Blog | 22 Marzo 2012

LA SUORA E PADRE ALDO cap. 1 [data originale: 22.03.2012]

Da qualche giorno gira sul web la lettera di una suora di 50 anni
che scrive raccontando che dopo vent’anni di vita religiosa a causa di una vita comunitaria molto arida e triste si è innamorata di un uomo. Le risponde Padre Aldo dalla rubrica che tiene su Tempi (numero 38/2012). A me prima era arrivata via facebook, e poi è stata segnalata come argomento per il blog da almeno tre persone diverse. Devo dire – ahimé – che la risposta di Padre Aldo non mi convince per nulla. Il buon religioso dice che «la chiamata di Dio è irreversibile» e che «non esiste differenza tra il matrimonio e la vita consacrata. Il problema non è la forma di una convivenza, ma il contenuto che dà origine a questa forma. Stiamo insieme perché Cristo ci ha chiamati o per una simpatia e un sentimento?». D’accordo sull’incitamento alla fedeltà non convengo sui contenuti. Come la mettiamo con il problema dell’ “abissale solitudine dell’uomo ragione della sua angoscia” come dice Ratzinger?  (cfr Come Gesù pp. 27-28). Gesù Cristo sarà contento che nelle comunità cristiane si viva così male? Nel blog trovate la lettera della suora, la risposta di Padre Aldo e la mia considerazione. E poi la valanga dei vostri meravigliosi commenti. Grazie!  

198 risposte a “LA SUORA E PADRE ALDO cap. 1 [data originale: 22.03.2012]”

  1. Mauro Leonardi ha detto:

    Carissimo padre Aldo, sono una religiosa e leggo la sua rubrica su Tempi, in cui trovo un grande aiuto per la mia vita. Per questo le scrivo per avere un aiuto. Ho abbracciato la vita di consacrazione da circa vent’anni ed anch’io, come lei, ho sentito la “chiamata” fin da giovane, anche se mi ha sempre attratto la possibilità di una vita familiare con un buon marito e dei figli. Non sono mai stata un tipo tranquillo, anzi direi che mi hanno sempre caratterizzato una grande irrequietezza e, nello stesso tempo, un grandissimo desiderio di radicalità. In questi anni, pur attraversando mille difficoltà e vivendo mille amari tradimenti, non mi ha mai nemmeno sfiorato il dubbio di aver sbagliato strada. Finché pochi anni fa i miei superiori mi hanno proposto di cambiare comunità per andare a sostenerne una in difficoltà. Cosa non facile, essendo la comunità composta da 15 suore, da 15 donne, la cui maggioranza supera i settant’anni.

 La vita comune mi ha creato sempre grandi problemi, ma in questa nuova sede mi sono ritrovata immersa nell’aridità più totale. Ciascuna viveva come se fosse stata sola, ciascuna si preoccupava di curare i propri “affari” e le proprie attività e le altre costituivano uno scomodo intralcio alla propria individualità. Dopo pochissimo tempo mi sono rivolta ai miei superiori segnalando le mie difficoltà. Ma, ahimè, tutte le volte mi sono sentita rispondere che la mia fede non poteva dipendere dalla posizione di chi mi stava vicino, che l’unico problema di cui dovessi preoccuparmi era il mio rapporto personale con Cristo. Certo io capivo e capisco anche ora che questo è il problema della vita, che non esiste situazione, circostanza avversa che possa impedire alla mia libertà di aderire a ciò per cui è fatta, però mi chiedo e ti chiedo: ma allora perché c’è stato bisogno che Cristo si facesse carne? Se fosse stato sufficiente un rapporto intimistico e spirituale con Lui? Perché dobbiamo fare il sacrificio di una vita comunitaria se il problema è solo il mio rapporto personale con Cristo? Questa sofferenza e questa incomprensione sono durate anni, dopodiché… ho cercato altrove… e mi sono illusa di trovare nell’abbraccio di un uomo quella fisicità, quella “carne” di Cristo che il mio cuore desiderava e per cui avevo dato fino a quell’istante tutta la mia vita.


    Come si può capire dalla mia storia, non sono più una ragazzina e questa esperienza, a 50 anni, ha sconquassato la mia esistenza! Per la prima volta il dubbio si è insinuato nei miei pensieri, togliendomi il sonno e le energie per affrontare la vita. Quell’uomo, che mi sembra di amare infinitamente, ha invaso i miei pensieri, il mio tempo, è diventato una vera ossessione, perché sto identificando in lui tutto ciò che non trovo più in tutto quello che ho vissuto e in cui ho creduto finora. So che tu hai attraversato un’esperienza simile e ne sei uscito, con tutte le tue ferite, ma ne sei uscito. Ti prego aiuta anche me a trovare la risposta a questo dramma, che sta sconvolgendo la mia vita.
    Lettera Firmata

  2. Mauro Leonardi ha detto:

    Cara sorella, un giorno sono andato a visitare un monastero di clausura, perché sono amico della superiora. Arrivai in un momento particolare, perché lei aveva appena finito di parlare con una ragazza che, stanca della vita mondana che aveva trascorso, voleva offrirsi a Cristo per incontrare quella tranquillità interiore ed esteriore che il suo cuore desiderava. Curioso di conoscere come era finito il colloquio le chiesi quale fosse stata la decisione. E lei con la sua faccia serafica, dalla quale traspariva una dolcezza autenticamente femminile e allo stesso tempo un temperamento chiaro e forte, mi rispose: «Padre, ho detto alla ragazza che se voleva entrare in un monastero in cui vivono 30 donne per trovare la tranquillità le consigliavo di tornare a casa sua. Perché convivendo con 30 donne è impossibile trovare la tranquillità. Una viene nel monastero perché Cristo la chiama e desidera vivere come Cristo e con Cristo e certamente incontrerà la pace, ma mai la tranquillità». Il convento, il monastero, la casa religiosa o è il luogo in cui i suoi membri guardano a Cristo, o si trasforma in un inferno. L’unità, la gioia della vita comunitaria è un dono dall’Alto ed esige una libertà che in ogni momento riconosca la grande Presenza del Mistero. Solo in questo riconoscimento, solo se per i consacrati il vivere è adorare la grande Presenza in ogni istante, i temperamenti, i limiti, elencati molto bene da san Benedetto, non solo non sono un’obiezione alla vocazione, ma la via più bella per il proprio sì a Cristo.

    Un sì che passa attraverso lo scandalo della carne, lo scandalo dell’Incarnazione, lo scandalo di una comunità a volte piena di pretese e limiti come descrive bene Leo Moulin nel suo libro La vita quotidiana secondo San Benedetto. «È un fatto: San Benedetto non nutre alcuna illusione a proposito dei suoi monaci, a maggior ragione degli uomini in generale. Egli conosce per esperienza la loro doppiezza, vulnerabilità, fragilità radicale, la loro tendenza alla pigrizia e al lasciar correre, la loro profonda cattiveria. Sono dei vizi “congeniti alla natura umana”, dice Molière, e i monaci non ne sono esenti. Non c’è quasi pagina della regola che non sottolinei, in un modo o nell’altro, questi limiti e queste debolezze». Inoltre se la mia memoria non si sbaglia, ricordo di aver letto che san Benedetto o forse san Bernardo ripeteva spesso che coloro che entravano nel monastero erano bestie che nel tempo la grazia di Cristo avrebbe convertito in uomini. Per questo la storia della Chiesa e anche della vita monastica ci ricorda in modo chiaro che non sono mai entrati angeli in convento, ma uomini con il loro carico di miserie. Mai l’umano è stato obiezione per la vita consacrata. Non solo non è stata obiezione, ma la condizione.

    E non solo per chi è stato chiamato da Cristo ad una sequela particolare, ma l’umano è l’unica via per tutti per incontrare Cristo. Scandalizzarsi dei limiti propri ed altrui significa che ancora Cristo non è entrato nella nostra vita, perché il primo contraccolpo del fatto che abbiamo incontrato Cristo è il fatto di non scandalizzarci più dei nostri limiti, ma di guardarli con ironia certi che il suo amore, la sua compassione verso di noi, è infinitamente superiore ai nostri limiti, alla nostra malvagità. Come non commuoversi davanti allo sguardo di Cristo che invita Giovanni e Andrea a seguirlo, che chiama Zaccheo invitandosi a cenare a casa sua? Come vibro di commozione quando leggo di quel giorno in cui Gesù rivela alla samaritana la sua identità e lei corre a chiamare i suoi compaesani dicendogli con tutta la sua voce: «Ho incontrato uno che mi ha detto chi sono!». La casa religiosa, il monastero o è il riaccadere tutti i giorni di questa esperienza o è un inferno, è qualcosa di disumano. (continua)

  3. Mauro Leonardi ha detto:

    (Continua)
    Per questo non esiste nessun motivo che possa giustificare l’abbandono della casa o la fuga seguendo l’illusione di trovare nell’abbraccio di un uomo o di una donna la risposta a ciò che il nostro cuore desidera. La chiamata di Dio è irreversibile. Cosa che vale tanto per coloro che sono chiamate alla vita consacrata come al matrimonio. Non esiste differenza tra la convivenza di un matrimonio e la vita consacrata. Il problema non è la forma di una convivenza, il problema è il contenuto che dà origine a questa forma. Stiamo insieme perché Cristo ci ha chiamati o per una simpatia, un’attrazione sentimentale, un interesse istintivo? Il problema è realmente uno solo: chi è Cristo per te? È la stessa domanda che Giussani mi fece quando anni fa ho vissuto la tua stessa situazione.

    Don Giussani non mi fece nessuno sconto, ma con il suo abbraccio tenero e con il suo sguardo luminoso decise di dirmi che se Cristo fosse stato la ragione totalizzante e definitiva della mia vita qualsiasi difficoltà si sarebbe trasformata in una positività, in una possibilità più grande di amore a Cristo, l’unica che possa soddisfare pienamente la sete e la fame di amore e felicità che il mio cuore desidera. Cara amica, il fatto che dopo un anno tu non abbia più sopportato questa situazione di solitudine cercando «nell’abbraccio di un uomo quella fisicità, quella “carne” di Cristo che il tuo cuore desiderava e per il quale avevi offerto la tua vita fino a quel momento», da un lato conferma la verità della provocazione che ti fecero i tuoi superiori e dall’altro ha aperto una ferita molto positiva, perché mai come in questo momento hai gridato, mendicato, cercato aiuto. Questo grazie al fatto di esserti innamorata di un uomo quando la maggior parte di noi consacrati viviamo “innamorati” di cose peggiori, che non disturbano i superiori né gli altri e nemmeno ci fanno perdere il sonno.

