Articoli / Blog | 14 Aprile 2014

Mauro Leonardi – Fecondazione eterologo-omologa, matrimonio gay, divorzio breve: riflessioni e considerazioni

Ho riflettuto attorno ad alcune vicende italiane di questi giorni (fecondazione eterologo-omologa, matrimonio gay, divorzio breve) e le propongo ai lettori di Rosebud. Più che delle conclusioni sono delle domande.Innanzitutto sono convinto che la nostra società sia molto migliore di quella del passato perché accoglie e dà spazio di dialogo a differenze che prima erano non solo non ammesse ma perfino impensabili. Credo sia bene che due persone dello stesso sesso possano raccontare la loro storia in modo sereno, perché la mancanza di questa serenità è stato il presupposto di tanta violenza. Io penso che una società moderna deve essere in grado, laddove ne esistono i presupposti, di dare anche veste giuridica a un’istanza come quella di stare vicino alla persona che si ama ricoverata in ospedale.
Mi chiedo peraltro perché noi si viva in un paradosso: coloro che possono sposarsi non si sposano più, chi invece secondo le norme vigenti non lo può fare lo chiede a gran voce. E coloro che possono fare figli non li fanno, mentre chi non può, li vuole assolutamente. Sembra quasi che riusciamo a trovare il valore di esperienze umane profonde, solo quando queste esperienze sono negate.
Una società che impara a riconoscere il valore di ogni differenza è certamente migliore di una società che le nega. Credo però che riconoscere la dignità di ogni differenza non ci debba far dire che ogni differenza è equivalente. Per esempio io credo che sia importante dire che la cultura di ogni popolo ha uguale dignità, ma non penso che ogni cultura sia uguale: la cultura dell’antichità che lapidava l’adultera o il bestemmiatore è inferiore a una che rispetta la vita delle persone anche se condanna il disvalore dell’adulterio o della bestemmia.
Riconoscere la dignità della differenza cioè, non significa che tutte le differenze sono equivalenti.Per esempio, riflettere e discutere sulla distinzione tra il possibile e il lecito credo sia l’unico modo di custodire l’uomo. Oggi la tecnica amplia continuamente lo spazio del “si può” ma, se non fosse il nostro dialogo, la nostra cultura, a decidere che cosa si può o non si può fare, chi deciderebbe sarebbe la tecnica.
E per quale ragione mai dovremmo delegare alla tecnica e non alla riflessività collettiva, questa responsabilità? In fin dei conti la tecnologia è tanto umana quanto la cultura, la riflessività. Perché dobbiamo pensare che sia più umana la prima (la tecnica) rispetto alla seconda?

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