Alessandra Bialetti / Blog | 13 Marzo 2019

Le Lettere di Alessandra Bialetti – Basta rimanere in silenzio

E’ sera e sono stanca ma girando su internet lo sguardo mi cade su una notizia di cronaca di tempo fa a proposito di uno stupro ad opera di un “padre” sulla figlia di 8 anni con prestito della stessa agli amici del bar perché si potessero anche loro divertire. Le mie parole sono forti, me ne rendo conto. Ma non si può tacere davanti a tanto orrore sia per rispetto per la vita spezzata di una bambina abusata per 8 anni fino alla sua adolescenza ormai segnata, sia per le potenziali vittime a rischio di rimanere impunite. E mentre leggo allibita la notizia ne spunta un’altra ugualmente feroce: una bimba ancora più piccola subisce la stessa sorte e finisce sul cellulare del padre che filma le sequenze atroci.

Nel primo caso la violenza ripetuta non ha avuto giustizia: Tribunale e Corte d’Appello hanno riconosciuto la colpevolezza ma su decisione della Corte di Cassazione, l’Appello ha dovuto dichiarare il non luogo a procedere per prescrizione. Un’abile difesa, ha ammorbidito la condanna arrivando alla prescrizione. Il tutto si è chiuso con un risarcimento civile e nessun giorno di detenzione. Immagino il dolore di quella ragazza adolescente, vittima silenziosa e ridotta al silenzio, vittima di un dolore che difficilmente cancellerà quando le parole e i gesti risuoneranno nella sua testa, quando l’amore delle persone vicine sarà sì un balsamo ma non le potrà restituire un solo attimo di un’infanzia e un’adolescenza persa tra i giri di giostra promessi che diventavano violenze e uscite al bar dove il suo corpo e la sua anima venivano rese carne da macello. Ancora più immagino il dolore di questa ragazza a non essere riconosciuta nemmeno dalla giustizia, non per desiderio di vendetta ma per non essere invisibile e trasparente nel suo dramma, per essere “risarcita” di un diritto alla vita rubato e fatto a pezzi. Il dolore di quella sentenza lo porto dentro di me, lo sento bruciare anche sulla mia pelle in quanto donna ed essere umano. E non posso tacere. Mi auguro che l’amore del fidanzato e della famiglia possa restituirle momenti sereni e una vita degna di tale nome ma difficilmente potrà cancellare l’esperienza di essere stata tradita dall’affetto più grande, da un padre che, se degno di tale nome, avrebbe dovuto proteggerla, difenderla, custodire la sua crescita, introdurla in un mondo con le spalle coperte. Si parla spesso degli “orchi” fuori dalle famiglie, delle violenze ad opera di stupratori d’occasione, di mostri senza volto. Poco, ancora troppo poco, si parla della violenza domestica, consumata in case che dovrebbero essere dei rifugi accoglienti e che diventano invece caverne degli orrori. Poco, troppo poco, si parla di quanto sia oltremodo dolorosa e pesante la violenza perpetrata da familiari ai quali le bimbe e le ragazze guardano con fiducia estrema perché è impossibile che chi ama possa fare così del male. Poco, troppo poco si parla di quanto la ferita sulla fiducia la porti dietro tutta la vita e ti renda diffidente di tutto e tutti o, peggio, sempre in potenziale balia dell’abusatore di turno. Poco, troppo poco, si parla di quanto violentare una giovane vita o anche una vita adulta sia rendere una persona una cosa, un oggetto indegno di cura e rispetto, un corpo senza anima che difficilmente ricostruirà la sua autostima mendicando un continuo riconoscimento che chissà mai se arriverà. E nessuna legge a tutela, nessuna pena da scontare, una vita salva e di nuovo in circolo cancellando con una prescrizione tutto il male fatto. Solo da adulta la ragazza, dopo un percorso doloroso, è riuscita a parlare chiusa per anni in un’omertà aberrante e vittima anche di violenza psicologica. La sua voce si è alzata, ha trovato accoglienza in famiglia ma il muro della legge. Una ferita sulla ferita. Un dramma nel dramma.