    Quanti vivono nel tepore, attaccati al denaro, a relazioni meschine, al cachet, al computer ultimo modello, alle ultime tecnologie, a mille capricci? Quanti religiosi passano il loro tempo dormendo o cercando le loro piccole soddisfazioni in una vita borghese? Capisco bene la tua situazione, perché l’ho sperimentata sulla mia pelle. Non ho mai dubitato ed affermo, dopo anni di sofferenza, che è stata la grazia più grande che ho sperimentato nella vita, perché ho imparato a gridare, a mendicare, a vivere con gli occhi fissi verso il Mistero. Quella ferita aperta, grazie ad un innamoramento imprevisto, ha risvegliato un’infinita sete e fame di conoscere il Suo volto. Senza quell’esperienza Cristo avrebbe continuato ad essere astratto, un punto di riferimento, un’ispirazione e non l’unica ragione della mia vita. Certamente è stata una battaglia durissima, è stato un “mordere la pietra” come direbbe Milosz nella sua opera Miguel Mañara. Ma l’esito è stata la grazia di poter dire “Io” e conoscere, apprezzare, amare la mia umanità, cosa che prima detestavo considerandola come qualcosa di terribilmente negativo e un impedimento alla mia relazione con Cristo.

  4. Mauro Leonardi ha detto:

    Caro Padre Aldo,
    qualche anno fa alla presentazione romana del mio “Mezz’ora di orazione” fatta nel Centro Internazionale di CL di Roma conobbi Jesus Carrascosa Ruiz. Tu conoscerai meglio di me questo spagnolo travolgente che ha fatto incontrare a Carrón il Movimento di Comunione e Liberazione. Carras – così lo chiamano tutti – mi raccontava di quando il Gius trascorreva con lui e sua moglie Jone, fisioterapista, qualche giorno di vacanza estiva in Spagna. A quanto sembra don Giussani soffriva di cervicali, problemi alla schiena e cose del genere e i massaggi di Jone lo facevano sentire in Paradiso. “Le tue mani Jone – mi diceva Carras con aria trasognata riportandomi più o meno le parole del vostro fondatore – mi parlano della dolcezza del Padre”. Qualcosa del genere. Non so perché mi sono venute in mente mentre leggevo le tue righe di risposta alla supposta lettera della suora. Non molto verosimile (mi sbaglierò) nella parte dell’innamoramento ma molto molto verosimile nella descrizione della vita comunitaria e della cecità dei superiori. Si leva alto il lamento di troppe persone che dandosi a Cristo sperano di trovare quanto dicono gli Atti “la moltitudine di coloro che erano divetnati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola” (Atti 4,32) e rimangono profondamente feriti e delusi. Padre Aldo – lo dico senza vanteria ma solo per non essere frainteso – io prego dalle due alle tre ore al giorno e ti dico che se venisse da me quella suora non penso che la indirizzerei a avere più fede e certamente – per lo meno interiormente – mi arrabbierei davvero molto con la sua comunità e i suoi superiori: forse è venuto davvero il momento di chiederci se è vera, quella preghiera che non quaglia in vere relazioni comunitarie. Parlo con questa forza perché so che voi di CL a questo date molte attenzione. Me ne accorsi quel giorno conoscendo Jesus Carras e don Massimo Camisasca. Io non direi a quella suora di guardare a Cristo. È come se ad una persona che morisse di fame si dicesse che l’importante è guardare Cristo. Quando i missionari vanno in Africa e trovano la gente che muore di fame non gli predicano Cristo ma innanzitutto si rimboccano le maniche, e cercano il modo di trovare cibo. Invece, chissà perché, quando si sfiora la sfera affettiva delle persone che “si donano a Cristo” questo assunto non funziona. A loro bisogna solo parlare di Cristo. Appunto! ma una suora è o no “la sposa di Cristo?”. Non sarà che lo Sposo vorrebbe regalarle una casa dove possa trovare il calore del suo amore? Tu dici che “Non esiste differenza tra la convivenza di un matrimonio e la vita consacrata”. Prendiamo questa affermazione per vera (e sai benissimo che per tanti aspetti non lo è): ma noi cosa facciamo quando un matrimonio è in crisi? Certo diciamo agli sposi di pregare e avere fede, però facciamo anche centomila altre cose prima, durante e dopo. E per le comunità cosa facciamo? Citi san Benedetto. Io cito un benedettino santo pure lui, Ildefonso Schuster: “La santità non sta nelle preghiere, né nella penitenza, ma nell’amore. Chi più ama, più è santo e più desidera amore, quello più ama” (Schuster, La nostalgia del chiostro, p. 35). (continua)
    (Continua)

  5. Mauro Leonardi ha detto:

    La vittima è solo Gesù. Non è quella suora e neppure noi. A volte in certe comunità c’è tanta aridità relazionale perché si crede che la santità sia solo adempiere il perfezionismo di una disciplina: sono qui dentro, in questo monastero, mi sforzo tanto per rimanerci, perché così salvo gli altri. E se tutto ciò fosse superbia? Non ci vuole niente per scivolare dalla santità alla superbia. Se volessimo sostituirci a Cristo, se volessimo essere noi le vittime che salvano stando in Croce, non saremmo altro che dei superbi. Noi dobbiamo essere fedeli alla nostra promessa di Amore, stando dentro eventi che ci sovrastano, lasciando a un Altro il compito di salvare e cercando veramente di amare il nostro prossimo che – prima ancora dei poveri che bussano alla nostra porta – sono le persone della comunità. La suora parla di 15 suore la maggior parte delle quali oltre i settant’anni. Stare davanti all’anziano non è difficile solo per i servizi più umili che sono richiesti come lavare, pulire, avere pazienza, la cosa più difficile è stare davanti a quelle nudità sapendo che le loro nudità sono anche le nostre, quella fragilità è anche la nostra. Ci sono molti cristiani anziani che non sanno stare davanti a altri cristiani anziani. E tra questi cristiani includo i preti, i frati e le monache. Stai davanti a una suora di settant’anni, cinquanta dei quali vissuti in monastero, e la vedi che usa la regola della fondatrice come arma per seminare zizzania tra le sorelle, che è nervosa, stizzita, arrabbiata. La guardi, vedi la vita di una persona che ha vissuto non solo cristianamente ma con un’esigenza “sovraumana”, e vedi che quella vita non è stata capace di renderla felice. Allora ti chiedi, ne è valsa la pena? E’ quello che ti mette in crisi, e da lì devi ripartire. Da lì secondo me parte la vita di una comunità. In questo senso la vita dell’anziana può essere feconda o meno. Perché può essere che sia così per una serie di sbagli che sono stati fatti in passato e che lei paghi per non essere stata aiutata nel modo giusto. E forse si può imparare a non ripetere taluni errori. La comunità che ha degli anziani è chiamata a libertà e a apertura. L’anziano ti fa cambiare gli orari, adattarsi a questa o a quella esigenza. E forse quella suora dovrebbe adoperarsi per cominciare a vivere così e a far cambiare la mentalità di quel monastero. Forse dovrebbe cominciare a farlo diventare cristiano.
    Ricordo di aver letto da qualche parte – deve essere nel libro dei Padri Apostolici – che san Policarpo, discepolo di san Giovanni evangelista – lo dico per i lettori del mio blog che sono degli ignoranti alcuni anche atei – raccontava di come Gesù, la sera, prima di andare a pregare passasse a rimboccare le coperte dei suoi discepoli.
    Chissà, forse me lo ricordo male.
    Forse me lo sono inventato.
    Ma sarebbe da uno che vive Come Gesù.
    Mauro Leonardi

  6. Matteo Dellanoce ha detto:

    Beh! Se la vita di comunità è arida … chi la definisce come tale perchè non si sente responsabile di tale aridità?
    Quanto ha testimoniato il Cristo e la gioia del Cristo (“rallegrati …”) per portare anche gli altri alla gioia della totale dedizione a Dio? Insomma: non siamo di fronte ad una ricerca di un pretesto per giustificare la prorpia scelta di abbandonare? Non è sufficiente l’Amore di Cristo per vivere anche nella sofferenza? In fin dei conti se è così, come descritto, perchè condannare ( tra virgolette) due che divorziano visto che la loro vita di coppia si era inaridita?
    Sono tutte domande che pongo e non giudizi, sia chiaro!
    Matteo
    Matteo

  7. fefral ha detto:

    vabbè, mo’ perchè uno non conosce s.policarpo è ignorante? Don Ma’…

  8. Mauro Leonardi ha detto:

    Magari Padre Aldo è uno suscettibile e crede che gli dia dell’ignorante…

  9. scriteriato ha detto:

    io sono perfettamente d’accordo con don Mauro e condivido completamente il suo commento alla lettera della suora.

  10. Lidia ha detto:

    beh ma non è carino dare a noi degli ignoranti atei!(e poi S.Policarpo lo conoscevo anche io solo di nome.. ;))

  11. Dory ha detto:

    Quando un essere umano vive una difficoltà, un limite…C’è chi ha sempre “la ricetta” per risolvere il problema: “devi pregare di più!”, “Devi uscire!”, “Fatti degli amici…” ” fATTI UN HOBBY!”: per carità…Tutti in buona fede. Ma sapete che c’è??? Che quando sei nel fango della Solitudine…. Quando magari come la suora arrivi a un punto che pensi di aver sbagliato tutto, di aver buttato la tua vita…I buoni consigli ti danno proprio fastidio. Ancor di più chi ti fa la morale e ti dice che tu hai giurato, che tu ti sei impegnato, che tu avresti dovuto e potuto fare chissà che…. Perchè tu stai dentro le sabbie mobili e stai affondando. Soffri. Gridi…E ci sono quelli a riva che tutti tranquilli ti dicono (con le migliori intenzioni, ma tu li vorresti polverizzare in quel momento): “Dai che ce la fai! Dai che il mondo è bello!!” …Mentre tu rimani immerso nel fango, non riesci a vedere altro che fango e disperazione. per ritornare a sperare ci vuole qualcuno che venga nel fango con te. Magari dopo essersi legato ad una liana. Che si sporchi, che si senta intriso nel fango come te e sperimenti la paura e l’angoscia di scendere giù, sempre più giù. Che pianga con te, che non ti giudichi E ti dica: “Dai che CE LA FACCIAMO!” Non è forse per questo che Dio si è fatto Uomo? No…Perchè se Dio non si è fatto Uomo, il dolore dell’uomo è condannato a rimanere senza risposta, senza redenzione. Allora mi piace l’immagine di Gesù che prima di pregare passa a rimboccare le coperte dei suoi. Gesù che prima di predicare, si commuove per la folla affamata e dà loro da mangiare e da bere. Di Gesù risorto che di fronte ai discepoli sbandati, impauriti, chiusi nella paura…Non fa loro il “predicozzo”, ma inizia dicendo, semplicemente: “Pace a voi!” . E’ da questa infinita Misericordia, solo da questa, che le nostre povere forze umane possono abbracciare la Fedeltà. “Se anche avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza; e se anche possedessi tutta la fede, sì da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono niente. E se anche distribuissi tutte le mie sostanze, e se anche dessi il mio corpo per essere bruciato, ma non avessi la carità, non mi giova a nulla. La carità è magnanima, è benigna la carità, non è invidiosa, la carità non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità; tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine;” (S. Paolo)

