Articoli / Blog | 13 Agosto 2019

Le Lettere di Alessandra Bialetti – Quando i giudizi non vanno in vacanza

Criticata, giudicata e pregiudicata. Seguita da molti quando era conduttrice vivace, piena di verve, sagace ed entrava nelle case per denunciare le tante sporcizie di un mondo che non va come dovrebbe.

Nadia Toffa, conduttrice televisiva, è morta dopo la lotta contro il cancro. E già ci crea tanta difficoltà usare in modo plateale questa parola che va edulcorata, resa più innocua perché parla di dolore e il dolore va sempre mitigato perché ci fa paura. Allora si dice “dopo lunga malattia”, oppure ci ha lasciati o se ne è andata. Più miti come parole. Invece Nadia quella parola, cancro, l’ha sempre usata. Come era sullo schermo, dalle sue parole lasciate in un libro autobiografico, era nella vita. Schietta, senza ricami e ghirigori. Cercava di portare luce con i suoi servizi televisivi così come ha fatto con la sua malattia.

Tante le foto che la ritraevano nel suo percorso di malattia attaccata alle flebo della chemioterapia, senza capelli, con occhiaie che nel mondo televisivo vengono nascoste da chili di cerone perché non si può apparire fragili e non performanti. Lei ha sempre esibito una lotta senza quartiere iniziata con un semplice malore e conclusa oggi con una sconfitta medica. Ma non umana. La sconfitta è di chi, lungo questi mesi, troppo pochi per una giovane vita, l’ha criticata, giudicata, ha sbattuto in prima pagina il suo voler “spettacolizzare” la malattia, le cose brutte che vanno celate e non denunciate come se la morte non fosse parte di quella stessa vita che cerchiamo di difendere. La sconfitta è dei leoni della tastiera che le dicevano di farla finita con quelle foto che disturbavano la quiete di chi non vuole vedere, di chi si vuole illudere che tutto vada sempre bene, di chi relega il malato a cittadino di serie B. La sconfitta è nostra quando quella morte ci mette talmente paura perché ci ricorda che sarà una tappa obbligata per tutti e allora è meglio che le persone colpite dal male se lo vivano per conto loro e non ne diano troppo notizia.

Nadia, invece, ha scelto tutta un’altra strada. Non ha svenduto il suo corpo ferito dalle cure per farsi pubblicità, per attirare compassione, per innescare del facile pietismo. Ha usato se stessa, mettendosi a rischio di critiche puntualmente arrivate, per dare forza a chi viveva lo stesso travaglio, la stessa sofferenza, per dare coraggio, per dire che fino all’ultimo la speranza non l’ha abbandonata e l’ha portata sempre avanti. È tornata anche al lavoro stringendo i denti per poi riprendere la corsa contro il tempo in ospedale, con gli aghi nel braccio e un selfie che invitava a non mollare perché buttarsi giù era già aver perso.

È stata fortemente criticata quando ha dichiarato che il suo tumore, il suo cancro è stato un dono per lei. Subissata dalla disapprovazione pubblica. È stata travisata anche dagli stessi malati giustamente “arrabbiati”. Ma il suo senso era altro: non è un dono una malattia ma un’opportunità per comprendere il valore della vita, il senso dei legami, l’importanza di non lasciare nessuna parola non detta, di godere di ogni attimo per perdonare e perdonarsi, per vivere fino in fondo quegli affetti che diamo per scontati quando li abbiamo sempre davanti e che in un attimo assumono altro valore. Era questo il senso del dono della malattia. Era questo il senso del suo apparire così come era nei giorni del male e delle cure.

Non sono solita seguire la trasmissione e poco conoscevo la sua attività lavorativa. Qualche servizio, qualche momento. Ma mi sono sentita vicina alla sua vicenda umana perché tutti noi, direttamente o meno, viviamo il dramma di una persona che lotta per la vita e anche se lo vogliamo dimenticare e non vedere, è un dolore che ci rende impotenti. Nel mondo dello spettacolo e anche nella nostra piccola quotidianità, non si deve vedere se non la perfezione. Nadia ha messo in onda l’imperfezione, la fragilità, la debolezza, la disperazione a tratti ma molto più spesso l’incitamento alla speranza, la voglia di vivere, la positività nonostante tutto. Ha lasciato il suo esempio di vita non di morte.

Allora mandiamo in vacanza definitiva le critiche e conserviamo nel cuore il lato umano di questa vicenda. Stiamoci più vicini, diamo nome alle cose anche a questo maledetto cancro che, nonostante i tanti passi avanti, uccide ancora. Ma non la speranza, non la lotta, non lo starci accanto dando valore a quei legami che rimarranno sempre l’unica vera ricchezza . Un’eredità che ci spinga alla condivisione con chi soffre piuttosto che alla fuga.

Allora non addio Nadia, ma ciao. Come si dice a chi si rivede tra poco. Ma non distrattamente, con consapevolezza. Con meno paura. Con la verità che hai testimoniato anche da un letto di ospedale. Un’estate terribile questa per le tante perdite, più terribile non farne tesoro.

 

Vivo e lavoro a Roma dove sono nata nel 1963. Laureata in Pedagogia sociale e consulente familiare, mi dedico al sostegno e alla formazione alla relazione di aiuto di educatori, insegnanti, animatori. Svolgo attività di consulenza a singoli, coppie, famiglie e particolarmente a persone omosessuali e loro genitori e familiari offrendo il mio servizio presso diverse associazioni (Nuova Proposta, Rete Genitori Rainbow, Agedo). Credo fortemente nelle relazioni interpersonali, nell’ascolto attivo e profondo dell’essere umano animata dalla certezza che in ognuno vi siano tutte le risorse per arrivare alla propria realizzazione e che l’accoglienza della persona e del suo percorso di vita, sia la strada per costruire relazioni significative, inclusive e non giudicanti.