IlSussidiario – LETTURE/ E social: cosa ci fa un prete su Tiktok?
La recente celebrazione della Solennità della Trinità ha di nuovo spinto la Chiesa a riflettere su come sia la vita intima di Dio: come vive al proprio interno la nostra Divinità, “cosa fa”? La risposta sono le Tre Persone della Trinità, le loro relazioni e le loro missioni.
Proprio la vita intima della Trinità spinge la Chiesa ad essere missionaria. Non per nulla il vangelo che abbiamo letto il giorno della Trinità è per eccellenza quello “missionario”, ovvero quello che contiene le parole “andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” (Mt 28,19).
Da quando c’è, il web è un continente che si è aggiunto agli altri. Si può decidere di andare missionari in Amazzonia oppure di andare missionari su TikTok, la piattaforma cinese con quasi due miliardi di utenti soprattutto giovanissimi. Io sono lì non per rivolgermi a coloro che già conoscono il mondo cattolico ma per arrivare a quei giovani per i quali la Chiesa non esiste o, se esiste, è immersa in luoghi comuni e stereotipi che la rendono nemica della loro felicità. Quando ero iscritto da pochi mesi, la domanda che mi veniva rivolta più frequentemente era: “Che ci fa un prete qui?” E io, con un pizzico d’ironia, rispondevo: “come si può essere prete e non essere qui?”. Lo dicevo non solo per quello che c’era da portare lì ma, in primo luogo, per quello che lì c’era da imparare. Nell’immaginario collettivo TikTok è la app dei balletti frivoli o delle challange: nella realtà è sempre più la piattaforma della creatività, degli effetti speciali, dell’ironia intelligente. Un esempio su tutti è quello di Khabane Lame, un italiano di origine senegalese (anche se, purtroppo, è ancora privo della nostra cittadinanza) che, con più di sessanta milioni di follower, è tra i TikToker più seguiti al mondo. Khaby, novello Buster Keaton, ironizza su video molti complicati dando il messaggio che per essere felici basta scoprire quel modo semplice di vivere che non riusciamo a vedere anche se è davanti ai nostri occhi.
Personalmente, con numeri infinitamente minori anche se significativi, con le mie clip cerco di portare avanti il messaggio del rispetto, a mio modo di vedere la traduzione più semplice e quotidiana della virtù cristiana della carità. Dal catcalling ai vaccini, la vita ci offre ogni giorno spunti per riflettere su come la nostra insensibilità possa offendere gli altri. TikTok non è adatto per la catechesi, intesa come discorso lungo e articolato. Il linguaggio del social più amato dai giovani è quello del kèrigma ovvero dell’annuncio del vangelo composto da formulazioni brevi, che dicono qualche cosa di essenziale con il sottinteso: se ciò che ho appena detto ti interessa, fammelo sapere e prendiamoci del tempo perché richiederà maggiori spiegazioni. Avverrà cioè, ecco il sottointeso, che le domande suscitate dall’annuncio, spostandoci in un altro formato della realtà virtuale o della vita reale troveranno una risposta. Kèrigma vuol dire “annuncio” e deriva da kêrux, araldo o messaggero, ovvero colui che porta la notizia. Il messaggero – ovvero la clip di TikTok – non deve saper spiegare la notizia per filo e per segno: altri hanno quel compito, lui deve solo portare la notizia, anticiparla, darne un primo annuncio. La notizia, cioè la cosa che viene proclamata nell’annuncio in forma breve, è il kèrigma. La mia opinione è che TikTok, se lo si sapesse usare, sarebbe per i giovani esattamente il luogo ideale del kèrigma, cioè dell’annuncio.
Tra i primi cristiani il kèrigma era il modo di provocare l’ingaggio, cioè di interessare. Si diceva qualcosa di memorabile in modo incisivo – per esempio “il regno di Dio è vicino, convertitevi e credete al Vangelo” (Mc 1,15) oppure “il Signore è veramente risorto ed è apparso a Simone” (Lc 24,34) – e, dopo aver agganciato l’interesse, c’era la catechesi, ossia lo spazio per l’approfondimento successivo: oltre che nei video, cerco di spiegarlo nel mio libro Il vangelo secondo TikTok (Edizioni Terra Santa 2021), dove racconto la giornata di un prete che vive come tutti gli altri preti. Con l’aggiunta, piccola ma impegnativa, di essere anche su TikTok.
Tratto da ilsussidiario.net