  12. Monica ha detto:

    A me sembra di capire quel che dice padre Aldo. E sono molto d’accordo anche con te, don Mauro. Parlo da prof: quando vedo qualche difficoltà tra i miei studenti, cerco di richiamare ciascuno alla sua personale responsabilità, che non può venir meno mai; ciascuno è responsabile dell’impegno e dell’amore che ci mette nel rapporto con gli altri. Questa è una verità, e sta (che gli altri vedano o no, che gli altri capiscano o no). D’altra parte, sperando di essere una vera educatrice, cerco di capire anche la posizione psicologica dell’altro: non a tutti posso dire le stesse cose. A qualcuno poi serve un surplus di sostegno umano, una parola in più. E, se la situazione è parecchio complicata, richiamo il lavoro comune, e riprendo (magari a tu per tu) chi mi sembra commettere più errori. Per questo, credo che padre Aldo dica una verità, che non esclude la verità che poni tu (responsabilità dei superiori di quella suora è darle sostegno adeguato, non far finta di niente. Questa è la parte d’amore su cui saranno giudicati anche loro). Mi sembra realistico che esistano realtà comunitarie dove si vivono momenti di aridità: relazioni impostate male, mancata correzione. Questo è vero nel matrimonio; figurarsi tra più conviventi! Aver scelto una certa strada è qualcosa che va ricordato sempre, e sostenuto sempre: quindi, occorre sia un giudizio chiaro, sia un sostegno umano. In mezzo alla tempesta, ci salvano “persone” o “momenti di persone”: “quella” persona che ormai sappiamo ci è più amica di altre; così come il gesto inaspettato di una persona incrociata per caso…Cioè, serve la realtà creata! (credo che solo il cristianesimo abbia una verità così bella perché incarnata, sensibile; quindi così amabile).
    L’altro giorno spiegavo ai miei studenti la poesia “Ho sceso, dandoti il braccio…”: una delle più belle dedicata alla propria compagna di vita. Tutta la poesia ripete: “ora che non ci sei… Con te… le sole vere pupille erano le tue…”. Ma la poesia inizia dicendo “Ho sceso”: sono io che scendo. Con te, ma sono io a farlo: la nostra unicità di amore e responsabilità è accompagnata da un altro, ma rimane sempre, irriducibilmente, la nostra. Ciao!

  13. Gio_prankster ha detto:

    sono decisamente d’accordo con don Mauro. Nella risposta di padre Aldo noto un paio di passaggi che, certamente, sono riflessioni maturate dallo stesso sulla sua personale esperienza: “è stata la grazia più grande che ho sperimentato nella vita, perché ho imparato a gridare, a mendicare, a vivere con gli occhi fissi verso il Mistero”, “Stiamo insieme perché Cristo ci ha chiamati o per una simpatia, un’attrazione sentimentale, un interesse istintivo? Il problema è realmente uno solo: chi è Cristo per te?” –> padre Aldo ha risolto il problema venendone fuori alla SUA maniera, che non è detto sia la stessa anche per altri. In sostanza, il consiglio che mi par di poter evincere dalla risposta alla prima lettera ‘prega, mettiti in Cristo e tutto si risolverà, resta al tuo posto, non scappare e prima o poi la tempesta passerà’ non è un dogma. E’ solo una possibile modalità di soluzione del problema.

    Concludo: ognuno di noi è diverso dagli altri, ognuno ha il proprio modo di vivere, ognuno, soprattutto ha il suo personalissimo rapporto con Cristo. Sono d’accordo con don Mauro perché (scusate, farò il tamarro verbale ma non riesco proprio a esprimere il concetto altrimenti) quando si è nelle pesti, iniziare a sbattersi soprattutto da un punto di vista pratico per gli altri è iniziare ad amare (noi! per primi), invoglia gli altri a renderti il favore e così via –> cambiare atmosfera. Tra l’altro, darsi da fare per cambiare le cose nel piccolo e nel servizio distrae un po’, ci fa uscire da noi stessi e smettiamo di piangerci addosso, cerchiamo di fare felici gli altri! Ed è il metodo migliore per capire come comunichiamo con Gesù… ognuno ha le sue percentuali nel rapporto con Lui: le sorelle Marta e Maria non vi ricordano nulla? L’una ama Gesù sgobbando, l’altra ascoltando… A volte, è meglio sgobbare e fare un po’ di igiene mentale amando nell’atto pratico piuttosto che cercare chissà che contemplazione di Lui quando in realtà si è in grado di contemplare poco più che il proprio ombelico…

  14. Mauro Leonardi ha detto:

    Gli uomini sono uomini. Cristiani o atei, celibi o sposati, religiosi o laici. Sono uomini. Dio li ha fatti così e li vuole così. E il Verbo si è incarnato. Se la mia macchina si ferma e la spia della benzina dice che il serbatoio è vuoto, la prima cosa da fare è cercare un distributore, non cercare un elettrauto perché chissà, forse si è rotto l’impianto elettrico! «Quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: Viene la pioggia, e così accade.E quando soffia lo scirocco, dite: Ci sarà caldo, e così accade. Ipocriti! Sapete giudicare l’aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete giudicarlo?E perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?” Lc 12, 54-57

  15. M(olti) N(o) ha detto:

    Veramente non riesco a comprendere la posizione di d Mauro,perchè certo tutti saremmo felici se ,trovata una difficoltà relazionale,le persone CAUSA della difficoltà si dessero una mossa o la suora in questione fosse trasferita!
    Ma spesso persone e situazioni non cambiano (o ci sono motivi che rendono impossibile di fatto il cambiamento)…e allora perchè criticare al soluzione di P Aldo? In fondo lui ha risolto così nella sua vita(e ognuno consiglia sulla base del suo vissuto!!) e poi non è sbagliato rivolgesi a Gesù quando si soffre! Che avrebbe sofferto a fare,Lui,Dio… se non per avvicinarsi a tanti esseri umani che soffrono? la famosa com-passione che altro è se non soffrire insieme? Certo uno prova tutte le soluzioni umane di miglioramento…ma se non sono strade percorribili? Se Dio in quel modo là, ti facesse scoprire un rapporto molto più vero r profondo con Lui,se vogliamo anche un pò mistico, da” mendicante”,che non riesce a trovare appigli umani e finisce per rivolgersi solo a Lui? Per lei, d Mauro, è un peccato essere mistici nell’epoca della tecnologia????non capisco!

  16. M(olti) N(o) ha detto:

    E aggiungo che trovo anche molto triste il paragone con la macchina in riserva! Si perchè,se con la spia rossa, io anzichè cercar la pompa di benzina cerco l’elettrauto…sto facendo un errore ,ma mi muovo comunque tra due soluzioni sulla stesso piano.
    Intanto, bisogna pensare che, nelle sofferenze umane, non è mai facile distinguere nettamente le cose,se mi manca la benzina o c’è un guasto!!e poi ,l’elettrauto e il benzinaio,sono sullo stesso piano…tornando alla suora,sarebbe come dire-p Aldo non mi risolve il problema? ora cambio confessore…)mentre, rivolgendosi a Dio, in un certo senso uno si rivolge all’INVENTORE E COSTRUTTORE della macchina, a quello che ha in mano tutte le soluzioni ,per tutti i casi e volendo,anche all’istante…insomma ,la posizione di d Mauro,continuo a non capirla…

  17. Tres ha detto:

    “Come si può capire dalla mia storia, non sono più una ragazzina e questa esperienza, a 50 anni, ha sconquassato la mia esistenza! Per la prima volta il dubbio si è insinuato nei miei pensieri, togliendomi il sonno e le energie per affrontare la vita.”Ecco, sei io fossi proprio amica amica di questa Suora le direi che tra i 40 e i 50 le esistenze di tutti si sconquassano. Non lo so, è come se si accendessero tutte le spie insieme. Benzina,temperatura dell’acqua, impianto elettrico…tutto acceso, tutto in rosso. Eravamo tutte partite a 20 anni con grandi vocazioni e tutte vocazioni d'”amore” ma traducendo “l’amore” con “grande amore”. E poi ci ritroviamo con quello che abbiamo, che è molto ma non tutto. Bisogna rimanere ferme, non prendere decisioni sconquassanti. Cercare subito un aiuto. E se non lo trovi, ricercare. E poi farle sentire che io (sua amica amica) ci sono, e ci sono e ci sono.

  18. Tres ha detto:

    “Quell’uomo, che mi sembra di amare infinitamente, ha invaso i miei pensieri, il mio tempo, è diventato una vera ossessione, perché sto identificando in lui tutto ciò che non trovo più in tutto quello che ho vissuto e in cui ho creduto finora.” Gli altri non dovrebbero mai essere tutto, neanche i primi amori, neanche il marito, neanche i figli. Non è giusto.

  19. Tres ha detto:

    “Le tue mani Jone – mi diceva Carras con aria trasognata riportandomi più o meno le parole del vostro fondatore – mi parlano della dolcezza del Padre”. Se Jone avesse prescritto a Carras un Aulin, Carras non avrebbe sentito la “voce” dolce del Padre. Bisogna che allunghiamo le mani. Mi commuove Gesù che non fa il mago ma sputa, impasta, mette le mani sugli occhi, il dito sulla lingua, si fa toccare i piedi e asciugare con i capelli.

  20. Anonymous ha detto:

    Se non ho capito male, qui siamo nel campo del carisma, e il tuo intervento, don Mauro, penso che più di un disaccordo mostri l’esigenza, o la necessità di una integrazione, di un’aggiunta a quanto p. Aldo ha consigliato alla sorella in crisi.
    Guardare a Cristo è l’essenziale, e in condizioni di estrema anoressia dell’anima può essere IL consiglio determinante che muove verso il desiderio di cambiare (di solito, partendo da sè). Guardare a Cristo è anche il faro di ogni ristrutturazione dei nostri ambiti sociali, che si guastano proprio perchè spostiamo lo sguardo da Lui per occuparci dei dettagli, anche essenziali, del vivere. E guardare a Cristo è miope se non vediamo la Croce, e se non impariamo a prendere la nostra, come Lui ci invita a fare.
    Detto questo capisco anche che non sia giusto, nè opportuno, infilare Cristo in ogni dove, quasi non fosse sufficiente la sua morte per i nostri peccati e gli volessimo affibiare responsabilità che invece sono solamente nostre e sulle quali ce la dobbiamo cavare da soli (il padrone dei talenti riscuote alla fine, ricordiamocelo). A me, da giovanissimo, è stato insegnato, da parte di un sacerdote che non ringrazierò mai abbastanza pur facendolo ogni volta che me ne ricordo, che la crisi , andare in crisi, è una grazia particolare, che ci viene data per confermarci, per ritrovare ragioni date per scontate, per saggiare quei punti fermi a si è ancorati, insomma: un’ispezione minuziosa della propria interiorità, che verifica le proprie risorse e prelude ad una nuova partenza verso un viaggio che a priori non sappiamo nemmeno dove ci condurrà.

    Roberto P.

  21. M(olti) N(o) ha detto:

    Il parere di Roberto è già più accettabile…anche se ancora trovo riduttivo, il guardare a Cristo, come consiglio buono solo” in condizioni di estrema anoressia dell’anima”…ma dico,voi frequentatori di questo blog,tutti vivete una esperienza di fede e di comunità religiosa(anche tra laici!) così umanamente soddisfacente???indicatemi vi prego,questo magnifico ambiente religioso!

