopoguerra, le donne non vivevano da sole fuori casa e, nella sua città, l’università non c’era. Si fidanzò con un cugino. Non lo conosceva bene. Lo immaginò come non era. Visto dalla sua stanza sembrava il principe azzurro. Viveva lontano da lei – lavorava al nord – e si scambiavano lettere d’amore. Un giorno venne a sapere che lui si era fatto un’altra vita, aveva avuto un figlio da un’altra donna, tra una lettera d’amore e un’altra che le scriveva.

Molti anni dopo conobbe quello che diventò suo marito. Lo incontrò ad una età nella quale la scelta matrimoniale è più meditata, calcolata. Non si sognano più principi azzurri o forse li si cercano tra gli ingegneri, gli avvocati, … Lo sposò e per tutta la vita lo tenne a distanza. Lui doveva fare l’uomo, con una vita tutta fuori casa verso la quale lei stessa lo spingeva. La sua vita invece era tutta dentro la sua casa, sebbene fosse maestra. Supponeva che lui avesse avuto delle amanti ma non era gelosa. Lo considerava normale. Voglio dire che non aveva sospetti su questa o quella persona e non poteva averne perché lui la amava, lo so. Semplicemente secondo lei gli uomini tradivano e quindi anche lui tradiva. Ho quasi il sospetto che lo avrebbe stimato meno uomo se in qualche modo avesse avuto la certezza che lui le era fedele. E questa era la verità: lui le era fedele. Ma per lei era uguale a quell’altro, era uguale a tutti gli altri.

Poi arrivo io, con i miei discorsi, la mia vita, le mie abitudini. E lei ha paura. Ha paura per sua figlia. E ha anche paura di aver sbagliato qualcosa. Le cose potevano andare diversamente. Certo, si sarà detta, attraversare la strada può essere pericoloso. Bisogna fare attenzione, guardarsi in giro, rispettare i semafori. Ma è sempre meglio che passare tutta la vita sullo stesso marciapiede.

Ma forse non si è detta niente di tutto questo, forse avrà semplicemente pianto. Dio, sono certo, la ricompenserà.

 

 

Re: Lamicizia tra uomini e donne

il: 30/12/2012 – 23:02

 

Lidia! Mi hai fatto rileggere Anna Karenina e sto realmente prendendo in considerazione di studiare il Codice di Hammurabi (vado a comprarlo alle Paoline … ce l’avranno?). Ti voglio bene. Per cortesia in futuro cerca di cambiare poco, cioè quanto basta per rimanere come sei.

Stasera vado a letto sorridendo: a Scarabeo ho polverizzato mia moglie e Jane. Tarzan tifava per me!

 

 

Re: Twitter

il: 4/01/2013 – 08:59

 

Mauro Leonardi scrive al blog:

Un amico mi dice che mi sto allontanando dalle persone più vicine a me. È vero e lo ringrazio. Veramente non vedo come fare diversamente.

 

Mi raccomando, che sia l’allontanarsi dei bambini!

 

Bambini di Rainer Maria Rilke

 

Una cosa sola è necessaria: la solitudine.

La grande solitudine interiore. Andare con se stessi, e per delle ore,

non incontrare nessuno, è a questo che bisogna giungere.

Esser soli come il bambino quando le persone grandi vanno e vengono,

mescolate a cose che ad esso sembrano grandi e importanti

solo perchè i grandi se ne interessano e il bambino non capisce niente di ciò che fanno.

Il giorno in cui si vede che le loro preoccupazioni sono misere, i loro mestieri freddi

e senza rapporto con la vita, perchè non guardarli, come fa il bambino,

come cosa estranea all’intimo del proprio mondo, della nostra grande solitudine,

che è essa stessa lavoro, disciplina e mestiere?

Perchè voler cambiare il saggio non-comprendere del bambino per la lotta e il disprezzo,

se non comprendere vuol dire accettare di esser soli e che lotta e disprezzo son modi

di prender parte alle stesse cose che si vogliono ignorare?

Se non vi è comunione fra gli uomini, tentate di essere vicino alle cose: esse non vi abbandoneranno.

Vi sono ancora delle notti e vi sono ancora dei venti che agitano gli alberi e passano sui paesi.

Nel mondo delle cose e in quello delle bestie tutto è pieno di avvenimenti ai quali

potete prender parte.I bambini sono sempre come il bambino che foste voi: tristi e felici;

e se pensate alla vostra infanzia, rivivrete fra di loro, come i bambini segreti.

Le persone grandi non sono niente, la loro dignità non risponde a niente.

 

 

Re: Oggi ho incontrato una persona buona

il: 7/01/2013 – 10:21

 

In risposta a don Gian Paolo, che si domandava cosa fosse un pippone.

 

Pippone (s.m.): La parola “pippone” – così come la parola “minchia”, con la quale esistono delle sorprendenti contiguità – ha perso nel tempo il legame con le sue origini. Si è ingentilita. Si è trasferita, per così dire, dalla sfera biologico-emozionale alla sfera psicologica.

Oggi descrive, più che altro, uno sfogo di tipo logorroico con finalità afflittive che produce uno stato d’animo di un determinato tipo.

Si diceva del legame con la parola “minchia”. Ciò è evidente constatando come, pochi minuti dopo l’inizio di un “pippone”, la parola “minchia” prenda forma sempre più chiaramente nel cervello del soggetto “passivo” (il fruitore del pippone). Lui, il fruitore, vorrebbe fuggire lontano per poterla urlare al mondo. Ma spesso non può.

Tipici esempi di pipponi sono i discorsi rivolti dai genitori ai figli, dai presidenti della Repubblica ai cittadini, dalle mogli ai mariti e dagli insegnanti agli alunni.

[Tratto dal Dizionario della lingua Malese]

 

 

Re: Oggi ho incontrato una persona buona

il: 9/01/2013 – 09:11

 

L’ho incontrato ieri, in fotografia. Non lo vedevo da venticinque anni. Giocavamo a basket assieme. Quest’estate mi avevano detto che stava male. “Ti ricordi di Claudio? Ha pochi mesi di vita”. Non mi ricordavo di Claudio. Poi ieri ho visto una sua foto. E mi sono commosso. E’ morto, sapete? Quanta gente mi è passata accanto in questi anni, e io non me la ricordo nemmeno! Sono triste per questo.

 

 

Re: “Sia fatta la Tua volontà”

il: 15/01/2013 – 09:36

 

Su Facebook non ho soltanto amici che postano culi* e frasi di Shakespeare, a giorni alterni. C’è anche qualcuno, come Vittoria, che posta un manifesto di Jérome Lejeune sulla legge naturale. E mi consente di riallacciare vecchie amicizie.

La legge naturale. Quante discussioni con i miei amici intorno ad essa. In passato e anche oggi. Legge naturale e libertà erano e sono argomenti sui quali sono sensibile. Speculazioni astratte, direste voi. Lo credevo anch’io, ma questo non mi impediva di prendermene cura. Ai maschi piacciono i discorsi astratti: sono capaci di discettare per anni delle virtù che dovrebbe possedere la donna ideale e sono anche capaci, nella pratica, di scegliere come propria compagna per la vita quella con le tette più grosse che gli sia capitata a tiro. Sono fatti così.

Tornando a noi, col tempo mi resi conto che quelli sulla legge naturale non erano soltanto discorsi astratti. Solo in base a questa legge potevo dire a Jane, bambina, frasi del tipo “non è giusto che tu inizi a mangiare a tavola prima che tutti quelli che ti hanno preparato da mangiare si siano seduti assieme a te”.

Lei, oggi lo so, avrebbe potuto rispondermi: “ma perché mi devo preoccupare di voi se ho fame” ovvero “perché mi torturi con queste regole che sono solo tue ma che non valgono per me”. So anche perché non lo ha mai fatto. Perché in cuor suo sapeva che non stava obbedendo a me. Ogni tanto non riusciva a vincere la fame e non ci aspettava. Disobbediva alla regola. Ma poi chiedeva scusa. I bambini in questo si differenziano dagli adulti: sanno di poter sbagliare, sono coscienti delle proprie debolezze, e sanno chiedere scusa. Gli adulti invece credono di non aver diritto all’errore e preferiscono, di fronte ad esso, costruirci sopra una filosofia che lo giustifichi, che lo renda socialmente accettabile, e che li giustifichi agli occhi dei vicini e davanti alla propria coscienza.

Anni fa lessi che gli uomini sono gli unici esseri viventi che, per mangiare, si mettono a tavola. La legge di natura li “obbliga” anche nel soddisfacimento degli istinti più primitivi. Anche l’accoppiamento sessuale deve seguire norme “rituali” se vuole essere umano, non credete?

“La legge della Natura è uno schema che l’Uomo ha creato per comprendere i meccanismi della Natura. La Natura non ha leggi, la Natura procede per tentativi e adattamenti. Nella Natura non esiste una verità a priori. Quello che è vero oggi potrebbe essere falso domani, in funzione di mutamenti dell’ambiente per esempio. Questa è l’unica legge che la Natura conosce. Perciò giustificare alcune azioni umane, che in quanto fatte dall’uomo poi dovrebbero in linea di principio essere esse stesse naturali, come non naturali mi sembra quanto meno forzato”.

Il mio amico non le manda a dire. E’ una brava persona, sapete? Lavoravamo assieme un tempo, lui è pieno di idee e di interessi. Lui ama la tecnologia in sé mentre io amo soltanto il suo utilizzo in progetti che mi coinvolgono. Poi io mi sono trasferito in Malesia e i nostri rapporti si sono allentati. Ci rimane Facebook. E’ poco direte voi … beh, è quello che abbiamo.

Penso che, sul punto, abbia torto. E gliel’ho scritto. Cultura, uomo e natura sono tre cose diverse senza essere estranee. Prendiamo la “codardia”: è “umana” nel senso che l’uomo ne è capace, ma non è “naturale” perché nessun uomo, in nessuna cultura, ha mai pensato che sia da “uomini” essere codardi. La cultura poi, se non è cammino verso la verità, cos’è? A che serve? Non può diventare un pretesto per giustificare le proprie vigliaccherie?

Spesso i difensori della legge naturale sono considerati “integralisti”, “intolleranti”. Ma io, così come non mi sento di possedere tutta la verità se affermo che il teorema di Pitagora è vero, allo stesso modo non mi sento intollerante se dico che non bisogna fare agli altri quello che non vorrei fosse fatto a me. Il cammino verso la verità comincia da qui. La cultura mi sarà di aiuto, la natura mi sarà di aiuto, la fede mi sarà di aiuto e anche i miei amici, se la cercano con me. Ma io non cerco la verità in una cultura.

 

NOTA

*Culo è volgare, lo so. Gigi Proietti si chiedeva perché “culetto” non fosse volgare, mentre il “culo adulto” lo fosse. E’ arrivato a questa conclusione che sottopongo alla vostra attenzione: “se vede che se guasta cor crescere!”.

 

 

Re: Twitter

il: 16/01/2013 – 19:36

 

Yanez è proprio un bel tipo. E poi ride alle mie battute. Anzi, di più. Quando siamo assieme è come se fossimo alla costante ricerca, attorno a noi, di qualcosa su cui ironizzare. E di qualcuno che sorrida assieme a noi.

Non sempre, ormai sarà chiaro a tutti, il mio senso dell’umorismo mi porta vantaggi, a parte quello di divertirmi e di divertire qualcuno, naturalmente. Per una come Tres che sorride ce ne sono altri dieci che lottano contro la tentazione di tirarmi addosso una scarpa. E quest’epoca, oltretutto, non è la migliore per chi ha deciso di vivere lottando contro le tentazioni. Ma il sorriso di Tres non ha prezzo, vale il sacrificio.

