Articoli / Blog | 21 Giugno 2016

FaroDiRoma – Francesco e il matrimonio. Un invito a prendere sul serio il sacramento (o a lasciar perdere)

Rispondendo ad alcuni partecipanti al convegno della Diocesi di Roma, Papa Francesco ha raccontato che da arcivescovo di Buenos Aires aveva proibito di fare matrimoni religiosi ‘di fretta’, riparatori, quando è in arrivo il bambino. “E ho visto dei casi belli, in cui poi, dopo due-tre anni, si sono sposati, e li ho visti entrare in Chiesa papà, mamma e bambino per mano. Ma sapevano bene quello che facevano”.

Per parlare di matrimonio non basta il sacramento. Pulito, netto, da codice di diritto canonico in mano. Anzi, per essere precisi, quando si parla di cose umane e divine come sono quelle del cristianesimo, il discorso netto e pulito non c’è mai. Non c’è proprio. È dai tempi di Gesù che passeggia con i discepoli, che ogni tentativo di strappare la gramigna, viene fermato da Cristo. Perché la zizzania – quand’anche fosse davvero zizzania – cresce intrecciata al grano, e quindi non solo è vero che dove c’è grano c’è sempre anche zizzania: è altrettanto vero che dove c’è zizzania c’è sempre anche grano. E il Papa spinge a guardare quello, il grano.

Due giorni dopo, a Villa Nazareth, ha aggiunto che “la parola crisi, in cinese, si fa con due ideogrammi: uno è l’ideogramma rischio e l’altro l’ideogramma opportunità. È vero. Quando uno entra in crisi – come quando Gesù disse a Pietro che il diavolo lo avrebbe messo in crisi [“vagliato”] come si fa con il grano – c’è sempre un pericolo, un rischio, un rischio in senso non buono, e un’opportunità. Il cristiano – questo l’ho imparato – non deve avere paura di entrare in crisi: è un segno che va avanti.”

Gesù sa che gramigna e grano non si distinguono, non si possono separare. Se strappi l’una viene via anche l’altro. Gesù e il vescovo di Roma ci dicono ora che in quest’epoca più che mai – e soprattutto quando si parla di matrimonio e affini: cioè di convivenza, di unioni civili, di divorzi e così via – per coltivare il grano nascosto è necessario rimanere nel campo e farsi pungere dalla gramigna.

Dobbiamo imparare a guardare figli, nipoti, fratelli aspettando che quell’amore che stanno vivendo prenda la sua forma. Che è una sola, siamo d’accordo, quella matrimoniale. Perché l’amore è così: matrimoniale, fedele, unico, vitale. Ma le strade per arrivarci sono infinite, tante quante le persone. Il sacramento del matrimonio è roba seria, è roba dell’uomo e di Dio, è roba dell’uomo con Dio, e per questo ci si deve accostare consapevoli, liberi.

Non sono i figli che fanno adatti al matrimonio: i figli, in un matrimonio, possono anche non arrivare: sono i due coniugi i ministri di questo sacramento, il loro corpo è la materia e il sacramento non può essere mai un riparo, una zeppa sotto un tavolo per non farlo traballare. Il sacramento non può essere il riparatore sociale di una situazione imbarazzante. L’abito bianco non può essere la vernice imbiancante dei nostri sepolcri familiari. Il matrimonio è roba di Dio.

Papa Francesco dice che dove l’amore muove i suoi passi – sia una convivenza o ancora nulla o perfino tutt’altro – lì va cercato quel grano della fedeltà, del rispetto reciproco, della vita in comune, intrecciata, condivisa, feconda, donata, che sarà seme di un matrimonio. Pastorale difficile perché richiede di vedere amore al di fuori del recinto dei sacramenti. Vogliamo che tutti ricevano i sacramenti? Allora togliamo le mani dagli steli della zizzania, supposta o vera che sia, e posiamo il sacro fuoco. Sacre sono le persone. Entriamo nelle case di queste giovani coppie senza strappare niente. Non siamo i detentori di nulla: a noi tocca solo custodire.

Tratto da FaroDiRoma