Articoli / Blog | 19 Febbraio 2019

Agi – Il sovranismo è un modo di pensare la vita. Anche quella eterna

La questione dello sketch di Virginia Raffaele sul demonio a Sanremo ha avuto un’eco mediatica assolutamente fuori proporzione grazie alla non casuale miscela di due ingredienti. Il primo è la popolarità, anzi la celebrità, di cui gode Salvini; il secondo è che non sono pochi i cristiani che credono più nell’esistenza del demonio che in quella di Dio. Sono gli stessi che immaginano un paradiso molto bello anche perché, mentre loro godono di Dio, tanti altri, moltissimi di più, rosolano all’inferno.    

Ci riflettevo a proposito del mio recente articolo sullo sketch della Raffaele. Lì, in buona sostanza, scrivevo che poiché il demonio è una cosa seria, non si poteva trattarlo a colpi di slogan sui social che invece erano lo strumento idoneo per determinare la vittoria di un cantante. Questa considerazione, ovvia a quasi tutti, a qualcuno è sembrata stonata sulle labbra di un prete: com’era possibile essere un bravo sacerdote e allo stesso tempo non indignarsi per la scenetta?

La miscela apparentemente tanto eterogenea dei due succitati elementi ha in realtà un filo rosso comune, che è quello percepito da Salvini grazie all’incredibile fiuto elettorale che lo guida, e che lo ha spinto a non a perdere l’occasione di far proprio lo sdegno, all’inizio di pochissimi, rispetto alla Raffaele. Il filo rosso è il sovranismo: un modo di pensare che contamina anche il nostro modo di vedere la vita eterna, il come ci immaginiamo Dio, e quindi il senso del bene e del male con le rispettive punizioni e premi, cioè l’inferno e il paradiso.

Perché, come ho appena scritto, quando un “sovranista” pensa al paradiso gode molto all’idea che il castigo eterno riguarda tanti, tantissimi, quasi tutti, e invece che il premio eterno del paradiso sia, in fin dei conti, per quei pochi come loro che, senza fare eccessivo affidamento sulla misericordia divina, si sono rimboccati la maniche e hanno duramente lavorato tutti i giorni della loro vita declinando anche in chiave spirituale il celeberrimo “lavoro, guadagno, pago, pretendo”.       

Quando noi pensando ai migranti diciamo “tornino a casa loro”, “se ne stiano a casa loro”, oppure, con riferimento all’Europa, “a casa nostra decidiamo noi”, “a casa mia decido io”, non trasmettiamo in realtà quel messaggio di simmetria e di equità che vogliamo far credere in apparenza ma l’idea che le sorti degli altri non ci interessano e, come minimo, non ci riguardano e non vogliamo esserne coinvolti. O meglio, se qualche loro decisione viene a toccare “casa mia” allora voglio potermi difendere “dall’invasore”: altrimenti stiamo “ciascuno a casa propria”.

Peccato che questa idea di buono e di bene non sia quella cristiana. Nella parabola in cui il padrone della messe paga allo stesso modo chi ha lavorato tutto il giorno come quello che è stato nei campi solo pochi minuti (cfr Mt 20, 1-16) il messaggio è che, con Dio, “lavoro, guadagno, pago, pretendo” non funziona. Funziona invece molto bene con il demonio, perché lui ragiona allo stesso modo.

Tratto da Agi