Anche a Fefral piacciono i miei post, ma non so se la fanno sorridere. Un complimento però me l’ha fatto. Ha scritto – cito a memoria, mi potrei sbagliare – che un mio post è meglio di un calcio sulle p…. (Ribelle! So che è stata dura arrivare a leggere il mio post fino a questo punto ma sappi che i puntini li ho scritti pensando a te, mentre tutti gli apostrofi sono per Lidia, non c’è bisogno di dirlo). Fefral! Non è granché come complimento, ma … è meglio di un calcio sulle p….

Qualche volta io e Yanez non troviamo niente di divertente attorno a noi. E allora ridiamo di noi. Lui ama scherzare sul fatto che io, nelle discussioni, tenda naturalmente alla meditazione. Io invece scherzo su una certa attitudine che lui ha di scrollarsi di dosso le responsabilità, per esempio nel lavoro. Siamo entrambi consulenti e spesso ci capita di scrivere pareri su qualcosa. I suoi pareri, pagine e pagine di parole, si concludono sempre con “non si esclude che”. Lui non scrive per “affermare”, scrive per “non escludere”. E poi non è bravo con il pc. Fa largo uso del copia e incolla, come tutti noi, ma non sa uniformare il testo in un documento e le sue relazioni hanno caratteri di dimensione e spaziatura variabile. Sembrano lettere minatorie più che documenti professionali.

Di recente mi è venuto un dubbio sulla nostra amicizia. Mi importa veramente di lui o mi basta che mi faccia sorridere? Mi piacerebbe che mettesse a frutto la sua intelligenza più di quanto non faccia ma non riesco a dirglielo. Una volta mi sono sorpreso a fare battute sui suoi difetti con altri, in sua assenza. Erano belle battute, ma non servivano a lui, servivano a me. Quando me ne sono reso conto ho smesso per un po’ di vederlo. Ma non è stata una grande idea. Penso che, con lui, mi serva un aiuto.

 

 

Re: Twitter

il: 17/01/2013 – 12:48

 

Cara Ribelle, come dice il mio amico Yanez ho una certa tendenza a trasformare ogni discussione in meditazione. Sto combattendo con questo mio difetto essenzialmente per due motivi: perché non sono un prete (nè voglio esserlo) e perché non sono migliore di quelli che frequento (e vorrei che gli altri lo capissero e soprattutto vorrei che fosse chiaro a me stesso). E poi perché parlare (e scrivere) è ciò che mi riesce meglio e io non vorrei abusare delle mie qualità per nascondere i miei difetti.

Quando faccio questi discorsi mi torna alla mente una mia vecchia zia che diceva di essere piena di difetti ma appena gliene nominavi uno s’incazzava (scusa per la parolaccia) come una bestia. La stessa zia – che non diceva una parolaccia, andava in chiesa tutti i giorni e scriveva poesie d’amore – ha passato tutta la vita lamentandosi del marito che, a suo dire, l’aveva ingannata: “mi sembrava buono”, diceva, “l’avevo conosciuto in chiesa!”. Se devo dirti la verità, mentre mi era chiaro perché lei avrebbe voluto sposare un uomo buono, mi era meno chiaro perché un uomo buono avrebbe dovuto sposare lei.

Non è facile combattere con questo mio difetto, specialmente nei colloqui a due. Quando siamo in tanti mi faccio aiutare da uno dei presenti, se ha la disgrazia di conoscermi. Che ne so, Yanez oppure mia moglie. Yanez lo faccio sedere accanto a me e, quando si accorge che sto “predicando”, sai che fa? Mi dà un calcio. Con mia moglie invece basta lo sguardo.

Sul blog uso Fefral che ha il grande dono di dire quello che pensa senza troppe preoccupazioni. E’ una grande qualità. Suo marito, se resiste alla tentazione di strangolarla nel sonno, gliene sarà grato, un giorno. E anche i suoi amici. Meglio lei comunque di chi mi dice che ho una “fissazione psicologica e verbale su aspetti animaleschi e metabolici” citando un prete qualsiasi o anche un passo di una enciclica di Giovanni Paolo II. Sei uno stronzo lo preferisco, anche se è un po’ metabolico, lo ammetto.

 

 

 

Re: Oggi ho incontrato una persona buona

il: 18/01/2013 – 10:35

 

Mi è capitato, qualche volta, di conoscere persone non comuni. Persone normali, badate bene, ma che sembrano possedere un’armonia interiore che li rende padroni di sé, comprensivi con gli altri e concreti: è gente che corre, ma non come chi è senza meta; è gente che fa pugilato, ma non come chi batte l’aria.

Ciò che mi colpisce soprattutto non sono le bellissime storie che raccontano quanto piuttosto le tracce che queste storie hanno lasciato sulla loro pelle, nelle loro parole, nei loro sguardi. Non sarebbero capaci, neppure se lo volessero, di guardare altri in modo diverso da come stanno guardando me oggi.

“L’età non può invecchiarti”. E’ una frase che Shakespeare mette in bocca ad Antonio, mi pare. Cleopatra per lui era così. E’ vero. Sarebbe bello se il tempo che passa, i ricordi che affollano la memoria, i fatti della vita non riuscissero a invecchiarci.

Se ti concentri sulle loro storie allora vorresti corrergli dietro, stringergli la mano, abbracciarli. Faresti come il giovane Holden. Lui parlava così delle storie che leggeva: “quelli che mi lasciano proprio senza fiato sono i libri che quando li hai finiti di leggere e tutto quel che segue vorresti che l’autore fosse tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira”.

Se ti concentri sui loro sguardi invece vorresti fuggire. Ti sembra di mancargli di rispetto restando alla loro presenza. Perché ti viene da pensare: mi merito forse io di essere guardato così?

 

 

Re: Oggi ho incontrato una persona buona

il: 19/01/2013 – 14:46

 

Il somaro è un nobile animale. Sì, lo so, molti oggi gli preferiscono il maiale perché del maiale non si butta niente. Lo preferiscono per motivi, diciamo così, utilitaristici. Per me invece il somaro ha una importanza affettiva.

Mio padre, quando ero bambino, per elogiare o per criticare i miei comportamenti non mi paragonava ai figli dei vicini o a mio fratello oppure a com’era lui alla mia età: mi paragonava al somaro. E lo fa anche oggi. Mi riesce bene qualcosa? Mi sento dire: “Bravu figghiu. ‘U sceccu ti passa sulu comu cuda, ma comu testa siti i stessi!”, mostrando cioè di continuare a preferire il somaro a me, ma di poco. Mi riesce male qualcosa? Ecco la frase consolante: “Non ci faci nenti. Sbaglia ‘u sceccu c’avi a testa tanta e non po’ sbagliari tu?”. Di solito accompagna questa frase con i gesti, perché mi risulti chiaro qual è la dimensione della testa del nobile animale.

Mia zia usò il somaro, una volta, per sintetizzare cinquant’anni di vita coniugale. Suo marito era oramai ultranovantenne, incapace di movimenti. La figlia, che viveva in un’altra città, le propose di ricoverarlo in una struttura che fosse capace di assisterlo. La sua risposta fu questa: “Figghia, mi calai tuttu u sceccu. Ti pari chi mi schiantu da cuda?”.

Fu un matrimonio difficile il loro. La zia era maestra. Leggeva libri, frequentava salotti culturali, discuteva con le figlie e si preoccupava della loro crescita umana con serenità, senza imporre mai i suoi punti di vista. Mio zio leggeva soltanto l’elenco telefonico. Non sempre però, solo in caso di bisogno. Ma non era peggiore di lei, era solo diverso. E poi aveva la testardaggine di chi si è fatto da solo. Non chiedeva consigli a nessuno, neanche a sua moglie.

Non aveva studiato. Era stato per anni all’Asmara a lavorare prima di sposarsi. Mandava i soldi a casa e sua madre li usava per aiutare gli altri figli. Quando tornò pensava di aver accumulato un capitale e invece non aveva un soldo. I suoi fratelli invece, grazie a lui, erano andati a scuola. Aveva modi cortesi. Per esempio era galante con le donne. “Con quelle di fuori, non con me” diceva sua moglie. Ma lei era sua, la considerava come il suo polmone, la sua milza, la sua cistifellea. Ora, può uno essere galante con la sua cistifellea? Neanche si ricorda che ce l’ha, salvo che non dia problemi. E sua moglie gli dava qualche problema. Ai suoi sforzi per vivere non dava importanza, non molta almeno, non quella che voleva lui.

A lei non interessava molto che lui si fosse fatto da solo. “Se si faceva aiutare veniva meglio”, diceva.

 

Re: Oggi ho incontrato una persona buona

il: 4/02/2013 – 10:15

 

Ieri giornata per la Vita. Mi lascio andare ai ricordi.

 

Un anno fa eravamo con una coppia di amici in montagna. Chiacchieravamo in fondo alla pista, mentre i nostri figli sciavano allegri. Improvvisamente alle mie spalle un bambino, avrà avuto tre anni, perde il controllo dei suoi sci e si precipita verso di noi. Alle nostre spalle c’è un burrone, protetto da una rete. Le urla di tutti mi fanno girare e vedo improvvisamente davanti a me il bambino. Istintivamente mi scanso mentre il mio amico, che aveva lo sguardo rivolto alla pista, si tuffa e lo afferra prima che si schianti contro le reti. Il bambino lo guarda e sorride divertito.

 

Per istinto, di fronte a un pericolo per me, mi sono scansato. D’accordo, ho avuto mille giustificazioni per farlo, non ho avuto il tempo per riflettere su cosa fosse opportuno fare, a differenza del mio amico. Ma allora, perché ho questi pensieri?

 

Sua moglie era incinta. Quest’estate ha partorito una bambina. E’ nata con la sindrome di Down. Quando l’abbiamo saputo siamo rimasti senza parole. Poi le parole ci sono venute: è nata per essere felice, come me, come tutti. Qualche tempo dopo i nostri amici hanno chiesto, a me e a mia moglie, di farle da padrini di Battesimo. Lo hanno chiesto anche a me che per istinto, quel giorno, mi ero scansato. Ma loro non ci avevano fatto caso. Oppure non se lo ricordavano più. C’è da ringraziare.

 

La bambina sorride sempre. Non è un caso grave, anche se ogni tanto i genitori fanno le valige e partono. Sono necessari, in casi del genere, frequenti controlli medici. “Conosco bambini come lei che si sono laureati”, dicono alcuni. “Vedrete, questa bambina sarà uno strumento di bene”, dicono altri. Altri ancora non dicono nulla, almeno a noi o a loro.

 

A me non piacciono queste frasi. Mi spiace anche che non me ne vengano di migliori. E allora sto zitto. Uno strumento di bene? Non più di quanto lo sia io. E neanche di meno. Sto lì ad ammirare la Vita che nasce e che cresce, senza confonderla con la mia vita.

 

“Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato”.

 

 

Re: Lettere

il: 6/02/2013 – 11:14

 

Cara Elimod. Bentornata. Spero che tu, ora, stia bene!

 

Devo dirti che la situazione del blog, in tua assenza, sta precipitando. Sono successe cose grosse. Non ci vedo chiaro. Dietro il blog c’è qualcosa di losco. Ho sempre detto io che avere qualcosa dietro non è prudente, checché ne dicano oggi Cameron e Hollande. Ma che vuoi fare, i tempi sono questi.

 

Chi si immaginava che don Gian Paolo fosse dietro il quasi fallimento del Monte dei Paschi? Pare l’abbia prosciugato invitando i suoi correntisti a effettuare versamenti a favore del suo amico Antonio, che altri non è che Ettore Gotti Tedeschi. Me l’ha detto Vittoria privatamente, l’unica di cui mi fido ciecamente, a parte Tres, e che ha avuto modo di incontrarlo. Ma pensa tu. Lo sai che don Gian Paolo è iscritto, con diversi nick, a più di 2.000 blog? E a tutti chiede soldi. L’ho letto sull’ultimo numero di “Dragon Ball”. Hanno scelto lui perché è anziano … e non desta sospetti. E poi mi chiedo: perché usa PostePAY e non il suo conto allo Ior per fare l’elemosina?