  22. Paola ha detto:

    Vorrei riprendere due citazioni di don Mauro: “La santità non sta nelle preghiere, né nella penitenza, ma nell’amore. Chi più ama, più è santo e più desidera amore, quello più ama” e l“abissale solitudine dell’uomo ragione della sua angoscia”.
    A qualunque età – e non condivido @Tres quando parla dei 40-50 anni, perché succede a 8 anni o a 28 anni – l’angoscia profonda dell’uomo si può vincere solo amando chi e cosa si ha davanti, nelle 24 ore della giornata. Ma amandolo pazzamente. E il genio femminile quanto a pazzia è maestro! Se ci aspettiamo che il convento, i genitori, gli amici, il marito o i figli, colmino la nostra abissale solitudine, vivremo sempre infelici, sempre a fare la contabilità delle mancanze o croci della nostra vita.
    Quanto alla suora, chissà che la sua speciale missione nel convento non era quella di aprire le finestre, spalancarle, e far entrate un po’ di primavera per le sorelle!
    Innamorarsi di un altro uomo – da sposate o da consacrate o da celibi per vocazione – vuol dire tornare a vivere. E succede solo quando si era morte prima, come mogli, suore o celibi. Questo credo sia il punto. Prima, non dopo il nuovo amore. Il nuovo amore è solo l’occasione per ritornare a respirare. Se un matrimonio, una vocazione da celibe è tiepida, l’essere umano, più spesso la donna, non riesce a vivere il letargo delle passioni. E si ribella.
    Per questo, come chattavo con @Tres sul blog del figliol prodigo, bisogna regalarsi ore speciali nella giornata, pur nel grigiore della quotidianità, pur nel convento con le sorelle inaridite, pur con il marito workaholic e i figli superdemanding.

  23. Anonymous ha detto:

    Caro/a, nick MoltiNo, non hai fatto una bella cosa prendendo una mia frase e citandola con i tuoi avverbi al contorno. Hai ottenuto il risultato di stravolgerla totalmente. Se rileggi bene la mia frase te ne accorgi. Dato che son cose delicate, ogni dettaglio va trattato con cura e delicatezza.

    Roberto P.

  24. Molti No ha detto:

    Si,forse a volte ci si fa troppo coinvolgere! Chiedo scusa a Roberto(è vero che sono temi delicati e non volevo fare una brutta cosa!chissà che il mio scrivere non sia solo motivato dalle mie esperienze di vita?) e torno a quello che ho scritto prima e al mio non capire solo d Mauro!

  25. Anonymous ha detto:

    Si capisce il tuo coinvolgimento e credo che comunque non sia fuori luogo consigliare un po’ di distacco, non per snobismo beota, ma per mettere a fuoco meglio le cose e tentare altri punti di osservazione. Dell’esempio di dMauro io capisco che la vera conoscenza del proprio bisogno incanala ed indirizza la soluzione, (serbatoio vuoto = cercare benzina). Quando tutti i nostri indicatori funzionano (anche la spia della riserva è un indicatore) la cosa da fare RARAMENTE è mettere in discussione il funzionamento degli indicatori, molto meglio è recepirne il messaggio e seguire i consigli e le modalità d’uso. Spia dell’olio, aggiungo olio. Spia della cintura di sicurezza, metto la cintura (anche se a volte la cosa rompe un po’ ;-)) ecc. ecc. ecc.
    Insomma dal meccanico o dal Costruttore si va solo a riparare i guasti, e i più previdenti vanno a fare i tagliandi, periodicamente ;-))
    Questo ho capito io, e mi pare quantomeno ragionevole.

    Roberto P.

  26. Molti no ha detto:

    Il tagliando lo faccio sempre..a scadenze fisse….forse non mi è ben chiaro cosa riparare prima,ma questo è un altro discorso!diciamo che il consigliato distacco…lo butto sull’ironico?

  27. Mauro Leonardi ha detto:

    Grandissima Tres!!!

  28. Mauro Leonardi ha detto:

    La prima citazione è di un santo, non mia. Si chiama cardinal di Milano Ildefonso Schuster ed era un benedettino iper tosto che voleva che tutti i suoi parroci andassero in chiesa un’ora prima della prima Messa del mattino per confessare chi avrebbe voluto fare la comunione e girava per le Cappelle private con le forbici per tagliare conopei, tovaglie, purificatoi e manutergi fuori standard.

  29. Anonymous ha detto:

    Il tagliando serve ad evitare che l’usura di certi pezzi arrivi a diventare un guasto. Un buon dottore di anime conosce le usure di certi componenti che abbiamo nel nostro intimo come dotazione di fabbrica e ha anche l’adeguata strumentazione per accorgersi di eventuali situazioni critiche. QUello di cui si parla qui però è un evento traumatico, un incidente. COse che nessuno si augura ma capitano. E se non è troppo stucchevole l’analogia, penso che la prima cosa di cui occorre preoccuparsi è che le persone coinvolte siano ancora vive, se no si curano con tutta l’emergenza che meritano. Poi ci si preoccupa di rimettere in strada i veicoli, e si procede alle riparazioni del caso.
    Magari si scopre che l’incidente è stato provocato da una strada dissestata, affrontata troppo allegramente. O magari è una semplice distrazione, che poi però si paga cara. Oppure servivano dei freni buoni ed efficienti, che invece erano, appunto, usurati. Insomma, la metafora di d. Mauro ha milioni di sfaccettature, tutte pertinenti. L’unica cosa che occorre è riconoscere le priorità nell’intervento, rianimare la fede, che di solito è la prima ad andarsene, pregare molto, e insieme all’interessato/a, se possibile, e pian piano ricostruire, andando a fondo nella conoscenza del problema, i dati di fatto in primis, e tentare di proporre una possibile (e magari già sperimentata) soluzione.
    Io sostengo molto questo metodo para-scientifico, perchè ritengo che non siamo delle monadi ingovernabili, ma che concorriamo a plasmarci, senza assurdi determinismi, ma facendo perno su risorse di cui siamo dotati.

    Roberto P.

  30. Anonymous ha detto:

    Sono d’accordo con te, caro don Mauro, sul fatto che non si può dire semplicemente “guarda Cristo” a una che vive il dramma della solitudine. Io ovviamente non ho esperienza di monastero, anche se ho tre amiche che sono monache di clausura. Però mi sembra di ricordare che anche santa Teresina parlasse della difficile convivenza con le consorelle anziane nel monastero del Carmelo in cui viveva, e ricordo benissimo il racconto che fa di una consorella che le stava particolarmente antipatica, o con cui comunque aveva un rapporto difficile. Che succedeva? che invece di evitarla, lei le andava vicino nei momenti più difficili e si lasciava schizzare in faccia l’acqua saponata del lavatoio nei giorni in cui dovevano fare il bucato.
    Io sono sposata, ma anche nel matrimonio ci sono momenti in cui mi prende una particolare solitudine, per esempio quando vorrei raccontare a mio marito le cose bellissime che leggo, o parlargli delle persone che incontro. E invece lui sbuffa, magari aggiungendo che non gli importa un fico secco di amici che non conosce e non vuole conoscere. Non ti dico come mi sento io….ci ho pianto su un sacco di volte…
    Ne ho parlato con la mia più cara amica e col mio confessore. Le loro risposte non sono state molto dissimili da quella che Padre Aldo ha dato alla suora della lettera. Il succo è “per chi vivi?” “in chi riponi fiducia?”. La mia fiducia è tutta in Cristo, ed io ho scelto di sposare mio marito in Cristo, perchè il nostro amore non fosse solo un sentimento, ma che avesse fondamenta nell’eterno. E più punto il mio sguardo a chi ci ha unito, più amo l’uomo che ho accanto. In un certo senso anche il suo sbuffo sentendomi parlare di questo e di quello è un richiamo a prendere seriamente la mia vita e a chiedermi in chi ripongo la mia fiducia. La mia circostanza è la vita che ho, coi suoi momenti alti e bassi, ed è in questo che passa la mia vocazione ad essere tutta in Cristo. Guardare Cristo non è altro che accettare amorevolmente la vita che abbiamo, e guardarla con tenerezza. Il rimpianto di ciò che non è, lo struggimento per una vita diversa da quella consueta è un segno di grande immaturità. Ci sono passata anche io. Ho avuto momenti in cui mi rammaricavo di aver lasciato affetti e amicizie in una città lontana per seguire il marito; ci sono stati giorni in cui alzarsi di notte per allattare un figlio sembrava una condanna. Incontrare qualcuno che ti dia una scrollata, che ti dica “guarda che capolavoro hai davanti!” è riemergere alla vita! sembra riduttivo sentirsi dire “guarda Cristo” come lo dice Padre Aldo? forse. Ma è quella la verità. Ci sono ferite nell’esistenza che ti obbligano a vedere la vita che stai facendo e a metterti in discussione, ma una risposta franca, senza sconti, è quello che ci vuole.

    Giuliana z.

  31. Dory ha detto:

    E pure questa, Tres, me la devo mettere in memoria…Grazie!

  32. Polifemo ha detto:

    Don Ma’ scusa ma sei proprio un figo. Ma come hai fatto? Te che sei più papista del Papa sei riuscito a trova’ de la gente più papista de te e a falli incazzà? E tutto solo per fa crescere un po’ l’odiens del blog? Sei grande. Oh pe’ na volta che fai la persona normale, vedi un po’ che te fanno. Io nun ce capisco gnente però me ricordo na frasetta che ripetevi spesso cuanno te conoscevo, e che m’è rimasta lì, nchiodata: la prima frase de la carità – dicevi – è “perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe”. E’ de na parabola dove ce stà ‘n poveraccio e un ricco che se ne fotte e allora Gesù Cristo ie spacca er culo. A me quella frase m’è sempre servita pe’ capì se sono o no cristiano.

    E quinni, pe’ fatte ride te copio na cosa che nun centra proprio un cazzo. O forse centra peché a vorte ce nascondiamo dietro a un dito de pensierini pe’ nun vede le cose giganti. E’ del Corriere de oggi. Intervista ar mitico De Rossi che io guadagno un anno quello che lui guadagna in dieci minuti e che arriva pure tardi agli allenamenti. Vabbé.

    Intervista.

    Domanda der giornalista: Agassi nella sua biografia racconta di essersi infuriato assistendo sul set a una scena in cui Brooke Shields leccava la mano di un attore. Lei è geloso di Sarah Felberbaumm, sua attuale compagna?
    Risposta der pupetto nostro ritardatario: So che è un lavoro, ma evito di andare sul set. Lei me lo ha chiesto: vieni a vedere come è, si gira una scena spinta e poi, allo stop, ci si mette a parlare dei figli o del tempo. Lo capisco, ma anche se non lo vedo è lo stesso.

    Mitico Daniele!! Ma questa sì che è ‘na compagna! Cioè na tromboamica. Fai bene a nun andacce sennò te viene er dubbio che quello c’hai capito nun l’hai propro capito. Fammo così. Ce vado io a guardà – che nun ho capito – e poi te racconto. Cioè Danielino, la cazzata pensierosa l’hai dovuta dì sennò cor cazzo che il Corriere te pubblica (tipo de dì la verità: a Sarah sei proprio na bella zoccolona!), pero poi de fa la figura der fesso che va pure lì a fasse pià per culo da l’artri che te trombano la compagna e tu ie devi pure fa’ e sorrisetto compiaciuto de fa’ capì che hai capito che quella nun è na vera trombata, nun la fai. A la fine predichi male ma razzoli bene. Bravo. Forza Roma.

