Articoli / Blog | 06 Luglio 2018

Agi – Cosa dice a noi italiani lo spogliatoio del Giappone dopo l’eliminazione ai Mondiali

La foto che ritrae lo spogliatoio del Giappone al termine della sfida persa agli ottavi di finale contro il Belgio, lascia sbalorditi. Tutti ormai sappiamo che a lasciarlo così sono stati gli stessi giocatori che pochi minuti prima avevano perso. Non solo hanno pulito, hanno anche lasciato un biglietto con, in russo, la scritta “Grazie”.
Zaccheroni, che fino a poco tempo fa era stato il loro ct, ha scritto: “Vi racconto che cosa succede in uno spogliatoio giapponese di calcio quando finisce una partita: il giocatore che si sfila per primo un indumento lo piega e lo sistema per terra, tutti quelli che vengono dopo utilizzano lo stesso metodo. In pratica si formano quattro pile di indumenti sporchi: maglietta, pantaloncini, calzettoni e canottiere tecniche. Questo succede perché il lavoro del magazziniere è visto col massimo rispetto e tenuto nella massima considerazione.” Ricordiamoci che il Giappone ha perso una partita che, secondo moltissimi, avrebbe meritato di vincere: erano sul 2-0 fino al 69esimo e hanno subito la rete della sconfitta al 94esimo. Quanti italiani, invece di pulire gli spogliatoi, avrebbero imprecato contro chiunque a forza di “insensibili”?
Mi tornano in mente le foto delle strade nipponiche devastate dai terremoti e ricostruite dopo pochi giorni: anzi ricostruite “più volte” nei giorni successivi, perché le scosse di assestamento continuavano a rovinarle ed esigevano nuove riparazioni, e loro riparavano. Quello spogliatoio radiografa in maniera spietata i nostri difetti. Io sono milanista ma non posso dimenticare come l’anno scorso, alcuni giocatori rossoneri, distrussero lo spogliatoio dello Juventus Stadium dopo aver perso all’ultimo secondo per un rigore dubbio.
Nella giornata di ieri, i commenti sullo spogliatoio giapponese hanno prevalso su tattiche, tecniche e Var. Anche l’Italia, in epoche ormai lontane, era riuscita a ricostruire le proprie strade, le proprie città e le proprie fabbriche. Quella volta l’apocalisse non era dovuta alle cause naturali ma alla guerra. L’abbiamo fatto non cercando di essere come i giapponesi ma cercando, imperiosamente, di essere noi stessi. L’Italia potrebbe essere come il Giappone e meglio del Giappone se imitasse non l’ordine dei giapponesi ma la manicale cura con cui sono attenti a coltivare quello che sanno essere il loro punto di forza. I giapponesi conoscono da sempre la loro indole ordinata e disciplinata e la coltivano. Si educano ad essa fin dall’infanzia. Hanno sanzioni sociali terribili per chi le viola. L’allenatore Mazzarri, a proposito del giocatore giapponese Nakamura, ha scritto in un suo libro “Cercavamo un giocatore, ci hanno portato una spugna. Assorbiva, imparava a una velocità supersonica. Spiegavo uno schema — lui capiva l’italiano come io il giapponese quindi gli facevo dei disegni, comunicavamo con i geroglifici — e dopo dieci secondi si spostava sul campo esattamente come avrei voluto. Pazzesco. Non sbagliava un movimento mentre i suoi compagni, italianissimi, ne azzeccavano pochi. Allora veniva da me, con i fogli in mano: «Mistel, io elo al mio posto, ma mio compagno fatto un ellole. Non ela dove doveva essele. Io cosa fale se lui non fa le cose giuste?». Bella domanda”. Nakamura cioè si aspettava che l’autorità, ovvero chi ha la responsabilità del controllo sociale, si facesse carico del problema. Ma l’autorità non sapeva che dire. Il giapponese coltiva il suo punto di forza, l’ordine, con feroce determinazione. Per loro è una religione con regole, principi, rituali e sacerdoti. Per noi non è così. Ma il nostro enorme problema non è non coltivare l’ordine ma non curare con altrettanta ferocia il nostro l’estro artistico, la sensibilità per la bellezza, la cura per il genio, la nostra capacità di creare accordi e di trovare punti di contatto tra le parti sociali. Fatevi un giro della Toscana, o di una qualsiasi città medioevale con il più piccolo dei nostri musei delle nostre cittadine periferiche e troverete tracce di epoche in cui noi italiani sapevamo curare ciò che sapevamo essere il nostro punto di forza. Se un’artista non sa di esserlo, il suo talento diventa una pernacchia. Noi, quando decidiamo di essere noi stessi, creiamo cose sbalorditive. Nella culinaria, nella moda, nella bellezza, nella novità anche tecnologica, nella capacità di costruire la pace: siamo noi ad aver inventato, “il compromesso storico” non dimentichiamocelo.
Dovremmo avere un reddito pro capite tra i maggiori del mondo ma questo non avverrà finché non capiremo che la vera differenza tra noi e i giapponesi non è essere ordinati o meno ma volere fortemente essere se stessi. Sapere chi siamo e lottare con ferocia per sviluppare la parte bella di noi stessi. I giapponesi lo fanno e noi no. Noi perdiamo la nostra vita a imitare popoli che saranno sempre avanti a noi semplicemente perché guardano a se stessi e non a noi. E così, non solo non mettiamo in ordine lo spogliatoio dopo averlo vinto, ma lo distruggiamo.

Tratto da Agi