 

Sono tutti e due dell’Opus Dei (lui e Gotti Tedeschi), dico dell’Opus Dei. E anche don Mauro.

 

Ma non ti insospettisce il fatto che don Mauro se ne vada in giro a fare presentazioni di Abelis ovunque? Ne ha organizzata una a Sharm el Sheikh, in spiaggia, sotto gli ombrelloni, per il mese di Agosto. Ti sembrano posti da prete? Qui si fa riciclaggio, te lo dico io. Con i proventi di Abelis so che si è comprato un busto rigido per la sua schiena. Non era meglio dare i soldi ai poveri? San Francesco avrebbe fatto così, penso io. Ma lui a san Francesco preferisce Santander. L’ho detto … anzi l’ho scritto. Quando ci vuole ci vuole.

 

Lo sai poi che Fefral lavora in banca? E non ci vuol dire perché si fa chiamare Fefral? E come fa a sapere tutte le cose che sa?

 

Tu mi sembri estranea a questi giri. Resta con noi, ti prego. Scrivici. Leggici. Non perdiamo la speranza, almeno noi che siamo buoni. Vedrai, qualcosa succederà.

 

 

Re: Oggi ho incontrato una persona buona

il: 22/02/2013 – 10:27

 

Ti ricordi cosa accadde tanti anni fa? Un bel giorno tua madre tornò a casa e sussurrò a suo marito, sorridendo: aspetto un bambino. E quel bambino eri tu!

 

La notizia si diffuse nel tuo mondo, viaggiò di bocca in bocca dai più vicini ai più lontani. “Auguri”, “E’ un maschio?”, “Come lo chiamerete?” … Niente fu più come prima. Prima tu non c’eri.

 

Tuo padre ti immaginò grande fin da subito. Prima studente brillante, poi capitano d’impresa. E anche musicista, sportivo. E poi bello, sano, forte: che gran regalo farò al mondo donandogli mio figlio. Nella limitatezza dei suoi desideri piccolo borghesi aveva come un’intuizione: questo mondo avrà bisogno di lui.

 

Tua madre invece ti immaginò piccino, tra le sue braccia. Lei non aveva fretta di regalarti al mondo, non si curava dei suoi bisogni perché sapeva che tutto era stato fatto per te.

 

Poi il tempo passò. E tu scopristi di vivere in una realtà colma di risposte già date, di problemi già risolti, di cose già fatte. “E io?”, hai pensato. “Cosa farò? Chi mi starà a sentire? A chi dovrò credere”. La cultura a cui appartenevi – cominciavi a intuirlo pian piano – non ti avrebbe aiutato ad andare fino in fondo alla questione. Ti avrebbe accompagnato all’inizio, forse. Ma poi? Servivi tu alla tua cultura?

 

Oggi sei grande. E tuo padre e tua madre si commuovono sentendoti parlare. Niente è accaduto secondo i loro desideri. Ma sono contenti di vederti impegnato a fare delle cose della vita un fatto personale.

 

Tu racconti loro come sia dovere di ciascuno ribattezzare ogni cosa per prenderne possesso. “Perché la realtà è oggettiva”, provi a dire, “ma io no”. Ma sai che non ti capiranno fino in fondo, forse. Eppure li vedi felici, guardandoti. Sei nei loro pensieri per sempre. E sono orgogliosi di avere generato qualcuno che prova a vivere come deve vivere un uomo.

 

 

Re: Ritiro, corso di ritiro, esercizi, deserto…

il: 5/03/2013 – 11:08

 

All’uscita della Messa feriale del mattino passeggiavo con mia moglie nel paese imbiancato dalla neve.

 

Faceva freddo e, per strada, c’erano soltanto pochi anziani. La stradina era stretta e i negozi che vi si affacciavano erano ancora chiusi. Davanti agli usci delle case giacevano, sigillati ermeticamente, gli avanzi del giorno precedente. Non sporcavano la strada pulita, la coloravano un po’.

 

La raccolta dei rifiuti era in corso. Un grosso camion, che occupava tutta la carreggiata, avanzava fermandosi qua e là per raccogliere i sacchi davanti alle porte chiuse.

 

Il camion, rumoroso e ingombrante, ci passò di fianco e noi fummo costretti, per dargli strada, a riparare nello spazio di accesso di un negozio chiuso. Vi trovammo una signora elegante, di una certa età, anche lei, come noi, costretta a una sosta forzata. “Siete stranieri?”. “No, ma non viviamo in questo paese”. “Non so perché”, continuò, “usino questi camion così rumorosi qui in paese per raccogliere i rifiuti. Non era meglio un carrettino, come si faceva una volta?”.

 

Le diedi ragione. Lei ci sorrise e ci augurò un felice soggiorno. Con le sue parole ci diede l’impressione di aver voluto cercare un modo discreto di scusarsi, a nome di tutti i suoi compaesani, con noi. “Potevamo accogliervi meglio”, questo voleva dirci. Ci salutammo in fretta con affettata cordialità, come di solito si fa tra estranei, e proseguimmo in fretta, noi e lei, verso il futuro che ci attendeva.

 

“Mi ha messo in imbarazzo”, dissi a mia moglie sorridendo. “A casa nostra non raccolgono i rifiuti da un mese, la pioggia li ha sparsi dappertutto. E qui ci si lamenta del rumore dei camion!”.

 

“Ognuno ha i suoi problemi”, mi disse lei. “La signora vive qui. E qui si vive così. Una persona che non si lava mai è meno sensibile alla sporcizia di chi si lava tutti i giorni. E’ meno sensibile alla sua sporcizia e a quella degli altri”.

 

“Chissà cosa avrebbe detto la signora passeggiando per le nostre strade! Temo che avrebbe giudicato male il nostro mondo”.

 

“Ti ricordi della nostra bambina. Tu le leggevi della terra di Canaan, dove scorre latte e miele, e poi le mostravi le foto dei deserti della Palestina sul libro di Geografia”. “Ti sembra bello tutto questo? Non ci sono posti migliori a questo mondo, migliori di Canaan, migliori di casa tua?” le dicevo. E lei mi rispondeva: “Migliori di casa mia? Ma a casa mia ci siete voi”.

 

Da bambina non voleva conoscere il mondo, piuttosto voleva portare il mondo a casa sua. Ma forse è così per tutti i bambini: per i bambini viaggiare è un atto di umiltà.

 

 

Re: Twitter

il: 7/03/2013 – 09:52

 

Ho una serie di convincimenti che ho edificato nel tempo. Mi sono costati fatica, non li ho trovati al mercato, a poco prezzo. Quando qualcuno li attacca io li so difendere. Ho intelligenza, cultura, una buona famiglia e buoni amici.

 

Nel tempo ho guadagnato il rispetto del mio prossimo. Sono una persona rispettata che non è facile contraddire perchè, normalmente, la maggior parte di coloro che mi circondano vivono di abitudini e di luoghi comuni.

 

Un giorno mi accorsi che il mio prossimo mi rispettava ma non mi amava. Perchè dico questo? Perchè sembrava continuamente impegnato a difendersi da me. Lo faceva come poteva, non con la logica, non argomentando (non avrebbe potuto). Semplicemente mi rinchiudeva in un recinto. “Lui è un filosofo”, così molte persone che conosco mi presentavano (e mi presentano) agli altri.

 

Non so se avete letto “Introduzione al Cristianesimo” di Ratzinger. All’inizio BXVI parla di come il “teologo” è percepito dal mondo contemporaneo. Il suo ruolo, cioè l’essere un teologo, è come se imprigionasse le sue parole all’interno di un recinto. Anche io mi sentivo imprigionato dalla mia cultura e dalla mia intelligenza dentro un recinto.

 

Un bel giorno ho deciso che non mi interessava essere rispettato da tutti. Non avevo più il desiderio di schiacciare nessuno con la mia cultura, la mia logica e la mia fede. Mi sembrava più umano essere amato da qualcuno. E anche amare qualcuno.

 

Il mio mondo oggi si sta riempiendo di nomi, di facce. Si sta complicando. Oggi credo veramente che sia una fortuna che le cose della vita non siano in mano mia. Mi sento più tranquillo.

 

 

Re: Ritiro, corso di ritiro, esercizi, deserto…

il: 11/03/2013 – 10:56

 

Sono appena tornato da quello che, almeno qui in Malesia, chiamiamo “Corso di ritiro” – molto diverso da quelli che fate voi, nei quali io non ci sono – e mi trovo in uno stato d’animo particolarmente ben disposto nei confronti dell’universo.

 

Non mi sento sempre così.

 

Mi ricordo in particolare di un giorno di qualche anno fa. Ero assalito dalla consapevolezza di non essere adeguato, di non essere capace di compiere ciò che pure sapevo di voler compiere. Mi sentivo come si saranno sentiti gli apostoli, immagino io, quando Gesù disse loro di andare “in tutto il mondo”. Non sapevano neanche che cosa fosse “il mondo”. Probabilmente nessuno di loro era mai uscito dalla Palestina.

Con questo spirito abbattuto andai a Messa e lì ascoltai la storia di Gedeone. E’ raccontata nel capitolo 6 del libro dei Giudici.

 

Gedeone era una specie di Abelis, un po’ cresciuto, a cui fu dato di vivere in mezzo ai Madianiti, che non erano migliori dei draghi, qualche migliaio di anni fa. “Per la paura dei Madianiti gli Israeliti adattarono per sé gli antri dei monti, le caverne e le cime scoscese”, così racconta la Bibbia. Ma un bel giorno Dio mandò un suo angelo a Gedeone, che “batteva il grano nel tino per sottrarlo ai Madianiti”, per dirgli: “Và con questa forza e salva Israele dalla mano di Madian”. Poi aggiunse, forse osservando il turbamento di Gedeone: “non ti mando forse io?”.

 

Ho sentito quest’ultima esortazione come se fosse rivolta a me. Come se mi si dicesse: “guarda, io ho chiaro in testa chi sei tu; ma tu, hai chiaro in testa chi sono io?”. Da quel giorno, quando sono assalito dallo sconforto, penso a Gedeone e ridivento allegro. Avrebbe mai immaginato, Gedeone, che un bel giorno sarebbe stato oggetto dei miei pensieri? E’ proprio vero: siamo responsabili delle nostre azioni ma le conseguenze delle nostre azioni non sono in mano nostra.

 

L’abbattimento di cui parlavo prima nasce spesso dal desiderio di voler uscire dal “recinto culturale” in cui la mia fede tende a rinchiudersi, perché mi piacerebbe parlare di me e che gli altri parlassero con me … e invece mi trovo spesso costretto a parlare della Chiesa e dell’Opus Dei. E ho anche l’impressione che gli altri pensino di parlare con la Chiesa e con l’Opus Dei quando si rivolgono a me.

 

Ho sbirciato in questi giorni i vostri post sull’ “istituzione”. Quello che mi sento di dire è che, tra l’istituzione e la vita c’è la stessa differenza che passa tra il matrimonio e il “mio” matrimonio. Spesso inizio a parlare di matrimonio, nelle attività di formazione che seguo, con una frase di quelle che non piacciono a Vittoria, perché si presta ad equivoci. E’ di Groucho Marx: “Il matrimonio è un istituto meraviglioso, ma io non voglio vivere tutta la vita dentro un istituto”. Per tranquillizzare Vittoria aggiungo che, a questa frase, segue il corso di formazione.