    Scusa don Ma’, lo so che nun centra ma era pe’ ride….Poi forse centra, peché a vorte ce inpippiamo coi ragionamenti (“io lo so che è lavoro”) e nun vedemo le cose ovvie. Vabbé.
    Ciao siete tutti belli. Annate avanti a discute se è giusto o sbagliato dire a ‘na signora che sé rotta le palle de stà a pulire il culo de 15 settantenni, che deve de prega’ de più e meglio o invece, dando pe scontato che lo sa che deve pregà peché li dentro nel monastero so 20 anni che ce sta, che forse bisogna fa qualcosa pe’ volesse bene.

    Mo’ io lo chiedo a Danielino nostro così me dice de ‘sta bono peché “è lavoro”.

  33. fefral ha detto:

    non ho tempo, ma il tema mi interessa e mi fa pensare
    Sono d’accordo di fondo con la linea di don Mauro, anche se credo che i due approcci siano complementari.
    Da una parte di fronte ad una crisi profonda di vocazione c’è bisogno di tornare a interrogarsi sul motivo che ci aveva portato a fare quella scelta, e il motivo in quel caso non può che essere cercato nella risposta ad una chiamata di Cristo. Però non ho ho scritto a caso “risposta ad una chiamata” perchè credo che fermarsi al discorso della chiamata irreversibile di Dio non aiuti a venir fuori dal guado.
    Mi pare che nel capitolo in cui don mauro parla di vocazione dica una cosa tipo che la vocazione è l’incontro di due libertà, una infinita e una finita.
    L’incontro di due libertà: la chiamata e la risposta. E la risposta è nel tempo, perchè noi non siamo angeli ma uomini e viviamo nel tempo, e cambiamo. La vocazione cambia con noi, è in divenire. E se oggi la risposta data 30 anni prima porta la suora in un convento pieno di vecchie rancorose e rigide non si può chiederle di trovare la ragione della sua fedeltà in qualcosa di 30 anni fa e quindi subìre il presente in quanto conseguenza di una scelta passata. E’ sul presente che deve lavorare, anche se è importante capire a questo presente come si è arrivati e qual è stato il percorso che oggi la porta a scoprire se stessa nell’amore di un uomo. Cosa ha fatto per 30 anni, come è stata fedele a Cristo per 30 anni? Che relazione ha avuto con Lui in questo tempo? E’ cresciuta con Lui o è rimasta ferma al sì di tanti anni fa? Queste sono le domande che dovrebbe farsi, ma… ma intanto la vita del convento le sta stretta, perchè è tosta vivere con gente che non ci si è scelti e che ti rende la vita impossibile.

    Chi però ha la responsabilità di aiutarla, consigliarla, dirigerla non può trovare la soluzione comoda “devi guardare Gesù”. Non è così che l’aiuta. Nè esortandola ad una donazione senza riserve quando il contesto in cui si trova a vivere le provoca rigetto. Il rigetto è sintomo di qualcosa. Può essere sintomo di un malessere individuale, ma può anche dipendere dal cibo che si ingerisce che magari è adulterato. Probabilmente in quel caso è entrambe le cose. E allora chi ha la responsabilità di quella suora e delle sue consorelle dovrebbe avere il coraggio di andare a fondo, non fermarsi al pensiero “è una crisi di vocazione, diamole qualche pillolina di preghiera e si sistema”. Se una donna di 50 anni si sente soffocare a casa sua forse a casa sua c’è puzza di muffa. E allora invece di riportare la suora in crisi a riflettere sui suoi doveri di fedeltà la si può aiutare cercando insieme a lei il modo di rendere quella casa più accogliente e più sua.

  34. fefral ha detto:

    è che Cristo o riusciamo a trovarlo in chi abbiamo accanto o quelle parole “guarda Cristo” rischiano di essere assolutamente sterili.
    Ciao Giuli ;-)

  35. Mauro Leonardi ha detto:

    @Molti No grazie di esserci! nel prossimo commento ti rispondo ma tu non mollare mi raccomando! sei dotato di due caratteristiche rare per questo blog: sei maschio e non sei d’accordo con don Mauro. Mi raccomando! dacci dentro…

  36. Vera ha detto:

    @ padre Mauro – Mi sento ferita e impotente quando succedono cose di questo genere, ho pianto moltissimo quando ho saputo di un giovane futuro sacerdote che non fu capito dai suoi superiori e si uccise. Mi sono chiesta :” che cosa avrei potuto fare per lui? mi chiedo adesso la stessa cosa!Dalla mia conversione ho sempre desiderato di vivere una vita comunitaria in convento…. ma purtroppo ho imparato ad accettare di vivere il desiderio di una vita intima con Dio al di fuori di esso .. nel mondo visto che magari per errore mi ero sposata tanti anni prima. Il mio matrimonio era un inferno, l’illusione che in convento si stesse meglio e meglio Dio…. mi ha destabilizzata. Adesso sono convinta che la mia strada sia il mondo dove devo lottare per testimoniare il mio Amore per il Signore… nella mia quotidianità, rimanere la dove mi trovo. Adesso da 6 anni vivo da sola …. il mondo mi spinge alla convivenza o al matrimonio, ma io ho scelto di vivere con Dio e in aiuto ai fratelli che incontro , nè conventi, nè uomini . Nessun luogo è posto tranquillo, forte la risposta della badessa a quella ragazza che delusa dalla vita cercava rifugio in convento illudendosi di trovare pace, cosa che per grazia ricevi solo accettando di vivere facendo la volontà di Dio la dove ti trovi, accettando e offrendo ogni sofferenza e ogni contrarietà.Bellissima la sua risposta padre Mauro che condivido pienamente, è la mia vita, la mia scelta, vivere offrendola imparando da ciò che fa male.

  37. acida ha detto:

    vi leggo!!!!! Polifemo… ho sentito parlare di te per “colpa” tua e di qualcun’altro (t’ho letto sopra, m’hai fatto taja!… forza Roma!)
    non riuscivo più ad entrare causa linguaggio . M’ hanno detto che semo daa stessa zona, perciò fa er bravo, nun fa troppo er coatto così te posso legge pur io.
    Ciao don Mauro, ciao fefral, ciao agli altri!

  38. Anonymous ha detto:

    C’era da saperlo: hai osato criticare un prete di cl e ti sono tutti addosso.

  39. Mauro Leonardi ha detto:

    @Molti no
    La venuta di Gesù Cristo oltre a portare il bene inestimabile della salvezza eterna attraverso la sua Croce e la sua Resurrezione ha regalato anche un’infinità di benefici umani, che si condensano nell’espressione “civiltà cristiana”. Gli ospedali, la nozione di persona, la dignità della donna, i diritti umani, l’abolizione della schiavitù e una moltitudine d’altri. Per questo, se da me viene un ragazzo di quindici anni che va male a scuola io gli do dei consigli spirituali, ma cerco anche di indirizzarlo da qualche professore che possa aiutarlo. Se viene da me una giovane donna sposata che non riesce ad avere figli, io gli do dei consigli spirituali ma cerco anche di mandare lei da un ginecologo e lui da un andrologo. Se viene da me una coppia che sta per separarsi, io gli do dei consigli spirituali ma cerco anche di consigliare loro un mediatore familiare. Se viene da me una persona che non sa gestire economicamente la sua azienda, io gli do dei consigli spirituali ma poi gli cerco un bravo commercialista. Se viene da me una mamma che ha una figlia con un tumore, io gli do dei consigli spirituali ma poi le consiglio un bravo medico. Se viene da me una persona depressa, io gli do dei consigli spirituali ma cerco anche di dargli il nome di qualche bravo psicoterapeuta. E l’elenco, come immagini, potrebbe durare ancora molto. Ma se viene da me una monaca di clausura che mi dice che nel suo monastero “la vita di comunità è insopportabile, altro che carità” io, dopo che gli ho dato i consigli spirituali, da chi la mando? da nessuno. E non perché loro essendo di clausura non vanno da nessuna parte, ma perché il problema è causato da noi preti e frati che alle suore di clausura, invece di dare “anche” consigli soprannaturali, diamo “solo” quelli soprannaturali (parlo per conoscenza diretta e per conoscenza indiretta di altri sacerdoti che seguono altri monasteri).
    (continua)

  40. Mauro Leonardi ha detto:

    (continua)
    So di un monastero che, al freddo di quest’inverno, è stato dieci giorni con – 4° gradi in casa (non in tutta la casa ma in buona parte sì). Non era in alto adige ma in una cittadina del centro italia: e avrebbero i soldi per comprare il gasolio perché hanno il riscaldamento, ma non lo fanno per povertà; uno dove le monache che vivono astinenze e digiuni rigorosissimi, hanno il colesterolo perché a volte regalano loro il formaggio, e mangiano solo formaggio per tre mesi: e avrebbero i soldi per comprare altro ma non lo fanno “per povertà”; alcune hanno tumori che non curano perché “come si fa a andare in ospedale?”: e non ci vanno per amore della croce; usano utensili per tagliare l’erba di settanta anni fa: e non li cambiano per povertà; trattano il rapporto con le famiglie di origine come quando le famiglie erano di dieci figli, non come adesso dove al massimo di figli ce ne sono due, e quello che è rimasto a casa si disinteressa nel modo più completo dei suoi vecchi: e non cambiano perché devono essere “distaccate”; non riescono a parlare tra di loro di nulla, perché quando avrebbero da parlare di qualche problema la risposta c’è già: prega, offri, la Croce. Che sono le risposte che diciamo noi preti quando facciamo loro le nostre belle omelie. Non so se la lettera di Padre Aldo è vera. Sulla parte dell’innamoramento non credo tanto. Per carità, ce ne sono suore che se ne vanno innamorate: ma sono soprattutto i frati e i preti che se ne vanno con le catechiste – quando va bene e non se ne vanno con le donne sposate – non tanto le suore. Le suore, semplicemente, non ce la fanno più ed escono. Escono in tante sai? Non come dice Avvenire. Escono proprio tante. Ma – spero di non scandalizzarti caro Molti No – ce l’avessero un uomo che le abbraccia! Non hanno nessuno. Non hanno un lavoro, perché non sanno fare niente. Non hanno neppure i documenti più minimi. Non hanno una casa. Non hanno dei parenti perché loro, le suore, i propri parenti li hanno abbandonati, magari non sono neanche andate ai funerali. E chi la rivuole in casa una donna di cinquant’anni che non ha un euro, che è mezza depressa, che non sa fare nulla e che è pure brutta (nei monasteri non ci sono le beauty farm). Escono e cominciano a girare. Vanno alla Caritas. Ogni tanto qualche prete le aiuta. E poi, se va bene, finiscono in un ospizio. E si sentono dire che devono guardare a Cristo da qualcuno che non ha capito proprio nulla di chi è Cristo perché secondo me non l’ha mai guardato, che non ha idea di cos’è la civiltà che Gesù Cristo ha fatto nascere dalla propria morte e resurrezione. Una civiltà che accoglie tutti. Anche quelli che a Cristo non ci credono. E questa sai cos’è Molti No? È pigrizia di noi preti, pavadità di noi frati, paura di guardare dentro la nostra proprio anima, e nessuna voglia di interrogarsi davvero quando preghi. La sai la barzelletta del bagnino che mangia gli spaghetti sulla spiaggia quando vede arrivare il naufrago? Questi lo guarda mentre mangia e il bagnino gli chiede: “hai mangiato?”. Il naufrago illudendosi che il bagnino stia per rifocillarlo geme con un sorriso incerto: “no!”. “Allora puoi tuffarti” dice il bagnino.

