
Intervista di Frate Indovino a Suor Maria Chiara
PiÚ FORTE DI TUTTO , L’AMORE DEL PADRE
STIAMO PERDENDO LA PASSIONE PER LA VITA
Suor Maria Chiara è nel Monastero di “S.Agnese”a Perugia da 28 anni. Viene da Rimini: la sua era una famiglia di contadini. Fino a 18 anni non si era mai fatta sfiorare dall’idea di andare in convento. Ci è arrivata facendo un percorso che ci tiene a definire “normale”, non trascurando il dettaglio che è figlia del 68.
Dice:”Ormai sono più gli anni che ho passato in clausura rispetto a quelli vissuti fuori. Attenzione però la clausura non è esser fuori dal mondo ma è piuttosto uno stare nel cuore del mondo. Fa pare dei misteri della vita”. E spiega:”Secondo me si arriva al senso della vita, interrogandoci profondamente sugli eventi, ponendoci le domande esistenziali che ogni persona ha nel cuore. Si cresce cercando la verità, il bene, la carità, ciò che rimane, senza perdere nulla della vita del mondo perché la creazione è bella, la storia degli uomini è affascinante. L’uomo cerca il bene, tende sempre al meglio. La claustrale non si sottrae alla vita oltre le mura. Chi ama la vita, chi ama Colui che dà la vita all’uomo, conosce sempre in profondità. E’ vero siamo lontane dal fiume quotidiano dell’informazione che scorre all’esterno, ma non siamo fuori dalla cronaca. Conoscendo quello che si muove nel cuore dell’uomo, si entra nel fondo dell’essere, anche se poi non si conoscono tutti i particolari. Soprattutto si è partecipi di quello che è il desiderio primario di ogni persona, anche di chi non si pone domande o si pone dietro beni che non son cattivi in sé, ma restano intermedi. Ci sono alcuni beni che non son quelli finali: una volta raggiunti, pongono nuove domande. Nella vita dobbiamo andare alla ricerca del bene ultimo, di quel bene che rimane anche oltre la morte, il punto interrogativo che ciascuno di noi incontra. Di fronte a questo scoglio, anche inconsciamente ci si organizza la vita”. Confessa di aver fatto le sue dure salite di domande, Suor Maria Chiara:”Forse, trent’anni fa, quando feci la scelta, non avevo la consapevolezza di oggi. E’ un cammino lungo di maturazione, di crescita e di sintesi, guardando la storia”.
Le chiedo: ma qual è la temperatura del “senso profondo dell’animo dell’uomo?”
“Parlando con la gente, si avverte un grande scoraggiamento collettivo, che fa quasi paura e mette addosso comunque tristezza. Cercando di esaltare alcuni aspetti dell’umanità trascurandone altri, la società sta implodendo. Andiamo veloci, ma spesso non sappiamo dove. Forse gli adulti non hanno più sicurezze sulla rotta, forse le nuove generazioni non la cercano. Tutto sembra destabilizzato, pare venir meno anche il tessuto sociale, non si ricerca più il bene comune nella politica, nella società”.
Già, il bene comune: un traguardo da ricercare ogni giorno che pare essere diventato un’ utopia. E lei suor Maria Chiara:”Io so che il bene comune si persegue se uno ha un progetto davanti e si opera insieme per realizzarlo. In un monastero, ad esempio, si cerca il bene comune. Siamo tutte qui dentro per una finalità e c’è qualcuno che guida non per un proprio tornaconto, ma per il bene di tutte. Papa Francesco è esplicito al riguardo, non si ricerca il bene comune quando ciascuno ha interesse al proprio bene particolare. Il bene dell’insieme va a sua volta collocato nella prospettiva di un bene ultimo, che va al di là dell’uomo”.
Il chiasso, il rumore della società, rendono più difficile ascoltare la parola di Dio, che è una voce tenue, “il soffio leggero del silenzio”. Ancora suor Maria Chiara:”Il secolarismo di cui siamo imbevuti sta rubando all’uomo il desiderio di conoscere se stesso, gli sta togliendo l’anima, la passione stessa per la vita, basti considerare il numero dei suicidi. Abbiamo madri e padri che vengono disperati a chiederci di pregare per strappare i loro figli alla schiavitù della droga o del gioco….Ma più forte di tutto è l’amore del Padre. Noi abbiamo appena avuto una professione solenne. Gli amici, le amiche, le hanno fatto regali, tra i quali un modernissimo computer. Lei stessa, la nostra nuova consorella, osservava che oggi si è fatto molto più problematico trovare uno che aiuti nell’orticoltura o nella vigna, invece che nell’informatica. Alla fine non è che potremo vivere sempre nei computer. Io non riesco a scrivere cose impegnative di fronte a quello schermo, preferisco ritirarmi nella mia camera, prendere carta e penna, pensarci su, scrivere una lettera con qualcosa di sensato, altrimenti le parole sono gusci vuoti. Un altro dramma del nostro tempo è proprio la perdita del valore della parola. Si smarriscono relazioni, i rapporti si impoveriscono, perché la parola è fondamentale e se viene meno, ci impoveriamo tutti, rimaniamo estranei, non c’è empatia, non c’è dialogo. Diventiamo più soli. E la tecnologia sempre più avanzata dà comodità, ma toglie certezze e fa crescere la sfiducia, il sospetto. Bisogna salvare la persona dall’alienazione.”
Servizio di Giuseppe Zois e Bruno del Fante.
Da Frate Indovino Ottobre 2013
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