 

Tornando ai “recinti culturali”, spesso ho l’impressione che il problema sia il seguente: a me alle volte fa comodo far parte di qualcosa, mi dà sicurezza e spesso, mi esonera dalla fatica di vivere; agli altri fa pure comodo: una volta che mi hanno collocato in un recinto con una frase “tu sei cattolico”, “tu sei dell’Opus Dei”, … è come se si sentissero esonerati dal dare importanza, rilievo a ciò che dico, a ciò che sono. “Tu sei così e quindi devi parlare così”, questo pensano. I più “buoni” si adattano anche a vivere nel mio recinto, per qualche ora, per farmi contento e per guadagnarsi la mia stima. Ma poi?

 

Per uscire dal recinto culturale, per vincere la reciproca sordità, come si fa? Ho letto in questi giorni una frase tratta dalla predicazione del cardinale Albino Luciani che mi ha colpito: “Qual è la cosa più importante per insegnare il latino a Giovanni? Voler bene a Giovanni!”. E’ una frase semplice e neanche tanto originale ma a me, detta così, in un contesto particolare, mi ha commosso.

 

Sappiamo tutti che “voler bene” non è semplice. Non è sufficiente compiere un atto di volontà, anche se è necessario compierlo. La mia via è quella di cercare “affinità” attorno a me, persone davanti alle quali posso svelare, a poco a poco, la mia anima. Così come non svelo il mio corpo nudo a tutti, la mia anima nuda non posso svelarla a tutti. Le circostanze più che i miei desideri me lo impediscono. Non voglio essere frainteso. Dio piange se si sorride ironicamente delle sue creature, dei suoi figli. Così come piange degli abusi che si fanno del corpo nudo.

 

Se si riesce a trasformare l’affinità in amicizia la relazione diventa più profonda, dallo “spiegare” si passa al “mostrare” perché le parole non servono più. Le persone diventano qualcosa di cui si sente il bisogno. Le si cercano per quello che sono e non per quello che si vuole che siano. Acquistano rilievo, importanza, anche le cose che non condividiamo di loro perché non abbiamo più voglia di ignorarle. Sia ben chiaro, la verità rimane verità e la falsità rimane falsità: tuttavia non pensiamo più che la verità bisogna cercarla sempre nei soliti posti. Il nostro mondo si allarga. E ci sorprenderà perche noi desideriamo che ci sorprenda.

 

Oggi, che sappiamo com’è andata a finire, siamo tutti contro i farisei. Ma ci vuole molta umiltà per dar retta a un gruppo di pescatori piuttosto che ai dottori della Legge. Ci sono pescatori dalle vostre parti? Quelli che conosco io parlano a stento la mia lingua, sono abbastanza metabolici (come direbbe Ribelle) e starebbero male in giacca e cravatta.

 

L’amicizia garantisce sempre che il “viaggio” che noi intraprendiamo nel mondo altrui rimanga sempre un atto di umiltà perché ci “costringe” alla sincerità ci mantiene sempre disponibili ad imparare. Questo l’avevo già scritto. Ma ora l’ho spiegato un po’ di più. Perché a Vittoria piace così. :-)

 

 

Re: Ritiro, corso di ritiro, esercizi, deserto…

il: 15/03/2013 – 21:37

 

– Preferisci che vada da Giovanna alle dieci del mattino o alle quattro del pomeriggio?

– Forse è meglio al mattino.

– Ma così non posso andare dal parrucchiere!

– Beh, allora vai nel pomeriggio.

– Ma nel pomeriggio forse lei non c’è.

– Allora è meglio al mattino.

– Non so. Tu che dici?

 

 

Re: Benvenuto Papa Francesco!

il: 16/03/2013 – 15:06

 

“Non puoi dirgli di mettersi una maglietta? Va sempre in giro per casa a torso nudo. Se viene qualcuno che facciamo?”. “Cara, per adesso accontentiamoci del fatto che si metta i calzoni. In fondo era abituato così”.

“Ma noi no!”.

 

“Ti ricordi dello zio Alberto?”, dico io per farla sorridere.

 

Alberto … Alberto era un mio vecchio zio, dai modi, diciamo così, un po’ eccentrici. Alcuni suoi comportamenti sono rimasti scolpiti nella memoria della nostra famiglia. Volevo resuscitare uno di questi ricordi, per farle digerire meglio il presente.

 

Dovete sapere che la zia Maria, la moglie di Alberto, si lamentava spesso con lui di una vicina che, a tutte le ore del giorno, si presentava a casa loro con una scusa qualsiasi. Le mancava il burro, non trovava il cavatappi, la tv era guasta …

 

Lo zio Alberto era un vecchio ottantenne di poche parole. Un bel giorno, dopo l’ennesimo suo lamento, le disse: “Vuoi che ti risolva il problema?”. La zia, che lo conosceva, aveva paura a dire di sì: “che cosa vuoi fare?”. “Tu non ti preoccupare, dimmi solo che vuoi che me ne occupi io”. Per stanchezza e per incapacità di trovare altre vie d’uscita la sventurata lo investì di questo incarico.

 

Quando, poco tempo dopo, la vicina bussò di nuovo alla porta della loro casa, lo zio andò ad aprire con gentilezza. “Desidera?”, le chiese. Era completamente nudo. La signora cominciò ad urlare e fuggì di corsa. Non la videro più. La povera zia, per mesi, visse da reclusa per la vergogna.

 

Mercoledì scorso Tarzan, mentre tutti noi esultavamo davanti alla TV per l’elezione del nuovo Papa, si godeva “Walker Texas Ranger” su Rete4, con il suo solito look. Lo invitai a unirsi a noi.

 

“Ti piace il nuovo papa?”, mi chiese. Risposi di sì. Ma mi sentii in dovere di essere sincero fino in fondo. Capirete, davanti a un uomo praticamente in mutande (e non in senso metaforico) occorre dire la verità. “Mi piace lui. Ma mi sarebbe piaciuto qualunque altro eletto al posto suo”.

 

“Allora che cosa vuol dire che ti piace? Come puoi dire “mi piace” di qualcuno che non può non piacerti? A che serve dirlo”.

 

Ragazzi, si vede che fa progressi. Sono orgoglioso delle sue domande.

 

“Vuol dire …”, cominciai a farfugliare, “ … vuol dire che mi sento … mi sento come un padre. Prima che Jane nascesse mi dicevo: comunque sarà mi piacerà. Ma dopo che l’ho vista, dopo che l’ho abbracciata ho cambiato idea: mi piace solo così com’è”.

 

“Anche a me!”.

 

 

Re: Benvenuto Papa Francesco!

il: 17/03/2013 – 22:50

 

Eravamo a tavola con un po’ di amici l’altra sera. Si parlava del Papa. Poi il discorso si è allargato ai nostri vescovi e ai sacerdoti delle nostre parrocchie. “Com’è bravo il nostro prete, quello che c’era prima ci faceva addormentare”. “Il nostro invece tiene molto al coro”. “Lo sai che il sacerdote della chiesa di san Giacomo sarà il prossimo rettore del Seminario”. “Il Vescovo lo rispetta molto”. “Senti, mi hanno detto che il vostro Vescovo sarà trasferito. E’ così?”.

 

La conversazione si era infilata in un vicolo cieco. Cominciavo a mostrare segni di insofferenza. Volevo parlare d’altro o fuggire. Mia moglie lo capiva e mi temeva: cioè temeva quello che avrei potuto dire per cambiare discorso. “Ecco”, pensava, “ora dirà qualche spiritosaggine delle sue e qualcuno di questi non ci rivolgerà la parola per mesi”.

 

Ma stavolta si sbagliava. Le nostre relazioni sociali le salvò un ragazzo, il figlio quindicenne di una coppia lì presente, il quale, con gli occhi colmi di stupore – approfittando di un istante di passaggio, al cambio di prete nel discorso – se ne uscì con una esclamazione che, evidentemente, non aveva più la forza di trattenere: “Miiii … voi parlate dei preti così come noi parliamo dei calciatori!”.

 

Scoppiammo tutti a ridere e io ne approfittai: “Scusi, ci può portare il conto?”.

 

 

Re: Ritiro, corso di ritiro, esercizi, deserto…

il: 19/03/2013 – 19:55

 

Polifemo, mi scusi se, per codardia, mi nascondo dietro Turgenev per sorridere un po’ con te? Senti che cosa scrive in “Padri e figli”: “L’apparizione della volgarità è spesso utile nella vita: smorza i toni troppo alti, modera i sentimenti di superbia e di umiltà, ricordando che alla volgarità sono spesso affini”.

 

 

Re: Benvenuto Papa Francesco!

il: 26/03/2013 – 09:45

 

Conversazioni tra amanti … in “Padri e figli” di Turgenev, che ho finito di leggere ieri:

 

“Vuole partire? Ma ora non potrebbe restare? Resti, mi piace tanto parlare con lei. E’ come camminare sull’orlo di un burrone, prima si ha paura e poi, chi sa come, si trova il coraggio di continuare. Resti”.

 

Parlare camminando sull’orlo di un burrone … le conversazioni tra amanti devono essere così. Servono le parole e serve il burrone. Mi sembra adatto alla Settimana Santa tutto questo. E a voi?

 

 

Re: Fedeltà: la crisi dei 40 anni

il: 27/03/2013 – 10:40

 

“Caro, mi accompagni? Vorrei andare per negozi oggi pomeriggio”.

 

“Cosa cerchiamo?”, chiedo io, sperando che il nostro obiettivo sia qualcosa di definito … che ne so … pantaloni, camicie, borse. Quando io esco per fare acquisti so sempre cosa sto cercando, mia moglie invece quasi mai.

 

“Mah, non so. Qualcosa di originale da indossare. Ci hanno invitato a pranzo per Pasqua”.

 

Ecco, sono fregato. Il mio pomeriggio è perso. E rovineremo anche il pomeriggio a una serie di commesse dei negozi del centro. Faremo loro tirar giù tutto il negozio per poi salutarle con una frase del tipo: “Non sono convinta, ci penso e poi ripasso”. E lei, la commessa, la sventurata, seminascosta dalla roba che ha tirato giù per noi e che giace ammucchiata sul bancone, che ci saluta con la solita frase di circostanza “va bene, la aspettiamo”. Le prime volte credevo realmente che ci aspettasse. Che la sua vita, da allora in avanti, non sarebbe stata altro che l’attesa del nostro ritorno. Ero incline a pensarlo soprattutto se era carina.

 

Lady Marian, dovete sapere, è alla continua ricerca di qualcosa di originale da indossare … o da portarsi in giro. Anche il marito l’ha scelto così, forse.

 

Entriamo in negozio e, dopo varie valutazioni, adocchiamo qualcosa che le garba.

 

“Dovrebbe vedere come le sta addosso”, dice l’incauta commessa insinuando che mia moglie non possa indossare con successo qualunque cosa. “Qual è la sua misura?”.

 

Attimi di silenzio … alcune domande indiscrete sono inevitabili. La “M” dice lei … la “L” dico io quasi contemporaneamente. Mi sforzo di tacere ma, alle volte, mi scappa. Sto diventando incontinente. “Ma che dici? Non ho mai indossato la L”.

 

Sceglie di misurare la “M”, che le sta stretta. Ho voglia di urlare: “Che cosa ti dicevo? Ogni volta dobbiamo misurare la taglia inferiore alla tua e perdere tempo”. Ma me ne guardo bene. Sono sposato da 15 anni, ho una certa esperienza. E allora cerco di salvare il salvabile. “Forse questa marca veste grande”, dico alla commessa, “perché mia moglie non ha mai indossato la L!”. “E’ così”, replica lei … mentendo.

 

Siccome poi la commessa è carina, mentre lei cerca la L faccio lo spiritoso e tengo la mia solita, delirante, perorazione in favore dell’universo visto al femminile. “Ma come fa una ditta seria come la ditta X a non rendersi conto che soltanto il pensare un abito di taglia L o XL o XXL è offensivo? Ho intenzione di scrivere loro una bella lettera: caro signor X, ho una domanda da rivolgerle. Perché le misure dei vostri abiti devono partire dalla S per finire alla XXL? Non sarebbe più rispettoso, più umano, partire dalla XXS e finire con la L? Mia moglie prenderebbe la S e sarebbe felice. Non ha mai studiato Copernico? A volte, per cambiare la vita basta cambiare sistema di riferimento. Si informi”.