  41. Polifemo ha detto:

    Te vojo bene Fefral!

  42. Dory ha detto:

    Polifemo…Sei un mito. Fefral for president!

  43. Anonymous ha detto:

    Mi dispiace mia cara amica suora. Chissà quanto ti sentirai sola. Tutto può succedere nella vita, veniamo feriti e umiliati da chi credevamo ci dovesse proteggere e incoraggiare. Ci vengono dati consigli sbagliati da chi pensiamo possa dirci “solo” cose giuste. E allora che si fa? e allora quel sì che avevo detto a Gesù non era vero? quella promessa di stare con Lui, quell’amore forte che avevamo, dove sono andati? si cresce e si diventa grandi; la vita cambia, le circostanze cambiano e tu rimani da solo perchè non c’è più chi ti consiglia, un giorno ti accorgi che non c’è più credibilità in quello che ti avevano detto, forse non c’era neanche vero amore quando pensavi che in realtà te lo volessero. E allora che si fa? quando stai male e ti dicono “prego per te”, io vorrei urlargli contro e dire…”ma mica siamo anime del Purgatorio!!! vieni quà e aiutami”. Solo se ho la certezza che quella persona mi vuole bene, allora le sue preghiere sono per me un regalo. E’ tosta la vita perché osto “stare soli”. Ma che Fede abbiamo se arriviamo a mettere in discussione la presenza quotidiana di Gesù nella nostra vita? quella decisione presa tanto tempo prima è l’unica certezza che abbiamo. Non sono gli altri che ci danno certezze, non sono gli altri che mi danno la vocazione, non posso permettere che gli errori di altri abbiano il potere di far mettere in discussione la mia vocazione. Gesù non sbaglia mai, proprio mai.

  44. Anonymous ha detto:

    E allora, cara mia suora, che bel casino e che dolore il tuo. E ora come si fa? te la senti di provare insieme a vedere cosa si può fare? ti va domani mattina di alzarti un pò più tardi così ti riposi? Ti va di fare una belpasseggiata dopo anziché dare l’acqua al giardino? così ti distrai un pò. Ti va di pranzare a casa di una mia amica, così ci facciamo quattro chiacchiere tra amiche? ti va di leggere un bel libro, quello che ti hanno regalato e che hai messo via perché non puoi accettare regali? è davvero un bel libro e fa commuovere, così puoi piangere in santa pace. Ti va di metterti un paio di scarpe da corsa e andare a correre insieme su quei sentieri che hai sempre visto solo da lontano? così vedi come sono belli quei sentieri e quanto è bello correre. Ti va, cara amica mia, di metterci insieme in fondo alla cappella e stare zitte. O se vuoi puoi pregare, puoi dire il rosario, puoi parlare con Gesù, puoi anche addormentarti. Solo ti chiedo di farmi molta compagnia; è un periodo che Gesù non so più cosa voglia da me, è tanto tempo che non so più cosa devo fare per stare bene, è tanto tempo che urlo invece di pregare. Quindi non ti spaventare se senti delle urla; sono io! sai, amica mia, sono talmente frastornata e stanca che a volte penso che è tutta una finta, che Gesù non è là, che tanto quà è un macello e non è vero che si può essere felici su questa terra. Ecco, per tutto questo ti chiedo di farmi compagnia, forse Gesù di fronte a due come noi, si commuove. Ti va? non ho risposte per te amica mia, non ho risposte neanche per me. Però una cosa la so; quel giorno in cui ho detto a Gesù che volevo stare con Lui, è l’unica cosa che mi tengo stretta, è la sola cosa vera. Me la sento nello stomaco. E allora, se ti va, ce ne stiamo così un bel po’E domani anche, se ti va. E la sera se vuoi andiamo dalla Madonnina, sotto quell’edicola così bella e passando Le possiamo sorridere, anche se credo che io piangerò un pò; ma tu non farci caso, è che la Madonnina mi fa commuovere perché pso sempre che se convinco lei ad aiutarmi, Lei di sicuro convince Gesù. A Lei non può dire di no! Amica mia, mia suora cara, ricominiciamo insieme, ti va? io ho bisogno di te. Sai, almeno un vantaggio mi sento di averlo; Gesù mi vuole qua i vuole così, Lui non si è sbagliato. Ora se vuoi proviamo a capire insieme come è successo che ci siamo ritrovate così, sole e stanche. E se poi trovo che qualcuno ti ha fatto soffrire, vado e gli spacco la faccia. Ti va? io al posto di Giacomo e Giovanni a quelli li fulminavo subito….mica chiedevo il permesso a Gesù! ti va?

  45. Ribelle ha detto:

    Interessantissima discussione!(molto bello quest’ultimo interneto,anonimo!Vorrei lanciare una provocazione con la storia di una persona che conosco, per alcuni aspetti, simile alla storia della suora.Anche qui,un ambiente di sorelle di fede freddo, e lei invece,una persona forse troppo bisognosa di considerazione…ebbene la nostra suora si accorge di cercare ben altro che l’approvazione del buon Dio! Ma eccola ad inseguire quella delle sue superiore, giorni interi nell’incapacità di accettare di buon animo un rimprovero o la semplice indifferenza altrui…tanta buona volontà e tanta lotta, ma alla fine solo sconfitte e sofferenze acute per cose che altri forse non avrebbero neanche notato e l’umiliazione di vedersi così lontana da una fede “matura” o da un “santo distacco” e simili..insomma la situazione descritta da p Aldo quando scrive(forse un pò troppo pessimisticamente)”la maggior parte di noi consacrati viviamo “innamorati” di cose peggiori, che non disturbano i superiori né gli altri”, in questo caso,innamorati del proprio orgoglio e di quello che in questo ambiente dicono-pensano di me…alla fine decide di mollare una vocazione così poco basata su Dio(per quanto l’avrebbe voluto!)e di risolvere definitivamente a monte il problema della “dipendenza-sofferenza”…allontanandosi dalle persone da cui dipendeva!…e purtroppo anche parecchio da Dio..aldilà della troppo facile e comunque in questo caso banale e ingiusta considerazione-non aveva una vocazione-…che le avrebbero consigliato d Mauro e padre Aldo?

  46. Ribelle ha detto:

    Aggiungo che la ex suora,ora, va ripetendo in giro che “in quel tipo di istituto,è quasi impossibile diventare cristiani maturi,autentici e adulti,ma si finisce in pericolose e invincibili dipendenze psicologico-spirituali”e queste parole, dette da una ex,fanno parecchia impressione a persone che a quell’istituto un pensierino lo farebbero…Non credo però, sia giusto condannare subito la ex suora per poca carità,perchè lei di quel che dice è sicura e ne ha sofferto tanto,però…Per qualche giorno non potrò intervenire sul blog,ma grazie a chi vorrà rispondermi..

  47. Vera ha detto:

    Noi cristiani abbiamo una grande responsabilità,le nostre critiche non possono e non devono scandalizzare gli altri fratelli ancora fragili e ancora poco formati per poter difendere la propria fede il proprio incontro con il Cristo che salva. La Passione di Gesù significa qualcosa per noi? ma veramente? se ci dice tutto, allora @ Ribelle – perchè ci ribelliamo? perchè non ,lo imitiamo accettando le angosce, le critiche e le sofferenze che riguardano il nostro stupido IO che si ribella tanto facilmente? perchè non amiamo Cristo che si fa uomo e muore per noi per riscattarci proprio da noi stessi? perchè se diciamo di amarlo non lo amiamo per davvero? mi aggrappo a lui con tutta me stessa anche se a volte non lo sento e non lo vedo e tutto attorno a me tace, ma so che LUI c’è e vado avanti aspettando da lui un abbraccio vero, unico.

  48. scriteriato ha detto:

    Il commento delle 2 e 18 di don Mauro è davvero spiritualmente profondissimo ed umanamente verissimo. Da restare ammutoliti

  49. Lisander ha detto:

    “E allora, cara mia suora, che bel casino e che dolore il tuo. E ora come si fa? te la senti di provare insieme a vedere cosa si può fare? ti va domani mattina di alzarti un pò più tardi così ti riposi? Ti va di fare una belpasseggiata dopo anziché dare l’acqua al giardino? così ti distrai un pò. Ti va di pranzare a casa di una mia amica, così ci facciamo quattro chiacchiere tra amiche? ti va di leggere un bel libro, quello che ti hanno regalato e che hai messo via perché non puoi accettare regali? è davvero un bel libro e fa commuovere, così puoi piangere in santa pace.” Anonimo…Mi sento solo di dirti che hai fatto riposare anche me dentro al tuo grande cuore pieno della Sua carità. Ho iniziato questo sabato piangendo perchè, nonostante i miei sforzi, suscito l’irritazione di chi mi è vicino. Hi anche provato a subire senza rispondere…ma poi sono esplosa. E’ troppo. Tutto è troppo per il mio cuore. Dio è troppo. I figli sono troppo. Il marito. Il lavoro.Il Dovere, dovere, dovere che pesa, molto, su di me. Tutto su questo cuore…Che qualche volta mi sembra che si possa rompere sotto tutto questo peso. Altre volte si solleva, anche se pieno di dolore, perchè c’è gente come te che indica sentieri diversi. Non una via di fuga. Solo un pò di pace. Forse, la vera, unica Pace quaggiù. Sapersi amati da Lui. Grazie.

  50. Lidia ha detto:

    eh Lisander come ti capisco – io più modestamente ho solo mamma, papà, sorella e tesi di dottorato ma a volte pure io penso che non ce la faccio più. Poi, per la verità penso ai bambini africani e mi sento molto fortunata.
    Cmq: io direi che ciò che dice d.Mauro è molto vero, però bisogna considerare che p.Aldo risponde a un’anonima suora su un giornale, chiaro che usasse parole più o meno stereotipate. Che però questo il sia trend anche nelle direzioni spirituali vere, questo è preoccupante.
    Leggendo la descrizione della vita in monastero e delle suore che escono fatta da d.Mauro mi sono sentita tristissima, e invece il celibato ci dovrebbe ricordare della gioia del Regno dei Cieli (come pure la famiglia). Mah…
    quanto all’innamoramento di p.Aldo, penso sia vero, anche perché è faccenda risaputa, la suora scrive a lui proprio per questo..e mi ricorda molto le parole di Ester, vi ricordate?

  51. Mauro Leonardi ha detto:

    Peccato che non usi un nick name… non ce la fai proprio? dai… piccolo piccolo….

  52. Mauro Leonardi ha detto:

    Peccato che non usi un nick name… non ce la fai proprio? dai… piccolo piccolo….

  53. fefral ha detto:

    Polife’ glielo dai un altro bacio ar pupetto da parte mia?

