Blog / Scritti segnalati dal blog | 24 Febbraio 2017

Testa del Serpente – Parlare di Dio ai giovani è bestemmiare? la versione del “prete social”

Il 17 febbraio papa Francesco ha visitato la Terza Università di Roma (quella che, arrivata terza, non ha avuto diritto neanche ad un nome, forse erano finiti…). Tra flash, selfie, titoli su giornali e servizi sui TG, il Pontefice ha avuto un’entusiasmante accoglienza da parte di studenti e professori.

Molti hanno ricordato quando, nel 2008, papa Benedetto XVI fu costretto a rinunciare alla visita programmata alla Prima Università di Roma (“La Sapienza”, questo sì, un nome davvero altisonante) a causa delle proteste di professori e alunni atei laicisti di sinistra. Fin qui tutto ha una logica, si sa che papa Francesco esercita un fascino particolare che ha incantato il mondo grazie la sua semplicità evangelica, al suo essere argentino (da Maradona a Higüaín, da Valeria Mazza a Belén Rodriguez sono anni che gli/le argentini/e imbambolano gli italiani) e alla sua affinità col pensiero globale (pacifismo, ecologismo, pluralismo etnico e religioso…), una sorta di “populismo ecclesiastico” che, a breve termine, raccoglie buoni risultati in termini di audience e di immagine.

D’altra parte sappiamo come Benedetto XVI abbia dovuto sopportare (su-portare) la nomea di papa bigotto, conservatore, crociato intollerante ed inquisitore spietato, prestando il fianco fino a dover presentare le sue dimissioni per fare spazio ad altri. La differenza nel rapporto tra i due papi e le università non risiede solo nel fatto che uno fu allontanato e l’altro accolto ma sta anche nel contenuto del messaggio dei pontefici. [Su questo rimando al dettagliato articolo di Aldo Maria Valli sul suo blog].

Dirò qui – per semplificare – che Benedetto ha parlato da professore e da Pontefice mentre Francesco ha scelto di parlare da economista e da motivatore.  Nel testo preparato e mai pronunciato Ratzinger parlava di verità, di ragione e di fede, nominando Dio diverse volte. Bergoglio ha parlato del dramma del precariato, della bontà delle immigrazioni, di pace e di dialogo, senza mai nominare Dio o Gesù Cristo. Ad onore di cronaca va detto che il discorso scritto per Francesco è stato accantonato dal Pontefice che ha preferito parlare a braccio; decisione lodevole se non fosse che con l’acqua sporca (discorso preparato da altri) si è buttato via il bambino (il bambino Gesù di cui si parlava nel testo scritto).

Va detto En passant che Francesco ha lanciato una stoccata contro le «università d’elite» che trasmettono un messaggio ideologico ed escludono ogni dialogo e confronto con chi la pensa diversamente. Qualcuno – applaudendo – avrà forse pensato alla Gregoriana (dottori della legge) o a altre università cattoliche… a me ha ricordato La Sapienza che ha allontanato Benedetto XVI a suon di slogan sessassontini (della serie: “il cervello è mio e lo gestisco io”).

Prima di continuare, a scanso clamorosi di equivoci, dico che questo è un dato, un fatto e non una interpretazione; è possibile verificare confrontando i discorsi. Ma questo non è il punto perché la fede ci assicura che Dio parla in diversi modi e che lo Spirito soffia dove gli pare.

Il punto è che la differenza tra i due episodi e tra i due approcci è stata così palese che non sono mancati i commenti ironici, preoccupati o polemici. Molti cattolici hanno ricordato Benedetto XVI, difeso la sua libertà di pensiero e di espressione e lodato la sua lectio magistralis su fede e ragione, papato ed università. Sono più che altro i laicisti che hanno invece gradito l’approccio sociale-orizzontale (politico ed economico, etico) di Francesco come ad esempio il ministro della Pubblica Istruzione Valeria Fedeli – sedicente  cattolica in disaccordo coi cattolici sui temi più cattolici – che ha detto: «Da Papa Francesco importante lezione di cultura politica ed etica».

Ma il commento più sorprendente lo ha fatto un prete, e non – come si può pensare – per difendere il discorso su Dio ma, al contrario, per criticare chi parla di Dio apertamente nei luoghi pubblici. Si tratta di don Mauro Leonardi, prete social e scrittore, che tiene una rubrica ogni mercoledì sul quotidiano Metro di Roma. Sul giornale del 21 febbraio (scarica qui) il don ha lanciato un duro attacco verso i “parlatori di Dio” che nominano il nome di Dio “invano”, solo “in ipotesi”. Inevitabile pensare che si stia riferendo a Benedetto XVI visto che  l’autore dell’articolo contrappone fin dalle prime righe Benedetto XVI (che parla di Dio ben sei volte nel suo discorso) e Francesco (che non lo ha fatto neanche una volta).

Don Mauro cita il primo comandamento e riferendosi a papa Benedetto (perché di lui sta parlando) si domanda:

È meglio parlare di Dio ma solo in ipotesi o è meglio essere presenti davvero rinunciando ad essere “parlatori di Dio” perché si è “operatori di pace” come il Papa (Francesco) ha dimostrato di essere parlando agli studenti?

Ciò che emerge ad una lettura rapida e superficiale (tale è la lettura che si da al giornale in questione) è che papa Benedetto a La Sapienza avrebbe parlato di Dio a sproposito, in ipotesi, come un “parlatore”, senza essere un vero “operatore di Pace” (come invece lo è Francesco). Ad una lettura più attenta e meno superficiale (perché nessuno vuol credere che un prete parli così apertamente contro un papa, per altro ancora vivo anche se non regnante), ad una lettura più accorata dicevo, purtroppo, la sensazione è la stessa: Benedetto avrebbe bestemmiato Dio! Un vero peccato, perché spargere su un giornale così popolare il sospetto che sia meglio nascondere Dio dal discorso pubblico e che il papa dimissionario abbia esagerato nella pretesa di citarlo così tante volte in un luogo pubblico, può far veramente male a chi legge anche con buone intenzioni; ancora di più se a scrivere è un prete cattolico.

Alla fine don Mauro si eleva in un volo mistico e poetico dicendo che «Dio vuole con noi un rapporto d’amore» e che «Dio si è fatto pane» ma non per essere “sempre a tavola”. Infatti – conclude – «il pane c’è sempre, anche se non c’è nel menu».

Fatto sta però – lo sa bene il don – che il Pane che è Gesù non è normale ma è un cibo molto speciale, è un pane che da la Vita a chi non ce l’ha (si legga Gv. 6, 30-35); dunque invitare dei morti (sì, morti, ossia senza Vita) a pranzo e non mettere a tavola questo pane per scelta (pastorale) sarebbe – questo sì – un vero peccato (soprattutto per chi mangia).

Tratto da Testa del Serpente

I commenti sono chiusi.