 

Usciamo dal negozio. Mia moglie mi sussurra sorridendo: “sei il solito scemo” e poi aggiunge “carina la commessa”. “La commessa? Quale commessa?”.

 

 

Re: Matrimonio sì o no?

il: 9/05/2013 – 09:58

 

Prima del matrimonio io e lady Marian chiacchieravamo spesso di vari argomenti riguardanti l’organizzazione dell’evento e la vita futura insieme. E’ curioso come le conversazioni tra fidanzati cambino di tono quando si entra nella prospettiva matrimoniale. Diventano più, come dire, più “pratiche”, più “materiali” … si parla meno di amore e più di vetrinette portagioie e lavatrici ultimo tipo.

 

La mia futura moglie guidava queste conversazioni e, devo ammettere, non tutti gli argomenti che tirava fuori guadagnavano la mia attenzione. Ma io dovevo starla a sentire. Ancora oggi mi vuole con se, per esempio, quando va a trovare qualche sua amica che ha partorito. “Ti presento mio marito”, le dice. E poi si siedono a chiacchierare mentre io mi guardo in giro sperando che le cose che mi circondano mi rivelino il motivo della mia presenza in quel luogo. Quando usciamo di solito mi dice: “sei stato lì senza dire una parola”. “Cara”, le rispondo, “sulle difficoltà nell’allattamento non ho molte cose da dire”.

 

Una delle conversazioni prematrimoniali riguardò il suo abito da sposa. “Non mi va di spendere tanti soldi per poi tenere il vestito appeso nell’armadio”, questo fu l’inizio del suo discorso che successivamente argomentò cercando di trovare una via d’uscita al problema. D’un tratto si rasserenò. Non capii perché o forse non sentii tutto quello che diceva. Probabilmente mi aveva comunicato le sue risoluzioni in proposito ma io ero troppo felice del fatto che si parlasse finalmente d’altro per approfondire la questione.

 

Di ritorno dal viaggio di nozze, non anni dopo, mandò il suo abito dalla sarta che l’aveva cucito, per ricavarne un copriletto e cuscini per il salotto. Un giorno torno a casa e lei mi chiede: “non noti niente?”. “Sei stata dal parrucchiere!”. “Ma quale parrucchiere, guarda il copriletto. Lo riconosci?”. “Bello, tutto bianco. Ma dove l’hai comprato?”. “E’ il mio abito da sposa! Ma come fai a non ricordartelo”. Mi raccontò di avere detto alla sarta che voleva fare del suo vestito un copriletto prima ancora che lei lo pensasse come abito. Cioè quando la sarta le chiese: “come vorrebbe che fosse il suo abito?”, lei le rispose “vorrei un abito che si possa trasformare in copriletto”. Beh, forse non le disse proprio così, ma le disse qualcosa di simile.

 

Quando leggo che il letto matrimoniale è un altare non ho bisogno di lavorare d’immaginazione. Penso al copriletto di casa, ricamato, con le perline cucite sopra (che negli anni io e mia figlia abbiamo fatto saltare via), con i pizzi e con mia moglie che mi urla dietro quando mi ci siedo sopra senza scostarlo.

 

A casa mia l’unico abito che è rimasto com’era è il mio. Giace nell’armadio dimenticato da tutti, da me per primo. Ogni tanto penso che la prima delusione che diedi a mia moglie fu quando lei si accorse di non poter ricavare dal mio abito le mantovane per le tende del salotto. Ci aveva sperato ma non fu possibile. Si possono tirar fuori solo pezze per la polvere. Ma lei non lo farà. Perché mi ama.

 

 

Re: Matrimonio sì o no?

il: 1/07/2013 – 09:26

 

– Mi stai ascoltando?

– Sì, certo.

– Non mi pare. Semplicemente mi lasci parlare.

– Non è vero, potrei ripetere tutto quello che mi hai detto.

– E’ vero, potresti. Sei intelligente. Ma non mi stai ascoltando lo stesso. Mi lasci parlare perché ti hanno insegnato a fare così, ma non sai ascoltarmi in silenzio. Ho sempre l’impressione che ciò che ti interessa di più dei miei discorsi siano le mie pause, tra una frase e l’altra. Lo sai perché ti dico questo? Perché sei sempre pronto ad approfittare degli slot temporali che ti concedo nel parlare … no, non mi interrompere … anche adesso, vedi … mi fermo per prendere aria, per piangere o per ridere e tu stai lì, in agguato, con le tue frasi risolutive, con le tue risposte chiare, che congelano i miei sfoghi, la mia voglia di raccontare.

– Cosa vorresti che facessi?

– Non so, non so se ne sei capace. Capace di tacere davvero. Quel tuo modo di tacere ti distrae e mi innervosisce. Sei troppo intento a cercare occasioni per parlare, per dire la tua, quando taci. Il tuo è un silenzio di cortesia, perché sai che non è educato interrompere. Ma nella tua cortesia le mie parole si smarriscono. E a te non servono a niente, lo so, lo sento. Il tuo interesse per me sta diventando cortesia … o scortesia. E la tua cortesia ti impedisce di capirmi davvero.

 

 

Re: La musica del blog

il: 2/07/2013 – 08:54

Ho avviato da qualche mese un percorso formativo (si dice così, vero?) con una bambina di 10 anni – per il momento sul suo conto non posso dirvi di più – che mi ritrovo spesso ad accompagnare in giro per la città. In macchina ho un CD di Enzo Jannacci e così le sto spiegando le sue canzoni, una per una. Sto avendo grandi soddisfazioni: “L’Armando” la piccola ormai lo conosce a memoria e, cosa fondamentale, ne ha capito il senso ironico. Oggi abbiamo cominciato ad ascoltare “Bartali” (lo so, è di Paolo Conte … ma sta nel mio CD di Jannacci e la canta lui col sul modo meraviglioso e un po’ stonato di interpretare i brani musicali). Abbiamo parlato del Tour de France, dei francesi “che si incazzano” e dei giornali “che svolazzano”, del silenzio tra una moto e l’altra, dei complessi di cose che fan sì che noi ci si trovi qui, dei giorni al tramonto che si gonfiano di ricordi, di Bartali, delle donne che vogliono andare al cinema e degli uomini che ce le mandano volentieri.

 

 

Re: Ma quando si può dire “ti amo”?

il: 4/07/2013 – 10:04

 

Mi aveva chiesto uno strappo, come succedeva quasi ogni mattina. Ma quella mattina dovevo parlargli in confidenza per l’ultima volta, forse.

“E’ da un po’ di tempo che sto pensando alle nostre giornate passate. Ci conosciamo da vent’anni e abbiamo parlato di tutto, abbiamo riso e abbiamo pianto assieme. Penso che sia giusto finirla qua”.

“Finire cosa?”.

“La nostra amicizia”.

“Vuoi litigare? Che cosa ti ho fatto?”.

“Non mi hai fatto nulla, nulla di preciso”.

“E allora? Non vuoi vedermi più?”.

“No, non dico questo. Ci vedremo, ci saluteremo e ci aiuteremo anche, se dovesse capitare. Dico solo che io non ti cercherò più. Mi resteranno in mente molte parole che hai detto, molti ricordi di te. Molte cose tue. Ma di te, di te non sento più il bisogno. Non fraintendermi, non sto giudicando te, anche se vorrei farti sapere che tu non mi stai simpatico”.

“E me lo dici adesso, dopo vent’anni. Io poi non me ne sono mai accorto: sei il primo a sorridere per le cose che dico”.

“Sì, mi fai sorridere. Ma non mi stai simpatico. Ho capito finalmente che le due cose non sono necessariamente collegate. Anche a teatro qualche volta rido per le battute degli attori. Ma agli attori non importa niente di me, né a me di loro. Per abitudine per anni ho pensato che potessi ridere solo con te. E ho deciso che, per questo, eri simpatico. Vuol dire che, da oggi in poi, andrò più spesso a teatro”.

Dopo una breve pausa, di cui sentivo il bisogno, continuai.

“E’ che mi sto accorgendo da un po’ che le nostre conversazioni mi incattiviscono. Mi piace parlare con chi mi fa desiderare di essere una persona migliore: non diversa, migliore. Ma quando parlo con te, da un po’ di tempo a questa parte, desidero soltanto di essere più stronzo: per dirti in faccia quello che penso di te, per toglierti rumorosamente dal mio groppone. Ho deciso però che la fine della nostra amicizia non potesse dipendere da un mio impulso emotivo. Cosa importa ciò che io penso io di te e ciò che tu pensi di me? Semplicemente bisogna constatare che non abbiamo più niente da dirci, niente di decisivo. Non ho nessuna domanda da porti alla quale non possa rispondere qualcun altro. Meglio parlare del più e del meno tra noi d’ora in avanti: di politica, del traffico, delle stagioni. Non credi?”.

Non mi rispose nulla. Arrivammo al suo ufficio, lui apri la portiera della mia auto e fece per scendere.

“Buona giornata” fu l’unica cosa che riuscii a dirgli ancora.

 

 

Re: Cheppalle queste prediche!

il: 7/07/2013 – 10:57

 

«Ecco, io farò scorrere verso di essa,

come un fiume, la pace;

come un torrente in piena, la gloria delle genti.

Voi sarete allattati e portati in braccio,

e sulle ginocchia sarete accarezzati.

Come una madre consola un figlio,

così io vi consolerò;

a Gerusalemme sarete consolati.

Voi lo vedrete e gioirà il vostro cuore,

le vostre ossa saranno rigogliose come l’erba.

La mano del Signore si farà conoscere ai suoi servi».

 

Ma voi credete alle promesse contenute in questo libro che abbiamo appena letto? O no? Credete a tutte le promesse o soltanto ad alcune? E perché credete ad alcune promesse e ad altre no?

 

Supponiamo che voi siate per strada e si avvicini a voi un barbone, che puzza, che ha bevuto. E supponiamo anche che vi chieda cento euro, promettendovi che il giorno dopo ve li restituirà. Voi gli dareste i vostri soldi? Credereste alle sue promesse?

Supponiamo invece che incontriate un vostro amico, uno che vi ha aiutato davvero quando eravate nel bisogno, e che vi faccia la stessa richiesta, con la stessa promessa di restituzione. A lui dareste i vostri soldi? Gli credereste?

 

Amici miei, i tre quarti della nostra fede sono fatti di memoria. Come potete credere alle promesse di Dio se siete convinti che Dio nella vostra vita non abbia fatto nulla? O poco? Come potete sperare nel futuro se non avete niente di cui ringraziare nel vostro presente? Dite che il dolore di oggi sarà la salvezza di domani … ma non sarà una croce qualsiasi a salvarci, sarà la croce di Cristo che muore innocente e misericordioso. E non vi ingannino neppure i vostri successi: non rallegratevi per essi ma piuttosto per il fatto che il vostro nome è scritto nei cieli. Perché Cristo è risorto.

 

 

Re: “Saper di amore”, nuovo libro di Ugo Borghello

il: 16/07/2013 – 09:54

 

Certo è che il blog è quasi diventato una casa. Ci sono gli abitanti e gli ospiti. Gli abitanti sono quelli che si muovono tra i post “in vestaglia”, parlando di tutto, gli ospiti invece si mettono l’abito buono e parlano soltanto delle cose importanti. Non è una critica, badate bene, è un fatto … e va bene anche così. Basta che non lo pretendano da me. Non mi va di sentirmi “ospite” a casa mia.