Il secondo caso parla di un padre che, non pago dei suoi atti, ha filmato anche i suoi gesti e non oso pensare dove siano finiti quei video. Non oso immaginare la scena e quella piccola bimba che nei suoi 4 anni non poteva capire ma sentiva dolore e non aveva voce per denunciarlo. La mamma inizialmente non ce la faceva a credere alla fondatezza dei fatti e non immagino fino a che punto possa essersi spinto il suo dolore nel trovare la figlia nei filmati sul cellulare. E poi la sofferenza nel conoscere la diagnosi medica. Questo “padre” recita l’articolo non è più padre. Gli è stata revocata la patria potestà. Essere padre è ben altra cosa. Non potrà fare altro male e non potrà prendersi cura della crescita di una figlia che guardava a lui con fiducia e affidamento. Fortunatamente. Pagherà il suo reato anche se 4 anni e 9 mesi di carcere in fondo non valgono nemmeno un attimo di vita. Mi auguro che la detenzione generi in lui una riflessione e non lo renda ancora più aggressivo una volta uscito. Ma penso alla piccola, ai segni che sempre porterà nella sua anima, alla diffidenza che si porterà nel cuore, alla paura quando vedrà alzarsi una mano magari solo per un saluto. Perché i bimbi sono istintivi, fiutano il pericolo ma sono bimbi e non sanno difendersi. Non hanno voce, hanno una piccola anima cui non si riconosce il diritto e la spensieratezza di crescere vivendo il bene per cui è stata creata.

Sono volontaria in carcere e sono a contatto diretto con chi compie reati. Il mio percorso accanto ai detenuti mi spinge a evitare giudizi ma cercare di comprendere. Ma comprendere non vuol dire non denunciare ciò che va pagato e sperare che l’esperienza del carcere possa generare un cambiamento. Ho visto detenuti soffrire per i loro errori e accettare il carcere come via per riflettere sui propri sbagli e cercare di correggere il loro cammino. Ho visto detenuti piangere e soffrire per il male procurato. Mi aiutano a riflettere ma stasera non potevo andare a letto con la coscienza a posto. Le grida di queste due anime mi bruciano dentro, mi spingono a tirare fuori una voce che loro non hanno potuto esprimere, mi mobilitano a denunciare, a non assuefarmi al male e all’ennesima notizia di cronaca nera che ci fa emettere un sospiro e poi tutto passa perché dobbiamo pur sopravvivere. Posso solo dare voce, urlare in una notte silenziosa, gridare che un dolore simile non può passare inosservato. Siamo talmente abituati al male che le notizie come questa occupano sempre meno spazio sui giornali, non fanno più clamore, come i morti per droga che i primi anni occupavano un’intera pagina del quotidiano e ora un misero trafiletto e forse nemmeno quello. C’è ancora da camminare tanto perché vite innocenti non siano dimenticate. E perché la vita familiare non sia considerata una bella frase da bacio perugina ma una realtà da seguire, curare, accompagnare. Perché piccole bimbe possano crescere donne sane. Magari senza padre ma con meno orchi in giro.

Mi auguro che chi non riesce ancora a urlare trovi la forza di farlo. Io sono con loro.

Chiedo scusa se le mie parole possano apparire dure. Anzi no. Forse scusa lo devono chiedere altri.

 

Vivo e lavoro a Roma dove sono nata nel 1963. Laureata in Pedagogia sociale e consulente familiare, mi dedico al sostegno e alla formazione alla relazione di aiuto di educatori, insegnanti, animatori. Svolgo attività di consulenza a singoli, coppie, famiglie e particolarmente a persone omosessuali e loro genitori e familiari offrendo il mio servizio presso diverse associazioni (Nuova Proposta, Rete Genitori Rainbow, Agedo). Credo fortemente nelle relazioni interpersonali, nell’ascolto attivo e profondo dell’essere umano animata dalla certezza che in ognuno vi siano tutte le risorse per arrivare alla propria realizzazione e che l’accoglienza della persona e del suo percorso di vita, sia la strada per costruire relazioni significative, inclusive e non giudicanti.