  54. Polifemo ha detto:

    Lassamo perde va ch’è successo un casino…

  55. Vittoria Patti ha detto:

    Scrive don Mauro: «‎… Il problema con la Croce è delicato e si riassume in poche parole: dobbiamo prenderci sulle spalle le croci “vere”, che sono quelle inevitabili. Cioè dobbiamo fare tutto quello che è alla nostra portata per evitare a noi e al nostro prossimo la Croce. Quella che rimane è di Cristo.»
    Carissimo don Mauro, questa è una cosa difficilissima per quelli di noi cresciuti respirando una spiritualità cristiana che parla continuamente di amore alla Croce, di chiamata alla corredenzione ecc.
    Può succedere che pedagogicamente si dimentichi di insegnare, appunto, a distinguere appunto fra le Croci vere e quelle false, e a darsi da fare per “smontare” le seconde.
    In questo senso anche certa agiografia fa più male che bene, mostrando nella vita dei santi sempre il loro abbracciare la Croce e mai o quasi il loro giusto difendersi dalle croci finte. (Una felice eccezione in questo campo è secondo me il film “Un uomo per tutte le stagioni” sulla vita di san Tommaso Moro, in cui si mostra chiaramente il suo tentativo eroico, per così dire, di NON essere martirizzato).
    Preciso meglio: è abbastanza facile, per amore, insegnare a “combattere” le croci finte degli altri: anzi, praticamente, io considererei TUTTE le “croci” degli altri come “finte”, e mi darei da fare per eliminarle o attenuarle se in mio potere, lasciando poi a Dio e all’altrui direttore spirituale il compito di far capire all’interessato quali siano quelle “vere” e ineliminabili.
    La grossa difficoltà sta nel discernimento delle PROPRIE croci vere o finte. Non è che magari ciascuno di noi proprio non è in grado, da solo, di distinguere fra le une e le altre? E che solo un direttore può guidare in questo discernimento?

  56. Nerina ha detto:

    Eccolo!

  57. Nerina ha detto:

    Sempre io!

  58. Anonymous ha detto:

    era proprio quello che volevo dire! è che a volte pensiamo che il volto di Cristo debba passare per persone eccezionali, mentre è come dici tu, passa attraverso il quotidiano! ciao Fefral, ti abbraccio!
    Giuly

  59. Ester ha detto:

    Ciao, sono tornata, dopo un mese di assenza… apro il blog e mi ritrovo una discussione che per alcuni versi assomiglia molto a quella in cui ero intervenuta un mese fa…. Perché anch’io da celibe mi sono innamorata.
    Ma non è questo che volevo scrivere. Vi scrivo perché sono mancata in questo mese, diciamo che ho avuto altro da fare oltre al fatto che il mio computer ha deciso di abbandonarmi all’improvviso (guai della tecnologia!).
    Cosa ho avuto da fare? Vive con noi una persona che è qui da sette mesi e sta cercando di vivere il celibato, ha scelto questa strada dopo un lungo percorso di discernimento…qualche settimana fa dopo cena le chiedo:
    -“stai bene?”
    – “perchè?”
    – “ ti vedo un po’ strana”
    -“cosa vuoi dire?”
    – “diciamo che mi sembri assente!”
    Mi guarda, le si riempiono gli occhi di lacrime e se ne va, lasciandomi lì un po’ frastornata: “ e adesso cosa faccio?”, penso tra me e me.
    Lascio passare la notte e la mattina seguente vado a cercarla, mi dice solo “ sto decidendo di andarmene” (ben chiaro che non è un problema di innamoramento il suo). Sono stata capace solamente di dirle una piccolissima cosa, quella più vera “ma io non ho ancora imparato a volerti bene” e la abbraccio.
    Ecco ho passato questo ultimo mese a fare questo, a imparare a volerle bene, prima che decida (liberamente nel suo cuore davanti a quel Dio a cui ha deciso di dedicare la vita) di andarsene o di rimanere. Ho passato l’ultimo mese a correre con lei la sera, a chiacchierare delle cose più banali e del mistero della vita, a mangiarci un gelato se ci va, a cucinare insieme per tutte le altre…. E perché no, a pregare per lei e magari a piangere, non tanto perché decide di abbandonare la sua decisione o vocazione (e chiamiamola come vogliamo!), ma perché sto imparando a volerle bene.
    Forse a quella suora della lettera bisognerebbe dedicare un po’ di tempo e non troppi pensieri! Perché ci sono momenti nella vita in cui proprio non ce la si fa, proprio no!

  60. Polifemo ha detto:

    Ma Don Ma’ ma dove lai rimorchiata una come Ester? Ma questa è da stending ovescion! E’ Messi e Maradona messi assieme e pure Totti dei bei tempi!!!
    E vai vai vai Esterina!!!!
    Nun è che me dici in quale convento o casa o “roba come se chiama” te trovi che te vengo a trovà? Ciò un sacco de cazzi che nun so a chi dà e mi sa che li vengo a dà a te. Ner senso bono s’intende. (Ma pecché ce né uno cattivo?).
    Vabbé me so messo a piagne…
    Ciao. Siete tutti belli e ve vojo bene.
    Bello’sto blog, oh!

  61. Vera ha detto:

    @ Ester – che meraviglia quello che scrivi Ester, e quanto è vero! l’amore è sempre questo che manca…perchè non facciamo tutti come te? impariamo ad amare invece di parlare d’amore, viviamolo e solo dopo possiamo dirlo, la comunione con l’altro dilata e avvicina i cuori . Polifemo hai un cuore bello

  62. fefral ha detto:

    Provo a rispondere a ribelle.
    Conosco tante situazioni come quella che tu hai raccontato. Persone che vivono per anni una vocazione, poi a un certo punto non ce la fanno più e la mollano. E una volta fuori danno tutta la responsabilità del loro “fallimento” all’istituzione che hanno abbandonato.
    Ogni storia è diversa dall’altra, ma nella maggior parte dei casi la responsabilità è da entrambe le parti. C’è da una parte una vocazione vissuta senza neppure capire bene perché, una vita in cui il centro di ogni scelta non è Dio ma tanti dei (l’approvazione dei compagni di cammino, certe sicurezze a cui ci si aggrappa perché si ha paura di mettersi in discussione ogni volta in prima persona, l’adesione a certe regole o norme con l’illusione che rispettandole si ha la salvezza garantita, il desiderio di trovare un proprio ruolo nel mondo, il consenso altrui, la stima di chi vedendoci vivere una vita sacrificata e piena di rinunce ci possa considerare un punto di riferimento …). C’è dall’altra un’istituzione che codifica certe regole, che “segna la strada” ma non è l’istituzione che deve far maturare, non è l’istituzione che deve amare e lasciarsi amare. Sono le persone che ne fanno parte. E forse l’attaccamento alle regole dei singoli è a scapito della relazione personale. Ognuno ha bisogno di amare e di essere amato, è questo il senso di ogni tipo di vocazione. Ma a volte è più facile, comodo, cercare il senso di una vita in una serie di comportamenti codificati, delegando (a chi poi? A delle regole scritte?) la propria libertà e castrando la propria affettività. Eppure quando si è in autostrada è chiaro che il senso del viaggio non è dato dai segnali stradali e dai limiti di velocità che incontriamo, quelli servono solo per evitare di finire nel fosso, o andare a sbattere, o prendere una direzione completamente sbagliata.

    Aggiungo, Ribelle, non provare a spiegar nulla a quella persona, non ti ascolterà. Se è tua amica stalle semplicemente vicino con amicizia, ascolta le sue critiche e cerca di trovarne la ragione profonda, ti serviranno se deciderai tu di entrare in quell’istituzione per evitare di fare gli stessi errori della tua amica e per aiutare chi ne fa parte ad alzare lo sguardo e non fermarsi ai segnali stradali.

  63. fefral ha detto:

    Ester, grazie di quello che ci racconti.
    Continua a star vicina così alla tua amica. Anche se deciderà di andarsene è importante che sappia che le vorrai bene comunque.

  64. Anonymous ha detto:

    Credo che Paola abbia intuito dove si trova il nodo…
    chissà ognuna delle suore, prese singolarmente, quanti altri “nodi” potrebbero raccontarci per ridurre una comunità in questo stato… :(

  65. Tres ha detto:

    Bellissimo Ester e belli tutti i commenti. Grazie, lo sapevo, che nonostante la stanchezza valeva la pena aggiornarsi su di voi. Ciao.

  66. Monica ha detto:

    Bellissime le tue osservazioni, Fefral!

  67. Scusate, se sono un pò brutale.

    Mi permetto di dissentire, questa volta, un pò con don Mauro, con Tres e con Ester.

    Mi chiedo: La suora di cui stiamo parlando aveva mai incontrato veramente Dio nella sua vita ? Qual’era la vera ragione della sua vocazione ?

    Se io fossi stato in lei (l’ho fatto più volte) andrei all’aperto in una bella notte serena, contemplerei l’immensità del firmamento e mi chiederei se ciò che sto facendo, se la vita che ho scelta, l’ho fatta per LUI (per il Dio delle galassie, dei buchi neri e dei quasar, che è lo stesso Dio che ha deciso di dare per me fino all’ultima goccia del Suo sangue e di rimanere, per me nell’annientamento eucaristico, oppure per altro: per simpatia, per comodità, per amore per l’abito etc.

  68. Tres ha detto:

    Scusami Christianus Aquileiensis, su quali delle cose che ho detto non sei daccordo? Grazie. Ciao.

  69. Mauro Leonardi ha detto:

    @Christianus
    Immagino che tu abbia letto il mio commento di 23 commenti fa cioè di 3 giorni fa. Lì – in forma un po’ da nenia, e un po’ litanica – ho voluto scrivere: “Se viene da me …. io gli do dei consigli spirituali ma poi…”. Mi sembra che tu rimanga chiuso solo in un pezzettino della prima parte della risposta che io cerco di dare a chi viene da me per chiedere aiuto, e cioè a un pezzettino del “consiglio spirituale”. Non ho voluto menzionarlo, per non rendere il tutto troppo carico, ma mi sembra evidente che la parte più importante del “consiglio spirituale” è la dimensione sacramentale (che è infinitamente di più di un “consiglio spirituale”…). Ma il problema è il resto, cioè quello che manca è il resto. Il cristianesimo, caro Aquilensis, è sviluppo di tutta la dimensione umana (lo sanno bene, nel bene e nel male, a L’Aquila…).
    Troppe troppe volte – per lo meno nel caso delle suore di clausura – manca un serio sostegno alla dimensione umana. Di comunità, di relazione. Se non hai benzina il miglior motore del mondo, non gira. E la benzina è l’amore.

