Agi – Quello su Charlie è accanimento mediatico
A che punto siamo arrivati con Charlie Gard? Al punto che questo povero bambino è divenuto il vessillo delle nostre ideologie.
Vorrei rompere il dibattito serrato sulle azioni che vanno compiute o meno per esortare a pensare alle relazioni. Lascio agli esperti dire se ci sia o meno “accanimento terapeutico” ma l’accanimento mediatico e ideologico è sotto gli occhi di tutti.
Da una parte e dall’altra si è scatenata la guerra a far prevalere “diritti” e questa guerra rende impossibile percorrere l’unica strada che potrebbe aiutare Charlie: ricucire, costruire, far ripartire l’alleanza tra famiglia, medici, giudici e legislatori. Talvolta l’accanimento verbale è peggio dell’accanimento terapeutico. Charlie ha diritto a una doverosa alleanza condivisa, ha diritto a non essere strumentalizzato per una ideologia che lotta contro un’altra ideologia.
Ricorrono in questi giorni i tre anni dalla morte di Maria Chiara Bartoloni, bimba anch’ella vittima di una malattia rarissima (all’epoca c’erano stati quattro casi nel mondo).
In un sincerissimo articolo appena pubblicato, la madre racconta la posizione scomodissima nella quale lei è il marito si sono trovati in merito al come comportarsi su quale fosse la decisione migliore per la figlia Maria Chiara. E questo non è avvenuto una volta ma parecchie e con convincimenti contrastanti, cangianti, faticosi: scomodi appunti. Perché quando ci si trova in una posizione scomoda si cambia, ci si gira e ci si rigira, ci si alza, ci si siede, ci si sdraia. E poi si ricomincia. E quando la stanza condivisa non è una camera ma la trincea della terapia intensiva (così la definisce Valeria), dove la vita per la quale si combatte la guerra non è neppure la tua ma quella di tuo figlio, è tutto infinitamente più complicato, più lungo, più faticoso, più doloroso. Per questo è necessario non mettere sulle spalle di chi è davvero coinvolto anche il fardello dell’ideologia. Chiediamoci: se i genitori di Charlie avessero un ripensamento, cambiassero idea rispetto al figlio, sarebbero liberi di farlo, ora che il mondo intero ha fatto del loro bimbo una bandiera e si è schierato pro o contro?
Per questo Charlie ha bisogno di silenzio. Scrive la madre di una bambina che per questa tragedia ci è passata “di fronte a queste vicende bisognerebbe contemplare il dolore di questi genitori e sostenere l’operatività dei medici e a un certo punto bisognerebbe tacere, osservando un silenzio carico solo di preghiera. Il limite umano è parte della natura umana, la morte è parte del destino di ogni uomo. E se avessimo più coscienza dell’eternità forse la morte non ci farebbe così paura e non ci affanneremmo così tanto per far sopravvivere un bimbo un giorno o dei mesi in più.”
Sottoscrivo queste parole e quindi mi fermo.
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Tratto da Agi
Lettera di Valeria Bertilaccio – L’alleanza è il miglior interesse del paziente
A che punto siamo arrivati con Charlie Gard? Al punto che questo povero bambino è divenuto il vessillo delle nostre ideologie.
Vorrei rompere il dibattito serrato sulle azioni che vanno compiute o meno per esortare a pensare alle relazioni. Lascio agli esperti dire se ci sia o meno “accanimento terapeutico” ma l’accanimento mediatico e ideologico è sotto gli occhi di tutti.
Da una parte e dall’altra si è scatenata la guerra a far prevalere “diritti” e questa guerra rende impossibile percorrere l’unica strada che potrebbe aiutare Charlie: ricucire, costruire, far ripartire l’alleanza tra famiglia, medici, giudici e legislatori. Talvolta l’accanimento verbale è peggio dell’accanimento terapeutico. Charlie ha diritto a una doverosa alleanza condivisa, ha diritto a non essere strumentalizzato per una ideologia che lotta contro un’altra ideologia.
Ricorrono in questi giorni i tre anni dalla morte di Maria Chiara Bartoloni, bimba anch’ella vittima di una malattia rarissima (all’epoca c’erano stati quattro casi nel mondo).
In un sincerissimo articolo appena pubblicato, la madre racconta la posizione scomodissima nella quale lei è il marito si sono trovati in merito al come comportarsi su quale fosse la decisione migliore per la figlia Maria Chiara. E questo non è avvenuto una volta ma parecchie e con convincimenti contrastanti, cangianti, faticosi: scomodi appunti. Perché quando ci si trova in una posizione scomoda si cambia, ci si gira e ci si rigira, ci si alza, ci si siede, ci si sdraia. E poi si ricomincia. E quando la stanza condivisa non è una camera ma la trincea della terapia intensiva (così la definisce Valeria), dove la vita per la quale si combatte la guerra non è neppure la tua ma quella di tuo figlio, è tutto infinitamente più complicato, più lungo, più faticoso, più doloroso. Per questo è necessario non mettere sulle spalle di chi è davvero coinvolto anche il fardello dell’ideologia. Chiediamoci: se i genitori di Charlie avessero un ripensamento, cambiassero idea rispetto al figlio, sarebbero liberi di farlo, ora che il mondo intero ha fatto del loro bimbo una bandiera e si è schierato pro o contro?
Per questo Charlie ha bisogno di silenzio. Scrive la madre di una bambina che per questa tragedia ci è passata “di fronte a queste vicende bisognerebbe contemplare il dolore di questi genitori e sostenere l’operatività dei medici e a un certo punto bisognerebbe tacere, osservando un silenzio carico solo di preghiera. Il limite umano è parte della natura umana, la morte è parte del destino di ogni uomo. E se avessimo più coscienza dell’eternità forse la morte non ci farebbe così paura e non ci affanneremmo così tanto per far sopravvivere un bimbo un giorno o dei mesi in più.”
Sottoscrivo queste parole e quindi mi fermo.