Articoli / Blog | 16 Novembre 2018

Agi – Perché nel Padre nostro non diremo più “non indurci in tentazione”

Tra pochi giorni, quando a Messa reciteremo il Padre nostro, invece di “non ci indurre in tentazione” ci rivolgeremo a Dio dicendo “non abbandonarci alla tentazione”. Anche nel Gloria ci sarà una nuova espressione: “pace in terra agli uomini amati dal Signore” invece che “pace in terra agli uomini di buona volontà”.

Tecnicamente, questo provvedimento deciso dalla Cei potrà entrare in vigore solo quando sarà approvato dalla Santa Sede ma tale conferma arriverà di certo visto che è stato proprio Papa Francesco, in più di un’occasione, a sottolineare come l’attuale traduzione “fosse cattiva”. La prima volta avvenne nel corso del programma ‘Padre nostro’ su Tv2000. «Non è una buona traduzione» – disse il Pontefice quando si ripeté la formula ormai andata in disuso – «Anche i francesi hanno cambiato il testo con una traduzione che dice ‘non lasciarmi cadere nella tentazione’, sono io a cadere, non è lui che mi butta nella tentazione per poi vedere come sono caduto, un padre non fa questo, un padre aiuta ad alzarsi subito. Quello che ti induce in tentazione è Satana, quello è l’ufficio di Satana».

In linea di massima è necessario ogni tanto cambiare le traduzioni: sia della Scrittura che delle preghiere più tradizionali perché il passare del tempo crea sensibilità nuove che richiedono parole nuove. Perché per tanto tempo si è pensato che andasse bene “non indurci in tentazione”? Perché c’è un senso, ormai andato in disuso, della parola tentazione che non è strettamente e radicalmente negativo. Quando una mamma incoraggia il bambino a muovere i primi passi verso il papà spinge il figlio a mettersi alla prova, a rischiare, accettando il rischio che cada. In questo senso lo “mette in tentazione”: è quell’incoraggiare a vivere, a sperimentare, a rischiare con ottimismo, che ogni buon genitore auspica per la propria prole.

Nella Bibbia ci sono molte situazioni in cui Dio mette alla prova con l’intento di far crescere: basti pensare al sacrifico di Isacco quando Dio, dice la Bibbia, “mise alla prova Abramo” (Gn 22,1). L’obiettivo di Dio non è sperare che Abramo cada e pecchi ma insegnare all’uomo, cioè ad Abramo, a donarsi a Dio.

Tutto ciò, di per sé, è bello e positivo ma, purtroppo, nel parlare comune questo senso positivo della “tentazione” è ormai oscuro: prevale il demoniaco “tentare” con l’obiettivo di far cadere, di far morire, di causare danno a qualcuno che si odia. Nessun genitore, per quanto desideri che il figlio si metta alla prova ingaggiandosi in sfide impegnative non pensa mai, dentro sé, a quelle situazioni come “una tentazione”. Per questa ragione, mantenere nella situazione attuale la traduzione “non c’indurre in tentazione” non darebbe all’uomo d’oggi una corretta immagine di Dio, perché confonderebbe Dio con il seduttore. Il demonio nel paradiso terrestre tentò Adamo ed Eva perché voleva indurre la sua caduta, voleva il male dell’uomo, desiderava far soccombere i nostri progenitori, non voleva che uscissero migliori e più forti dalla sfida. E tutto ciò niente ha a che vedere con le intenzioni di Dio.

Anche cambiare le parole del Gloria dalla pace “per gli uomini di buona volontà” a “gli uomini amati dal Signore” corrisponde meglio al nostro attuale modo di pensare. Quando noi pensiamo a uno che ci mette “tanta buona volontà” ci viene in mente qualcuno che poi nonostante qualche debole tentativo nell’impresa fallisce: uno studente che “ci mette tanta buona volontà” ma ottiene cattivi voti perché è alla scuola sbagliata; una squadra di calcio che ha attaccato “con buona volontà” ma in un modo che alla fine è risultato perdente.

Per questi motivi ben vengano i cambiamenti che nella storia della Chiesa ci sono sempre stati. Perché Dio cammina sulle stesse strade degli uomini.

Tratto da Agi