 

In Malesia ospitiamo spesso amici che vengono da fuori. Sono soprattutto miei amici, ma, da qualche tempo, sono diventati anche amici di mia moglie, alcuni. Uno di questi una volta mi disse di gradire soprattutto le nostre “vestaglie”, il fatto che si vede lontano un miglio che non ci siamo preparati per accoglierlo. E si mette in “vestaglia” pure lui. Mangia la frutta con le mani, sorridendo, anche se a casa sua la mangia con coltello e forchetta (e tornerà a farlo). Ma lui a casa nostra sta bene.

 

Si vede anche quando alcuni si sentono in imbarazzo per come siamo. Ci vorrebbero diversi … ma noi non siamo mica un albergo con ristorante. Buoni ad accogliere tutti. Siamo una casa, una famiglia. Anni fa tutto questo mi turbava, mi dispiaceva che il fatto di essere noi stessi turbasse altri. E poi ci tenevo a fare bella figura, a non finire nelle conversazioni altrui come esempio di come non si deve vivere. Adesso, devo dire grazie soprattutto a lady Marian, non me ne frega nulla.

 

Lady Marian … ha tanti difetti, scarse letture (soprattutto atti di citazione), una conversazione che non ammette pause, qualche pregiudizio che coltiva ostinatamente, una cucina incerta che ha migliorato grazie al fatto che le porto sempre a casa gente (a proposito, le hanno regalato una zucca enorme che mi propina quasi ogni giorno … perché non si deve buttare … se passate a trovarmi mi aiutate a smaltirla). E poi conosce tutti i miei difetti, che è sempre pronta a rivelare ai nostri ospiti.

 

Tuttavia, che vi devo dire, è spietatamente sincera. Questa è casa nostra, dice. Se ai tuoi amici piace, bene. Altrimenti … altrimenti non è un problema mio. Non siamo mica l’unica famiglia su questa terra, buona per tutti. Siamo buoni per alcuni. Mi dispiace per gli altri.

 

Re: “Saper di amore”, nuovo libro di Ugo Borghello

il: 27/07/2013 – 08:23

 

In pizzeria lady Marian, per anni si è comportata così: si faceva portare il menu dal cameriere e lo leggeva da cima a fondo con la stessa attenzione con la quale il cristiano devoto legge il salmo Miserere. Ogni voce di menu veniva dibattuta a fondo: “ma la napoletana è con i capperi?”, “ci sono i funghi nella capricciosa?”, “il salame è dolce o piccante?” … Al termine dell’interrogatorio a cui sottoponeva me e il cameriere finiva per ordinare una pizza “margherita”, sempre.

 

L’ho presa così tanto in giro per questo suo modo di fare, che oggi è profondamente cambiata. Beh … non proprio profondamente, però è cambiata. Ordina direttamente una margherita? Macché, non vuole darmi soddisfazione. La sua nuova tecnica è questa: ordina una pizza qualsiasi (capricciosa, quattro stagioni, ai funghi … non importa) e poi fa levare tutti gli ingredienti, uno ad uno, per farla ridiventare una margherita. “Mi porti una 4 stagioni, però senza carciofini, senza prosciutto, senza olive …”.

 

Ho provato a chiederle spiegazioni, l’uomo è un essere intelligente, vuole capire. “Ma perché non ordini direttamente una margherita?”. La risposta è stata fulminante: “se ordino una quattro stagioni il pizzaiolo pensa la pizza come quattro stagioni … poi lui leva gli ingredienti e la pizza non diventa semplicemente una margherita, ma una margherita che però è stata pensata come quattro stagioni”.

 

Ragazzi, quando lady Marian si infila in questi discorsi conviene scappare. Non sono un emotivo don Gian Paolo: è la mia intelligenza che mi suggerisce di comportarmi così! Purtroppo anche Jane mostra sorprendenti affinità con questo modo di argomentare. Da bambina faceva la raccolta di figurine. Un giorno la vidi piangere dopo aver aperto le bustine appena comprate. “Perché piangi?”. “Non me ne è uscita neanche una ripetuta?”. “E non sei contenta? Così completiamo l’album!”. “Nooooo!! Così non le posso scambiare con le mie amiche”.

 

Vabbé, con tutto questo parlare di pizza mi è venuta fame. Vado a fare colazione. Buona giornata.

 

 

Re: Domenica d’agosto

il: 4/08/2013 – 11:36

 

Non è che uno si metta a origliare … ma se ti parlano vicino tu ci fai caso. O no?

 

– “Ti piace quella signora?”

– “Quale signora?”.

– “Quale signora … quella sdraiata sotto l’ombrellone davanti al tuo naso. Non dirmi che non l’hai notata. Ad ogni bagno che si fa si cambia il costume! Siamo già al terzo!”.

– “Ahhh … quella. Beh, è una bella donna.”

– “Una bella donna? Ma l’hai guardata bene?”.

– “Mi sembra che sia bella. Tu dici di no?”.

– “Per te sono tutte belle! Non vedi che pelle che ha? Ha la pelle flaccida”.

– “La pelle flaccida? Non mi pare. Non le ho guardato la pelle … forse tra tre giorni ci farò caso, alla pelle”.

– “Facci caso adesso. Voi uomini non siete capaci di notare nulla”.

– “Non mi pare proprio che ci sia qualcosa che non va nella sua pelle”.

– “Adesso … ma tra trent’anni avrà tante di quelle rughe!”.

– “Tra trent’anni?”.

– “Trenta, trentacinque anni. Vedrai. A me il ginecologo, quando ho partorito, ha detto che la mia pelle è molto elastica. Non è elastica la mia pelle?”.

– “Cara, la tua pelle è molto elastica. Facciamo un bagno?”.

 

 

Re: “Saper di amore”, nuovo libro di Ugo Borghello

il: 8/08/2013 – 11:24

 

Da piccolo avevo grandi desideri.

 

Mia madre racconta spesso l’impressione che suscitò in me una gita a Lugano. Tutte quelle gioiellerie, una accanto all’altra: “Mamma, perché non ti compri quella collana?”. “Perché ci vogliono tanti soldi … da grande me la comprerai tu”. “Sì, mamma, io da grande sarò ministro del Tesoro!”. Non era tanto essere ministro … mi attirava il Tesoro. Mio fratello invece rimase colpito da Paolo VI sulla sedia gestatoria, forse perché aveva lasciato da poco, con grandi rimpianti, il passeggino. “Io sarò Papa!”, proclamò un giorno a mia madre piangendo: non voleva camminare.

 

Certo tra ingegnere e ministro c’è una bella differenza. Comunque mia madre si accontentò. “Non mi regalerà collane ma almeno sarà in grado di fare qualche lavoretto domestico”, avrà pensato. Quando tornai a casa, fresco di laurea, lei non perse tempo: “C’è lo stereo che non funziona. Papà vuole sentire un po’ di musica … vaglielo a sistemare!”.

 

Credeva davvero che ne sarei stato capace? Non saprei … però quella richiesta mi fece entrare nel panico. Un ingegnere elettronico neolaureato, tipicamente, è una persona che ha studiato molto ma che non sa fare nulla. Per me un amplificatore era un disegno su un pezzo di carta, un concetto astratto. Fui tentato di dirlo a mia madre, ma potevo dirle una cosa del genere? Dopo che non aveva fatto altro che vantarsi di me con le sue amiche? Dopo che aveva speso tanti soldi per la mia formazione? E poi lei non sapeva neanche cosa fosse un amplificatore. Decisi che non potevo dirle la verità, dovevo correre i miei rischi. E allora andai, sperando in un miracolo.

 

Lo stereo poggiava su un mobile con le ruote. Presi il mobile e lo girai verso di me. Guardai intensamente i collegamenti … molto intensamente. Misi le mani qua e là senza, sapere ciò che facevo e senza spostare nulla. In pratica i collegamenti li accarezzai. Rigirai lo stereo e lo accesi: funzionò! Probabilmente c’era solo qualche falso contatto.

 

Sentendo la musica mia madre dalla cucina corse in salotto, sorridendo. Mio padre la seguì, mi guardò con malcelato orgoglio e si accomodò in poltrona a godersi le sue canzoni. Avevano in casa un genio, non c’erano più dubbi … e decisero, fortunatamente, che da quel giorno non mi avrebbero disturbato più con simili stupidaggini.

 

Per qualche tempo temetti che qualche amica dei miei si presentasse alla porta con un frullatore o una radio da sistemare, ma mia madre lo impedì. “Se li facessero aggiustare dai loro figli, se ne sono capaci. Il mio bambino ha da fare cose più importanti”.

 

 

Re: Domenica d’agosto

il: 8/08/2013 – 11:51

 

– “Papà, papà … ci fai fare un giro in pedalò?”.

 

Da tre giorni rispondo di sì a queste richieste e porto in giro un numero sempre crescente di bambini e bambine, che mia figlia raccoglie in giro per la spiaggia. Provo a coinvolgere altri genitori.

 

– “Invita pure altri bambini, ma chiedi ai loro genitori se i loro figli hanno il loro permesso per venire e chiedi anche se qualcuno di loro ha voglia di accompagnarli, assieme a me”.

– “Ok papà”.

 

Dopo qualche minuto torna e mi dice:

 

-“Ho parlato con i genitori di Gaia [o di Alessia, o di Giuseppe … fa lo stesso]. Loro non possono venire, sono impegnati. Ma Gaia [o Alessia, o Giuseppe … fa lo stesso] può salire con noi. L’importante è che sul pedalò ci sia un adulto”.

 

Quindi mi ritrovo circondato da sei o sette bambini che mi guardano imploranti. I loro genitori sono d’accordo sul fatto che io porti in giro i loro figli sul pedalò, ma ci devo essere io (mi chiamano “un adulto” ma non ne vedo altri all’orizzonte) … e quindi la loro felicità dipende unicamente da me. Ma perché mi infilo sempre in situazioni del genere?

 

 

Re: Domenica d’agosto

il: 10/08/2013 – 09:57

 

Sono arrivati i parenti. I parenti del nord. Loro al nord stanno bene. E ce lo vengono a dire ogni anno: “Ma come fate a vivere qui? Su da noi funziona tutto”. La Carla (e passi) ma anche la Carmela, la Fortunata, la Giuseppa, il Chris (si chiama Natale, ma Chris fa più settentrionale dice lui … Chirs come abbreviativo di Christmas, you know) ce lo dicono con l’accento di su … con la lingua di fuori … che da loro tutto funziona.Tempo fa un amico architetto … tutti dovrebbero avere un amico architetto … mi raccontò che nello studio di un suo collega ingegnere campeggiava la scritta: “L’ingegnere non vive, funziona!”. “E’ vero!”, gli risposi, “e non muore neanche: si guasta!”.

L’anno scorso un vicino di ombrellone, terrone come me però emancipato, è stato a parlarmi per un mese di spiagge sporche … e la nostra era sporca, vi assicuro. Un bel giorno è partito abbandonando in spiaggia il suo vecchio ombrellone arrugginito. Non ho perso la calma … l’avrà dimenticato, ho pensato. E allora ho fatto un pacco e gliel’ho spedito.

 

 

Re: Ma quando si può dire ti amo?

il: 11/08/2013

 

L’innamoramento è un accidente, lo so bene. Lo è perché dipende dalla nostra “ingenua” percezione dell’altro, una visione per così dire “semplificata”. E’ questa sorta di “ingenuità” che, assieme alla natura, porta l’innamorato a confinare il mondo dentro una persona. “Che mi importa del mondo, quando tu sei vicino a me …” è una frase di una vecchia canzone, una frase da innamorati.

 

Non considero l’innamoramento una pre-condizione necessaria all’amore umano. Ma si può amare una persona fino in fondo senza innamorarsene, alla fine? Ciò che ricordo di quando conobbi lady Marian era l’assoluta incapacità che avevo di fare altro oltre che pensare a lei. Non che non avessi altro da fare, niente mi sembrava meritevole di attenzione. Tutto il bene, tutte le perfezioni, tutti i pensieri guardavano a lei.

