Blog / Don Sergio Fumagalli | 03 Marzo 2017

Le Lettere di don Sergio – Nel Vangelo non si parla di mortificazioni?

Alcune persone hanno posto in dubbio che la mortificazione volontaria non si trovi nelle parole di Gesù dei Vangeli. Una piccola premessa, non strettamente necessaria in questo caso, è quella che riguarda la comprensione della Parola di Dio, che per un cattolico non è né con la sola esegesi del Vangelo, né con la sua libera interpretazione (ma con l’interpretazione data dal Magistero di tutta la Sacra Scrittura e la Tradizione).

La predicazione di Gesù si svolge in continuità con quello che era insegnato nella “Legge e nei Profeti” dove si parla abbondantemente di digiuni e sacrifici ed anche San Giovanni Battista aveva una vita ben austera, tanto da essere elogiato da Gesù come il più grande tra i nati di donna (Cfr Mt 3,4; Mt 11,7-18). Gesù stesso parla di penitenza e si lamenta che le città dove ha predicato non l’abbiano fatta (Cfr Mt 11, 21).

Gesù ha fatto precedere il suo ministero pubblico da quaranta giorni e quaranta notti di digiuno (Cfr Mt 4,2) e, dopo aver annunciato le beatitudini (Cfr Mt 5,3-10) invita a “praticare opere buone” (non per essere ammirati) e tra queste opere buone ci sono l’elemosina (Cfr Mt 6,3-4) e il digiuno (Cfr Mt 6,16-18). Riguardo all’elemosina, il suo valore non dipende tanto dai benefici ottenuti da chi la riceve, ma dalla disposizione di chi la fa (Cfr Lc 21,2-4). E il digiuno, anche se poco praticato con Lui, Gesù dice che i suoi discepoli lo faranno (Cfr Mt 9,14-15).

Gesù invita a praticare il distacco per essere liberi da affanni e preoccupazioni (Cfr. Mt 6,25-34; Mt 13,20-22); di essere disposti alla rinuncia per non peccare e dare scandalo (Cfr. Mt 5,29-30; Mt 7,13-14) e a chi lo segue più da vicino chiede di lasciare tutto (Cfr. Mc 6,8; Mt 10,37-39; Mt 19,21).

Nell’esercizio della carità verso gli altri si deve saper soffrire (Cfr. Mt 5,40-42; Mt 25,31-46; Lc 14, 12-14), non pensando se mi va, se me la sento o se quelli a cui faccio del bene cambieranno, mi ringrazieranno o smetteranno di farmi del male (Cfr Mt 5,11-12).

Digiuno, elemosine, distacco e sacrifici che cosa sono, se non mortificazioni volontarie? Certamente queste cose non bastano da sole per salvarsi, né tanto meno servono per inorgoglirsi e sentirsi superiori agli altri (Cfr. Lc 18,9-14).

Perché Gesù ci invita a soffrire fame e sete (digiuno)? Perché ci invita a privarci di qualcosa che ci serve (elemosina e distacco)? Perché ci invita a soffrire, sopportando maltrattamenti e ingiurie, anche se gli altri non se ne accorgono o le fraintendono e non cambieranno? Il suo comandamento principale è di amare Dio e il prossimo, e di amarci come Lui ci ha amato (con la forza dell’inabitazione della Trinità in noi), ma sa anche che nel mondo bisogna saper affrontare la sofferenza, conseguenza del male, che Lui ha vinto (Cfr Lc 14,27.33; Gv 15,18-20; Gv 16,33).

Questo vuol forse dire che Gesù invita a soffrire il più possibile? No, ma se non si è disposti ad affrontare la sofferenza con Gesù, non sapremo neanche amare né Dio, né il prossimo. Le mortificazioni volontarie non sono un fine, ma sono un mezzo necessario che richiede una giusta moderazione.

La riflessione sulle pratiche penitenziali, la mortificazione ed il mistero della sofferenza fatta nel corso dei secoli dal Magistero della Chiesa, sulla base anche della testimonianza, tra gli altri, degli Atti degli Apostoli (Cfr At 13,2-3) e delle Lettere da San Paolo, può essere ben riassunta da questo passo della “Salvifici Doloris”:

“[…] La redenzione, operata in forza dell’amore soddisfattorio, rimane costantemente aperta ad ogni amore che si esprime nell’umana sofferenza. In questa dimensione – nella dimensione dell’amore – la redenzione già compiuta fino in fondo, si compie, in un certo senso, costantemente. Cristo ha operato la redenzione completamente e sino alla fine; al tempo stesso, però, non l’ha chiusa: in questa sofferenza redentiva, mediante la quale si è operata la redenzione del mondo, Cristo si è aperto sin dall’inizio, e costantemente si apre, ad ogni umana sofferenza. Sì, sembra far parte dell’essenza stessa della sofferenza redentiva di Cristo il fatto che essa richieda di essere incessantemente completata. In questo modo, con una tale apertura ad ogni umana sofferenza, Cristo ha operato con la propria sofferenza la redenzione del mondo.

Don Sergio Fumagalli è nato nel 1957 ed è diventato presbitero il 21 maggio 2005. Attualmente è vicario nella Parrocchia di San Giovanni Battista in Collatino a Roma. Ha un suo sito.

Ricordo che sul blog Come Gesù chiunque ha la possibilità di scrivere delle Lettere di cui è e rimane l’unico responsabile.