Articoli / Blog | 14 Giugno 2018

Visto/ Fede da marciapiede – La nuda verità. Fino a che punto ci si può mostrare?

Arriva l’estate e sento, soprattutto da signore di una certa età, proteste verso l’abitudine di svestirsi, di indossare costumi che nulla lasciano alla fantasia. Ricorrono frasi come: “Su una cosa i mussulmani hanno ragione, tutti questi corpi nudi d’estate sono uno schifo. Se le donne si coprissero, molte cose brutte non succederebbero”. Per un cattolico fino a che punto spogliarsi è peccato, va contro il senso religioso? 

Il corpo non deve mai essere fonte di vergogna e disagio. Si tratta di un tesoro che va protetto e custodito per far splendere la dignità della persona. Il pudore è l’educazione a percepire quando la proprio intimità è violata. Se sto con chi mi ama posso vivere una nudità che sento non come vergogna ma come bellezza del donarmi; per lo stesso principio, proprio perché so quanto valgo, quando sono con estranei la medesima nudità mi fa vergognare. Vale per il corpo esattamente quello che vale per le parole. A chi mi ama, posso raccontare le mie cose più intime e quel dono della mia intimità crea un legame: invece, le stesse cose raccontate a un estraneo sarebbero percepite da me come una tremenda violazione della mia privacy.

Non si tratta, quindi, in primo luogo di centimetri o di parti del corpo più o meno scoperte, si tratta di scoprire che la nostra persona è un tesoro e per questo, come ogni gioiello, va mostrato solo nel giusto contesto.

Coprirsi e basta non educa a nessuno pudore, anzi essere dannoso. Un indagine di Google afferma che i maggiori fruitori di pornografia in rete sono i paesi in cui la donna gira velata, cioè proprio quelli delle signore citate all’inizio. Seppellire una donna sotto montagne di veli non preserva dalla corruzione dei costumi. Il pudore è frutto della consapevolezza che ogni donna dovrebbe avere di essere bella e non di essere una pignatta colma di nefandezze. Chi si sente bella, si custodisce. Anche in costume. Anche in spiaggia. E dice no a chi la degrada e che la sporca. Perché si sa bella.

Tratto da Visto numero 25 del 13 giugno 2018

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