Alessandra Bialetti / Blog | 26 Marzo 2019

Le Lettere di Alessandra Bialetti – Tra i fichi da buttare: vuoi essere “zappato”?

Rebibbia. Un campo apparentemente di alberi secchi. Anzi meglio, un campo dove far marcire, dove non vale la pena irrigare perché l’acqua è preziosa, serve al pianeta, non lì dentro. E invece eccoci di nuovo qui. Domenica dopo domenica. La fila per entrare in cappellina si fa sempre più grande, possibile che sia solo per riempire un’ora e passare il tempo? Può darsi direbbe la parte diffidente di noi. Straordinario pensa la parte di noi in cui alberga Gesù, il grande giocoliere.

La prima lettura ormai è di appannaggio di F. di religione ebraica. Non manca un appuntamento, si unisce a noi e spesso ci invita a riflettere. Oggi ha del sensazionale. Ci spiega che secondo la Torah, l’insegnamento ebraico, chi sbaglia fino a tre volte ha diritto ad essere perdonato. Ma solo fino a tre volte. F. ci parla invece di un Gesù che va oltre, ben oltre delle tre volte. Grazie F. che ci presenti un Gesù come uomo dell’oltre, uomo che scorge al di là delle apparenze, che intravede nel legno secco un nucleo di linfa vitale che ancora scorre. Un Gesù che non pota, che si rifiuta di fare una fascina di legna secca da buttare nel fuoco per riscaldarsi. E’ uomo che visita e abita le periferie esistenziali. Uomo non solo di speranza ma di perseveranza.

Gli fa eco A., passato attraverso l’esperienza del coma e di, come lo definisce lui, ritorno alla vita. Ci dice che nessuno è perso fino a quando capisce dove si è perso, fino a quando individua il punto in cui la sua strada si è interrotta e la linfa del proprio albero ha smesso di scorrere, fino a quando accetta di essere “zappato”. Zappato? Eh sì, giocoliere. Sei anche l’uomo che scende nel campo e ogni mattina, neve, pioggia, vento o sole, imbracci la zappa e con pazienza, inizi a dissodare il terreno, a buttare le erbacce che intorno al tronco rischiano di soffocarlo, a sarchiare la superficie per preparare la nuova semina. Ecco allora: se non accettiamo di essere dissodati e sarchiati fin nel profondo, se non accogliamo la zappa che, da una parte ferisce e dall’altra prepara alla vita, siamo veramente persi. Desideriamo veramente quella mano che ci rimescola dentro strappandoci alla nostra aridità?

S. afferma di essersi sentito il fico secco quando si è rotta la speranza su di sé, quando si è smarrito nel facile guadagno, nel reato che doveva “svoltargli” la vita ma lo ha reso, oggi, abitante di quel campo di alberi secchi apparentemente desolato. “Ho sbroccato” dice, ovvero sono uscito fuori, fuori di me invece oggi voglio essere sbloccato. Cambia una lettera, semplicemente una lettera ma l’alfabeto non è un ammasso di segni senza senso: trasforma la vita una “r” o una “l”. Ma come vuol essere sbloccato S.? Non ci posso e forse non ci potete credere. Uso le sue parole. “A pizze in faccia” ovvero con parole e gesti che lo inchiodino al suo errore, che illuminino la sua aridità, che modellino il suo tronco fino a farlo diventare di nuovo verde, fino a che quella linfa vitale sia “sbloccata”. Ecco allora S. ti prenderemo a “pizze in faccia” tutte le volte in cui sbroccherai e non sbloccherai perché ci stai dicendo che, in fondo, hai bisogno di presenza, di compagni nella tua solitudine che, anche con durezza, scuotano il tuo torpore, la tua secchezza. In una parola hai bisogno di qualcuno che ti strappi alla tua invisibilità.

Manca un pezzo al puzzle: cosa permette di cambiare visione? Cosa permette di passare dal legno secco da potare e buttare via a legno ancora verde che può produrre frutti a suo tempo? Dentro la landa desolata del carcere cosa può entrare a fare la differenza? Mi soccorre nella risposta una battuta del cappellano, amico del gran giocoliere. Scherzando con A. e parlando di come le sue parole, come quelle degli altri, stiano diventando oggetto di articoli letti fuori dalle sbarre, quindi frutti buoni di alberi ritenuti da molti secchi e inutili, afferma che io mi sia “innamorata di lui” perché spesso lo cito. Sorrido: innamorata è un po’ troppo e poi non è reale. A. corregge il tiro: “lei ha stima di me”. Ecco, proprio così A. La stima, la fiducia, il guardare l’altro come essere umano, come persona alla ricerca di sé dopo lo sbaglio, il soffermare lo sguardo per scorgere qualcosa di nuovo e vitale dietro le apparenze di morte. Questo permette il passaggio dall’aridità alla nuova fruttificazione. Mi tornano in mente le parole di Isaia: “Perché tu sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima e io ti amo, do uomini al tuo posto e nazioni in cambio della tua vita”. Non vale solo per i detenuti, vale per ognuno di noi, per le nostre aridità, per i rami secchi che invece hanno dentro ancora il nutrimento per portare frutto. L’essere visti non solo guardati distrattamente, essere visibili e non trasparenti, essere degni di stima nonostante i tanti errori, ben più dei tre della Torah, essere oggetto di scambio al posto di uomini, nazioni, potere, dominio. Essere tesori da riscattare. Allora al momento della pace, in cui ognuno abbandona il proprio posto per andare a incontrare l’altro, mi ripropongo non solo di stringere mani con uno sguardo sfuggente, ma di incontrare visi e occhi, indugiare sull’altro per andare oltre, per percepire la bellezza di una fioritura che presto potrà avvenire. Perché non siamo veramente persi fino a quando qualcuno (con la q minuscola) e Qualcuno (con la Q maiuscola) ci vedrà e scommetterà su di noi.

E, infine, M. aggiunge che spesso perde la mano del Seminatore, non lo vede, dubita persino che sia passato nel suo campo. No M. ricordo a te e a me il gran giocoliere che nell’incontro con il giovane ricco alla ricerca del senso della vita, senza tante parole “fissatolo lo amò”, posò il suo sguardo su di lui e scommise nuovamente su quella semina perdente per la logica del mondo. M., tu puoi anche perdere di vista il Seminatore, ma Lui non perde di vista te. Torna nel campo, più e più volte e accetta di spargere il fertilizzante certo che non sarà perso.

Grazie giocoliere. Grazie che da coltivatore deluso degli alberi secchi ti trasformi per noi in Seminatore instancabile. Uomo della speranza, della perseveranza, del raccolto sicuro.

 

Vivo e lavoro a Roma dove sono nata nel 1963. Laureata in Pedagogia sociale e consulente familiare, mi dedico al sostegno e alla formazione alla relazione di aiuto di educatori, insegnanti, animatori. Svolgo attività di consulenza a singoli, coppie, famiglie e particolarmente a persone omosessuali e loro genitori e familiari offrendo il mio servizio presso diverse associazioni (Nuova Proposta, Rete Genitori Rainbow, Agedo). Credo fortemente nelle relazioni interpersonali, nell’ascolto attivo e profondo dell’essere umano animata dalla certezza che in ognuno vi siano tutte le risorse per arrivare alla propria realizzazione e che l’accoglienza della persona e del suo percorso di vita, sia la strada per costruire relazioni significative, inclusive e non giudicanti.