 

La realtà, vista da vicino, col tempo ci ha condotto dall’innamoramento “ingenuo” alla realtà, la sua e mia. Ci amiamo di un amore “imperfetto”, ma speriamo che tutto questo ci conduca a un nuovo innamoramento, a un innamoramento “vero” che può permettersi di non essere esclusivo. Perché il Cielo io me lo immagino più somigliante a com’era il mio mondo quand’ero innamorato. Non sto parlando soltanto di amore coniugale … ma non ho una parola per descrivere l’innamoramento tra amici, per distinguerlo dal desiderio sessuale e dalla stessa amicizia in sé.

 

In Cielo non si può peccare. Ma perché? Perché da innamorato non pensare a me non mi costava alcuna fatica. Era un giogo soave, un carico leggero.

 

 

Re: Domenica d’agosto

il: 14/08/2013 – 10:57

 

I parenti del nord, oltre che a criticare tutto quello che vedono, amano discutere di fatti e di persone del loro passato. Solo che il tempo passa e alla fine queste chiacchierate si risolvono nell’aggiornamento riguardante i decessi avvenuti nell’anno appena trascorso.

 

Di solito tutto comincia con una frase innocente:

 

– “E’ tanto che non vedo Giovanni “.

– “Giovanni? Ma Giovanni chi?”.

– “Giovanni, il figlio di quello che vendeva le bombole del gas sotto casa nostra”.

– “Ma quello non aveva figli … ah, ho capito … ma non era Giovanni era Giuseppe”.

– “Giuseppe … è tanto che non vedo anche lui. E come sta?”.

– “Giuseppe? Sta bene, è morto”.

– “E’ morto? … ma se l’anno scorso gli ho parlato!”.

– “Questo è successo perché l’anno scorso non era morto. E poi non era Giuseppe … perché Giuseppe è morto da vent’anni”.

– “Da vent’anni?”.

 

E’ strano notare come un uomo che sembra sul punto di piangere dopo aver saputo una tale ferale notizia improvvisamente si rassereni apprendendo che la morte è un fatto distante, di vent’anni prima. Diventa quasi allegro.

 

A queste conversazioni assurde, in cui si passa con disinvoltura dal riso al pianto, di solito assistono impotenti i fidanzati e le fidanzate dei loro figli (la Giulia, il Federico, la Giovanna … ) giunti dalle nostre parti per essere presentati ai parenti. E’ gente del nord, con abitudini diverse dalle nostre. Ma, mia nonna per esempio, di queste loro abitudini non se n’è mai fatta una ragione.

 

– “Hai visto che la fidanzata di Natale non mi bacia quando entra in casa?”.

– “Nonna, ti ho detto mille volte di non chiamarlo Natale. Ora si chiama Chris (for Christmas, you know) e non ti bacia non perché ce l’abbia con te. Sono fatti così. Si baciano quando si vedono per la prima volta … e poi si accontentano di stringersi la mano. Tu invece le stringi la mano ma non vedi l’ora di baciarla”.

 

I fidanzati e le fidanzate … che pena mi fanno. Passano un mese intero ascoltando discorsi su persone che non conoscono (né conosceranno … gran parte sono morti) e finiscono per stamparsi in viso un sorriso ebete che non riesce a mascherare il desiderio che tutto questo finisca il più presto possibile.

 

Sfortunatamente la fine dei discorsi spesso coincide con l’inizio del pranzo. Ora uno che ha passato un anno a fare brunch ed happy hour può digerire senza danni parmigiane, polpette di melanzane e peperonate? I più finiscono all’ospedale … a parlare male dello stato in cui versa la sanità qui da noi. Ma che volete farci, da noi l’estate è così.

 

 

Re: Le ricette del blog

il: 16/08/2013 – 15:51

Per preparare l’uovo sodo occorre avere un uovo (abbiamo una vicina di casa a cui manca sempre l’ingrediente fondamentale della pietanza che vuole preparare … sembra impossibile ma è così), occorre mettere un po’ d’acqua in una scodella e poi bisogna immergere l’uovo. Quindi è possibile (anzi è necessario) accendere il fuoco e lasciar bollire l’uovo per dieci minuti (ma anche venti, fa lo stesso … anzi, meglio venti). Alla fine è possibile (anzi è necessario) spegnere il fuoco, gettare via l’acqua e servire l’uovo in un piatto (o dove vi pare). Attenzione, l’uovo va mangiato sbucciato … sbucciato bene, la mamma mi diceva che vengono strane malattie se non si sbuccia bene l’uovo (anche l’appendicite, pare … non si sa perché).

 

Ingredienti per 1 persona: 1 uovo

 

PS L’uovo si sguscia, credo … ma se oramai l’avete sbucciato, potete mangiarlo lo stesso.

 

 

Re: Domenica d’agosto

il: 19/08/2013 – 10:52

 

Un po’ il disagio di don Mauro lo capisco. Riguardo ai polsini con i gemelli, intendo. Anch’io al mare mi sento un diverso: sono uno dei pochi che non ha un tatuaggio. Quello davanti a me ha una scritta in cinese sul collo … almeno credo sia cinese. Vorrei domandargli qual è il significato di quei simboli, ma temo di essere indiscreto. Se si è tatuato in cinese è perché non vuole far sapere a nessuno quello che ha scritto. Almeno credo.

 

“Cara, vorrei farmi un tatuaggio”. Mia moglie non la prende bene. Il fatto che io possa portare in giro, addosso, qualcosa di incancellabile la rende nervosa. Perché un tatuaggio è per sempre.

 

Già, un tatuaggio, ma dove? Mi guardo in giro per trarre ispirazione.

 

Sul collo? Andrà bene per il cinese, forse … ma non ho un collo abbastanza lungo per scriverci qualcosa di sensato in lingua malese. Perché io voglio essere letto … sono indiscreto. E voglio essere chiaro … non posso passare la vita a spiegare il significato del mio tatuaggio a quelli che incontro.

 

Sui bicipiti? Beh, tendo a nasconderli … o forse sono timidi loro, non si fanno vedere. Quand’ero ragazzo c’erano tanti che andavano in spiaggia con un pacchetto di Malboro infilato tra la spalla e la maglietta arrotolata fino alle ascelle (depilate, of course). Mi facevano ridere … o forse era invidia?

 

Sul petto non si può … troppi peli. Dovrei rasarmi, come fanno i molti frequentatori del parrucchiere di mia moglie. Ma mi verrebbe l’irritazione alla pelle. Sono sensibile. E poi io da Jean Louis David non ci vado … e il mio barbiere questi lavori non li fa.

 

La caviglia? Mi sembra un po’ femminile, non trovate?

 

Non rimane che il fondo schiena … o la chiappa. E’ li che ha un tatuaggio la signora M. Chi è la signora M?. E’ la madre di E., una delle bambine che porto in giro sul pedalò. “Sai che la signora M. per lavoro fa tatuaggi?”, mi informa mia figlia che sa sempre tutto. E mi porta il catalogo di scritte e disegni che la signora è in grado di realizzare. “Grazie cara, non la vorrei disturbare”. E già, perché la signora M. passa le mattinate a dormire sul lettino, su un fianco, con un drago ben evidente sulla chiappa destra. Sua figlia invece passa le mattinate con noi.

 

E. ha 8 anni.

 

Vive praticamente attaccata a mia figlia: “Papà, lo sai? Se vado a prendermi un succo se lo prende pure lei, se voglio un gelato lo vuole pure lei, se mi va di farmi una nuotata vuole farla pure lei … è una pizza”. La madre o dorme o sparisce, per ore … per giorni. E sua figlia vaga, da sola, per la spiaggia … è un mese che va avanti così. E’ un mese che sta incollata a noi.

 

Ieri mi si è avvicinata una signora piuttosto anziana: “Sa dov’è E.? Vedo che gioca sempre con sua figlia, ma non la vedo”. “Sono lì, a fare i tuffi, non si preoccupi. E’ una sua parente?”. “No. La madre l’ha lasciata da me ieri sera, ha dormito a casa mia … stamattina mi ha chiamato dicendo che non può tornare fino a dopo pranzo. L’ho conosciuta in spiaggia, ma qui tutti sanno che lei – la signora M. – vive così e la bambina si è abituata. Non è che potrebbe occuparsene lei fino a dopo pranzo? Io devo andare via”. Dopo qualche ora vedo E. seduta a un tavolo da sola … il proprietario del Lido aveva ricevuto telefonicamente, dalla madre, l’incarico di farla mangiare. La invito al nostro tavolo, promettendo a mia moglie che mai mi sarei fatto tatuare una chiappa dalla signora M.

 

Alla fine del pranzo in spiaggia mi dice: “ci accompagni sul pedalò più tardi? Guarda che oggi lo pago io … ho i soldi”.

 

 

Re: Domenica d’agosto

il: 20/08/2013 – 10:07

 

Eccomi qua, appena tornato dal tour mattutino. Al mattino si va a Messa e poi a fare la spesa.

 

Fare la spesa è uno dei miei compiti. Ci vado armato della lista preparata da mia moglie che, per prudenza, mi faccio firmare per prevenire i reclami (comunque inevitabili … “ma perché hai preso questi biscotti … lo sai che a tua figlia non piacciono … ti devo dire sempre tutto io”). Sto raffinando, nel tempo, modelli di lista della spesa sempre più precisi, con indicazioni di marca, quantità … , insomma modelli opponibili a terzi. In tribunale qualunque giudice mi darebbe ragione … qualunque giudice uomo intendo dire.

 

Con la lista in mano mi sento sicuro come Gedeone. Non ho niente contro i Madianiti, ma Gedeone lo sento come uno di famiglia. La lista è la mia salvezza: non me l’ha data, forse, mia moglie?

 

Mi piace fare la spesa, soprattutto d’estate, quando sono in ferie. La faccio anche d’inverno, però ad orari impossibili, spesso in compagnia di sbandati, di forzati da ufficio, di happy houristi che di solito si ammassano davanti al banco surgelati così come, in orario di lavoro, paiono attratti dalle macchinette del caffè.

 

La spesa ad agosto, al mattino, la faccio invece accanto alle casalinghe professioniste. Gente che sa distinguere non tanto un peperone da una melanzana (sono capace anch’io di fare questo), ma una melanzana da un’altra. Tastano frutta e verdura con perizia e poi scelgono, sicure, tranquille. Che invidia! Loro comprano a peso … “mi dia un chilo di pesche” … mentre io, come tutti gli happy houristi del resto, vado a numero: “mi dia cinque pesche”. L’altro giorno ho voluto provare anch’io: “mi dia mezzo chilo di pane”, ho detto. Il panettiere mi ha guardato strano, come se volesse dirmi “chi ti credi di essere”, ed ha aggiunto: facciamo 6 panini, come al solito?

 

Ho anche qualche soddisfazione, a dire il vero. Il pescivendolo per esempio è diventato un mio amico. Quando entro nel suo negozio – dopo orde di clienti femmine mattiniere che litigano sul peso, sul prezzo, sulla freschezza del prodotto, sulla qualità del pesce che lui ha rifilato loro il giorno prima – lui mi guarda e sorride. “Minchia …” sono le parole che leggo nel suo sguardo perso mentre rimane appeso per ore con la busta in mano, dietro il banco, aspettando pazientemente che una femmina si decida ad afferrarlo, smettendo finalmente di confidare alla vicina di banco le prodezze del suo nipotino treenne (“devi vedere che dentini che ha … guarda che bel morso mi ha dato sul braccio … vedi le croste … me le ha fatte lui” … e sorride). Quando siamo soli, io e lui, mi parla dei suoi problemi familiari. Dovete sapere che ha due figli che si nutrono solamente di bastoncini di pesce. Capirete, per lui è un dramma.

