Articoli / Blog | 17 Dicembre 2018

FarodiRoma – Peggio la pipì o la teoria del gender?

Se la paura del gender fa sì che una madre si preoccupi più del colore dei pantaloncini del proprio figlio invece che del suo oggettivo benessere bisogna davvero allarmarsi.

È accaduto in un asilo di Chivasso, un paesino vicino a Torino, dove un bimbo, dopo essere stato già cambiato tre volte, al quarto cambio, resosi necessario per un incidente di pipì tanto comune a quell’età, è stato rivestito dagli insegnanti con l’unico pantaloncino disponibile: peccato però avesse il colore fucsia.

Lasciano sbalorditi le parole della mamma che, al vedere suo figlio cambiato e pulito, invece di ringraziare gli insegnanti e magari scusarsi per il “superlavoro” involontariamente arrecato dal piccolo alle maestre, ha aggredito le docenti dicendo: “Meglio sporco che vestito da femmina” temendo che quel pantalone indossato in emergenza solo per qualche ora, potesse indurre nel figlio una confusione nell’identità di genere. La mamma protesta con la scuola fino a ottenere un colloquio con il dirigente scolastico che difende le insegnanti. “Le maestre – dice quest’ultimo – hanno agito con buon senso”, ma la madre replica: “Non voglio che gli vengano idee sull’identità di genere in conflitto”.

Se non fosse tragica la vicenda sarebbe da ridere ma merita una sottolineatura per mostrare fino a che punto di cecità può condurre una ideologia. Concetti come natura, orientamento sessuale, identità di genere svelano immediatamente la loro complessità non appena chi vorrebbe allontanare da sé tutti i problemi semplificando le difficoltà, affronta il tema della sessualità a colpi di slogan. Parlo di cecità a ragion veduta. Quella madre “non vede” la necessità igienica del proprio figlio e dei suoi piccoli amici al punto di preferire che il bambino rimanesse con i pantaloni sporchi piuttosto che piegarsi ad una supposta strategia ideologica costruita ad arte “dalle lobbies”. Se una mamma arriva a “non vedere” il proprio figlio, il suo benessere, in nome di una teoria, capiamo bene quale sia il rischio del fondamentalismo: corrodere le relazioni, diffondere la solitudine e l’incomprensione, creare divisioni e barriere, spezzare la vita. Non sto esagerando. La reazione della mamma non è stata a caldo. Sebbene il fatto fosse avvenuto venerdì 7 dicembre, la madre si è presentata infuriata a scuola il lunedì successivo presentando agli insegnanti addirittura un bigliettino scritto. “Vi ringrazio per i pantaloni rosa e le mutandine che avete imprestato al bambino, dopo aver esaurito la scorta. Però le norme sociali non le abbiamo fatte noi. Lo preferivamo pisciato che vestito da femmina e con le idee sull’identità di genere in conflitto”. E non si capisce perché la supposta norma sociale su bambini vestiti in azzurro e femminucce vestite di rosa, debba prevalere sull’oggettiva e materiale mancanza di igiene del rimanere vestiti con abiti impregnati di pipì. Ma forse le scorie contenuti dalle urine sono meno oggettive della scia di sporco che impregna la teoria del gender.

Tratto da FarodiRoma