 

Ritorno a casa sicuro, arricchito. Fino a quando mia moglie non mi chiede i prezzi delle cose che ho acquistato. “A quanto le hai comprate le pesche?”. Sembra incredibile ma io a questo tipo di domande non so rispondere. Eppure so che me le farà. Eppure sono anni che compro pesche. Perché mi ricordo di Gedeone, spesso, e non mi ricordo mai del prezzo al chilo delle pesche? Non ve lo so dire.

 

 

Re: Le lettere di Renato Pierri

il: 21/08/2013 – 20:00

Io mi chiamo Sandokan perché mio nonno si chiamava Sandokan.

 

Ecco una foto del nonno. Era un bell’uomo, vero? Io invece somiglio alla nonna. La mamma se n’è accorta subito quando sono nato: “non possiamo chiamarlo Sandokan … è una creatura. Chiamiamolo Filippo come lo zio buonanima”. Ma mio padre s’è intestardito: “Deve essere Sandokan, qui servono le tigri, che chiamino Filippo il figlio di tua sorella”. In Malesia tanti anni fa decidevano gli uomini … una come Fefral, per dire, sarebbe vissuta in catene. Ma ora tutto è cambiato. Peccato.

 

 

 

 

 

 

Re: Domenica d’agosto

il: 22/08/2013 – 10:07

 

Rileggendo qualche mio post qui, sotto l’ombrellone, … e qualche post altrui … mi vengono in mente alcune cose.

 

Il blog per me non esiste. Esistono alcune persone per le quali mi importa scrivere, che mi interessa leggere e che mi importa che mi leggano. Questo insieme di persone non è quindi una massa indistinta. Io non scrivo al blog. E le cose che scrivo sono, come dire, “generate” da queste relazioni. Non esisterebbero se tali persone non ci fossero o sarebbero inutili.

 

I post che scrivo, dai più “pensati” ai più “istintivi”, sorprendono prima di tutti me stesso. Mi sorprendono perché tra le righe vi trovo, rileggendoli, alcuni messaggi che non avevo minimamente pensato mentre li scrivevo. Questo accade quando nascono da cose che leggo (qui o altrove) o dai fatti della vita che mi circondano. All’inizio non era così … all’inizio scrivevo per tutti. A Sandokan invece gli estranei non interessano. Interessano, agli estranei, le storielle di Sandokan? Non hanno senso, per molti. E questi molti, vi dirò, hanno pure ragione.

 

D’altra parte che senso ha la mia vita per chi mi è estraneo?

 

Tempo fa, con Vittoria, parlai di un certo modo di scrivere che deriva dalla necessità di “essere spiegato” più che di “spiegare”. Ecco, un po’ di quello che ho scritto prima ha a che fare con questa idea. Perché la cosa più sorprendente di tutte è che io mi ritrovo, direi sempre, ad essere d’accordo con ciò che non avevo pensato ma che era comunque presente (a quanto pare) in ciò che avevo scritto.

 

Chi scrive racconti in realtà ama la parte incompiuta di sé, almeno credo. L’unico scrittore di romanzi che io conosca e che ha sentito il bisogno di scrivere un saggio per spiegare come si deve leggere il suo romanzo è Umberto Eco, con “Il nome della rosa”. Lo ha fatto perché il suo, in realtà, non è un romanzo ma un saggio travestito da romanzo.

 

Vado a fare il bagno. Le previsioni dicono che tra qualche ora pioverà.

 

 

Re: Domenica d’agosto

il: 25/08/2013 – 23:14

 

Il sabato mattina non c’è Messa feriale e quindi si torna in città. Non è distante, solo pochi chilometri. Con l’occasione passo a salutare i miei genitori, che approfittano dell’occasione per affidarmi qualche piccolo incarico (un prelievo al Bancomat, una lampadina da acquistare … cose così) in giro per il loro quartiere che, un tempo, fu anche il mio.

“Sai che ieri ho visto D.?”, mi riferisce mio padre. “Mi ha chiesto di salutarti ricordandomi che lui era tuo compagno di scuola, alle medie”.

Sorrido. Mesi fa l’avevo incontrato per strada, assieme a mia moglie, vicino casa dei miei. Aveva l’aspetto di un tossicodipendente, trasandato, con lo sguardo allucinato. Lo avevo visto altre volte, ma mai da vicino. Mi avrebbe fatto paura, se fosse stato uno sconosciuto. Mia moglie non è tranquilla quando gli passiamo accanto e ancora meno quando mi fermo a salutarlo. Mi sarei sentito un verme a non farlo, anche se non siamo mai stati amici. “Ciao, come stai?”. Lui non sembra aver voglia di rispondermi. “Non ti ricordi di me?”. “Sì, mi ricordo”, mi dice fermandosi a stento, “ma non so se posso salutarvi,” – dice riferendosi a me ma pensando ad altri incontri simili a questo che gli aveva riservato la sua vita – “ormai voi siete tutti diventati dottori”. Lui invece era andato a lavorare in Danimarca, come cameriere, e si era bruciato il cervello con l’LSD.

Esco da casa e attraverso il cortile dove giocavo a pallone da bambino. L’ambiente in cui sono cresciuto non era facile. C’erano i bulli del quartiere anche allora. Ci rubavano il pallone oppure giravano nell’area in cui giocavamo con i loro motorini truccati, impedendoci di continuare la partita.

Alcuni di loro sono stati uccisi nella guerra di mafia di vent’anni fa. Mi ricordo di B., di G., di N., soprattutto di N. Subì un primo attentato che lo lasciò invalido, sulla sedia a rotelle, e anche impotente. Qualche mese dopo provò ad uccidersi gettandosi in mare con l’automobile, ma qualcuno lo salvò. Un anno dopo subì un nuovo attentato, che l’uccise.

Attraverso la strada e incontro A. E’ un ragazzo – o meglio lo era, perché oggi ha più di 50 anni – disabile. E’ lento nei movimenti, ha difficoltà a parlare e, quando parla, ripete spesso le stesse cose. Comunque si riesce a scambiare due parole con lui. Giocava con noi a basket e noi gli volevamo bene.

“Come sta tuo fratello?”. Le conversazioni con lui cominciano sempre così. “Bene grazie. E tu, che mi dici? Che stai facendo in questi giorni? Stai andando al mare?”. “No. Non ci vado più. Mi sto preparando per Settembre”. Ci ho messo un po’ a capire. Poi ho realizzato. A settembre c’è la festa cittadina, la festa della Madonna della Consolazione, e lui è uno dei portatori della vara. Qualche anno prima l’avevo incontrato dal barbiere e lui mi aveva regalato una spilla con l’immagine della Madonna, che io da allora tengo nel portafogli.

Nel mese di agosto qui da noi, nei paesi e paesini attorno alla città, è tutto un fiorire di feste mariane: processioni per terra e per mare, bande musicali, fuochi pirotecnici, falò in spiaggia, comitati organizzatori, cantilene diffuse con megafoni d’annata, tornei di briscola e tresette, alberi della cuccagna e concertini musicali, zucchero filato, tappeti elastici e tiri a segno, vecchie scalze che recitano rosari e varia umanità che chiacchiera in fondo alle processioni e alle chiese. La festa cittadina di settembre le riassume tutte.

 

Ho pensato, dopo averlo salutato, che sarebbe il caso che mi preparassi anch’io. Ho ascoltato tante omelie mariane in questi giorni. Vediamo se me ne ricordo qualcuna, qualche frase almeno. Ecco questa: “Maria è Regina ancor prima di essere madre di Dio. Il suo battesimo l’ha eletta Regina, già a Nazareth. Impariamo da lei come vivere la nostra regalità”. E’ tutto ciò che è rimasto nella mia mente, mi spiace,e si è mischiato ai miei ricordi d’infanzia, alle persone vive e defunte di cui vi ho detto e che costituisce solo una piccola parte di tutto il complesso di cose che ha fatto si che io oggi, in questo istante, mi ritrovi qui, assieme a voi, chissà perché.

 

 

Re: Domenica d’agosto

il: 27/08/2013 – 09:56

 

In spiaggia s’imparano un sacco di cose. Lo sapevate voi che esiste l’Accademia del Tatuaggio? P. si iscriverà lì, alla fine degli studi. Quando finirà gli studi … e ci vorrà più tempo del previsto, a quanto pare. Ai miei tempi il ruolo dell’Accademia del Tatuaggio lo svolgeva la facoltà di Scienze Politiche. Esiste ancora Scienze Politiche? Boh. Scienziati in giro non se ne vedono … scienziati della politica, intendo. L’Accademia del Tatuaggio invece c’è e lotta con noi. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

P., che ha 15 anni, ha già talento. Si vede. Si è già tatuato una poesia, non i soliti pensierini buoni per Facebook. Una poesia lunga, mi dice mia figlia: “va dall’ombelico fino a sotto il costume”. “Gli ultimi versi saranno per i parenti stretti”, le faccio notare con un minimo di agitazione … non c’è niente da fare, non riesco a non fare dello spirito, anche in prossimità del pericolo: che ci posso fare?

Quando lo incontro cerco di leggere, ma poi preferisco domandare. Sto diventando presbite e se continuo a stare con gli occhi a dieci centimetri dal suo ombelico rischio l’arresto per abuso di minore. “Che poesia è?”. “Non lo so, mi sono dimenticato”. “Come ti sei dimenticato?”. “L’ho tatuata tre mesi fa: era bella!”. Era bella … e forse lo è ancora. Lui però se l’è dimenticata, ma è costretto a portarsela in giro.

P. ha una faccia pulita, buona. Fuma già. “Se avessi una madre come la mia fumeresti anche tu”, dice a una sua amica che gli consiglia di smettere. E’ il fratello di E., la bambina del pedalò.

A proposito di pedalò … sono lieto di comunicarvi che è finita. Siamo passati alla canoa biposto. E lì mia figlia ci va con qualche amichetta di spiaggia. I figli crescono. Noi, io e mia moglie, la guardiamo da lontano, dalla riva. Lei ci cerca, per salutarci. Un altr’anno non ci cercherà più, forse. E noi dovremmo nasconderci, per guardarla ancora, senza che lei se ne accorga. Sperando che non se ne accorga.

Si ricorderà di queste giornate, tra qualche anno? Di questi sguardi? Di questi saluti? Per prudenza alla sua istruttrice di pattinaggio ho parlato chiaro. Dopo aver allacciato i pattini a mia figlia, dopo averle comprato l’acqua da bere, dopo averla guardata mentre iniziava il suo allenamento, mi sono avvicinato alla tipa e le ho chiesto: “quando un giorno verrà da lei e le dirà: quello stronzo di mio padre … o quando lei la sentirà dire qualcosa del genere a qualcuna di queste sgallettate amiche sue … la chiami per favore e le ricordi di ieri e di oggi”.

Quando in avvenire tuo figlio ti domanderà: Che significano queste istruzioni, queste leggi e queste norme che il Signore nostro Dio vi ha date? tu risponderai a tuo figlio: Eravamo schiavi del faraone in Egitto e il Signore ci fece uscire dall’Egitto con mano potente. Il Signore operò sotto i nostri occhi segni e prodigi grandi e terribili contro l’Egitto, contro il faraone e contro tutta la sua casa. Ci fece uscire di là per condurci nel paese che aveva giurato ai nostri padri di darci. Allora il Signore ci ordinò di mettere in pratica tutte queste leggi, temendo il Signore nostro Dio così da essere sempre felici ed essere conservati in vita, come appunto siamo oggi. La giustizia consisterà per noi nel mettere in pratica tutti questi comandi, davanti al Signore Dio nostro, come ci ha ordinato.

 

 

 

 

 

 

 

 

Commenta sul Forum in Lettere