    Tu ri-sposti tutto a un “discernimento” ben fatto. Forse abbiamo esperienze diverse. Non conosco la suora della lettera (posto che esista) ma ne conosco molte altre (e le aiuto a essere “fedeli”…). Nei monasteri che conosco io, prima di entrare ti fanno penare le sette camicie. E’ più facile essere assunto alla Mckinsey che diventare monaca. Non parliamo poi della valutazione “psicologica”, un vero supplizio. Per carità, hanno le loro ragioni. Ma spostano il problema. Una che vuole uscire dopo vent’anni, credi che di adorazioni eucaristiche e di passeggiate a guardare le stelle non ne abbia fatte? Il problema non è la partenza ben fatta, ma è dopo. Qui non si tratta di razzi che vanno in orbita (impulso iniziale ben dato… e tutto ok per sempre!) ma di un aereo che ha bisogno che i reattori funzionino in continuazione. E i reattori sono le relazioni dentro la comunità, l’amore. Insomma proprio quello che dice Cristo nell’ultima cena.
    Ciao.
    Grazie veramente per il tuo intervento. Sono più interessanti quelli di disaccordo che quelli di accordo…

  70. Lidia ha detto:

    ma lui magari è di Aquileia vicino Trieste!

  71. Patrizia Cecilia Giardi ha detto:

    Perchè costringere la suora a scegliere? Ha ragione don Aldo,non si prendono gli ordini per simpatia, ma per quella passione verso Dio che ti consuma e ti nutre che non ti molla un attimo!!!!!! Ma perchè non può convivere con il matrimonio? Il mio pensiero, che per buon senso non sto a riproporre, sul nubilato delle suore è identico a ciò che penso del celibato dei preti. Regole assurde. E’ solo un problema economico che la chiesa non vuole affrontare. Ho conodciuto una giovane suora, mia insegnante in 1 superiore alle Don Bosco, una illuminata, una guida, carismatica …..amava Dio infinitamente, nella vita era realizzata, poi si è innamorata di un uomo, e in maniera lacerante, siamo rimaste in contatto,ha dovuto scegliere !!!! Davanti alla scelta ha rinunciato ai voti, ma ancora oggi lei E’ una suora,con famiglia, ma nessuno potrà mai modificare ciò che lei sente di essere, votata a Dio. So che forse è difficile da comprendere, ma so che è possibile.

  72. Lisander ha detto:

    Scusi Don Mauro…Due domande. La prima proprio tecnica- Cosa intendi dire quando asserisci che “la parte più importante del consiglio spirituale è la dimensione sacramentale”? Non mi è chiaro.
    La seconda è più “personale”, ma forse può interessare anche altri …Cosa devo fare se mi accorgo di “non avere benzina” nel mio motore? Cosa devo fare se la mia dimensione umana fa acqua da tutte le parti e i rimedi “umani” (l’aiuto di un amico, il consiglio di un medico…) non sono sufficienti, anzi a volte complicano ancora di più le cose? Sì, io vorrei affrontare le mie difficoltà alla luce di Cristo…Ma non è che poi cerco Cristo solo per “riempire” i miei vuoti, per farmi sentire meno la solitudine, per rassegnarmi allo stato di fatto con l’idea della “croce” da portare avanti??? Non dovrei cercare Gesù in modo assolutamente gratuito? Insomma…Come faccio a sapere se ho sete (d’acqua), ho fame ( perchè non mangio da una settimana) o se ho sete e fame di Lui???? Non rischio di essere ipocrita o comunque di sbagliare nel chiedere aiuto anche nella Confessione? Come faccio a capire se cerco Lui perchè ho bisogno (di sentirmi meno sola, di “evadere”, di trovar conforto, di piangere sulle spelle di qualcuno) o se Lo cerco perchè è Gesù il mio Bisogno? Non so se ho spiegato bene…

  73. Tres ha detto:

    “dopo vent’anni di vita religiosa a causa di una vita comunitaria molto arida e triste si è innamorata di un uomo. “
    “Questa sofferenza e questa incomprensione sono durate anni, dopodiché… ho cercato altrove… e mi sono illusa di trovare nell’abbraccio di un uomo quella fisicità, quella “carne” di Cristo che il mio cuore desiderava e per cui avevo dato fino a quell’istante tutta la mia vita.
” @Patrizia,ciao,secondo me qui il problema non è il matrimonio. La suora non parla mai di quest’uomo se non come “un esempio”per spiegare cosa le è mancato nella sua vita di suora, nella sua vocazione, piena per tanti anni e che è ancora tutta lì. A lei è venuta a mancare “la carne di Cristo”. E Cristo o lo trovi negli altri e gli altri lo trovano in te, o diventa un ideale, bello ,alto, razzo che parte, ma non ci riesci a campare una vita.

  74. Tres ha detto:

    Piccola aggiunta: Cristo riesce a fare una cosa particolare, quando lo trovi negli altri, trovi proprio Lui, come persona, distinta, e quando cerchi Lui, trovi Lui e vieni come “rimandata” agli altri. Non so spiegare ma trovare Gesù negli altri non è trovare il lato “bello”,”cristiano”,dell’altro ma è proprio trovare Lui. Il rapporto è sempre a due.

  75. Tres ha detto:

    Lo spiegano tanto meglio sia Ester che Don Mauro. Credo che la suora non avesse “problemi” con il suo rapporto con Gesù e quindi con la sua vocazione, ma solo con quel Gesù che trovi (nel senso che dicevo qui sopra) solo nella relazione con l’altro. Scusate lo spezzettamento.

  76. Ribelle ha detto:

    ç lisander;per il primo quesito, è meglio ti risponda d Mauro, mentre sul secondo qualcosa posso dirla anche io,perchè ,hai ragione, è un problema comune,molti si chiedono:chi mi dice che la mia fede non sia solo un rifugio? E se lo fosse, LA COSA NON MI PIACE AFFATTO e PIUTTOSTO PREFERISCO NON CREDERE, che essere così “misera” nelle motivazioni(questa parte non l’hai scritta, ma succede proprio così!!).
    Beh intanto voler fare un’analisi ai raggi x della propria fede e star lì a chiedersi a che punto sono e che motivi mi spingono etc…è una pretesa razionalistica spesso fuorviante.
    Già Pascal diceva che le cose umane bisogna capirle per amarle e quelle divine bisogna amarle per capirle.E infatti una certa dose di “mistero” rimane sempre, DEVE in un certo senso rimanere,perchè noi apparteniamo ad un ordine di grandezza diversa e Dio non è spiegabile del tutto,con le nostre categorie…Poi anche se la fede contenesse una certa “consolazione”,non ci sarebbe nulla di sbagliato…a parte che Gesù ha vissuto i sentimenti umani (tutti!anche quelli dolorosi) e si è incarnato perchè evidentemente non disdegna il lato umano e psicologico dell’uomo, c’è anche una Sua parola, circa il gettare in Lui i nostri affanni per” trovare ristoro”=pace e riposo per le nostre anime…
    Ci si può porre il problema in questi termini : quando un bambino, abbraccia la madre ,è perchè capisce tutto quello che lei fa per lui…o perchè gli piace sentirsi abbracciato? io penso che la madre sia solo felice di sentirselo saltare al collo e tutte queste domande non se le ponga… come rimarrebbe se il bambino si astenesse dall’abbraccio perchè deve prima risolvere i suoi dubbi razionali? Insomma, se ci facciamo “bambini”( e davanti a Dio lo siamo proprio!) e abbiamo fiducia, queste domande continuano ad essere dentro di noi, ma pian piano…perdono forza.. e prevale l’umiltà(perchè sotto sotto, il non voler aver bisogno di consolazione…è molto un fatto di orgoglio, di voler dimostrare il proprio valore e la propria autosufficienza,almeno (o anche) in campo morale,almeno nelle motivazioni se non nei risultati delle opere etc…: ovviamente questa non è una lezioncina, ma qualcosa di vissuto che spero possa tornare utile ad altri…

  77. Ribelle ha detto:

    Leggo ora…grazie Fefral, molto bello!

  78. Tres ha detto:

    Mi piace questa cosa della mamma e del bambino e dell’abbraccio. Grazie Ribelle.

  79. Mauro Leonardi ha detto:

    @Lisander sono un po’ “cotto” quindi ti chiedo scusa se vado direttamente al sodo delle tue questioni.

    a)”Cosa intendi dire quando asserisci che la parte più importante del consiglio spirituale è la dimensione sacramentale”? Non mi è chiaro.”
    Risposta: “dimensione sacramentale” vuol i dire frequentare i sacramenti. Nel caso concreto eucarestia e confessione. Nella chiesa in genere si distingue tra confessione e direzione spirituale (o accompagnamento spirituale… si dice in molti modi). La confessione è il sacramento, e può ridursi anche al solo elenco di peccati, mancanze con conseguente assoluzione sacramentale. La direzione spirituale in genere è un colloquio tra il sacerdote (ma potrebbe essere anche un religioso/a o un laico/a) e la persona che parla con lui. Nella chiesa c’è chi preferisce fare “tutto assieme” cioè la confessione è anche il colloquio di direzione spirituale, o fare separatamente: persone diverse, momenti diversi. Ci sono i pro e i contro per le due scelte.

    b) secondo problema…:non è che poi cerco Cristo solo per “riempire” i miei vuoti ecc. ecc.
    Risposta: ma certo che cerchi Cristo per riempire i vuoti! Ma non farti questi problemi perché sarà Gesù stesso poco per volta a farti arrivare a Lui e solo a Lui. La parabola del figliol prodigo dice chiaramente che il figlio minore (quello che si converte) inizia a tornare a casa perché vuole mangiare: “a casa del padre mio c’è pane in abbondanza e io qui muoio di fame..”. Poi, al termine del viaggio, si arriva al “Padre o peccato contro il cielo e contro di te, non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”.

    c) Terzo problema …Cosa devo fare se mi accorgo di “non avere benzina” nel mio motore? Cosa devo fare se la mia dimensione umana fa acqua da tutte le parti e i rimedi “umani” (l’aiuto di un amico, il consiglio di un medico…) non sono sufficienti, anzi a volte complicano ancora di più le cose? Sì, io vorrei affrontare le mie difficoltà alla luce di Cristo…
    Risposta: questo è il tema che ho introdotto nella Discussione. Secondo me bisogna cercare di fare tutto quello che si può su entrambi i piani: sia quello meramente soprannaturale sia quello umano (in tutti i sensi).
    Ciao!

  80. Gio_prankster ha detto:

    per me personalmente qualsiasi centro dell’Opus Dei…

  81. Gio_prankster ha detto:

    scusa Paola ma cosa sono questi ‘momenti speciali’? ce ne parli un po?? Grazie!!

  82. Gio_prankster ha detto:

    quel sacerdote faceva Carimati di cognome? =P

  83. Mauro Leonardi ha detto:

    @Gio_prankster se scrivi qui è praticamente impossibile che qualcuno lo veda. Lo trovo solo io perché all’amministratore blogger manda tutti i commenti come mail.
    Ricopio la tua richiesta anche sotto, all’ultimo commento, se vuoi che qualcuno lo veda. Grazie!

  84. Mauro Leonardi ha detto:

    @Gio_prankster ricopia qui quello che hai scritto sopra come “rispondi” se no è praticamente impossibile che qualcuno lo veda. Lo leggo solo io perché all’amministratore blogger manda tutti i commenti come mail.

  85. Mauro Leonardi ha detto:

    Ma perché Gesù quando nell’orto degli ulivi soffre sino a sudare sangue – e secondo me quello è il momento di massima sofferenza per Lui – vuole la compagnia di tre amici: Pietro, Giacomo e Giovanni? Forse non aveva sufficiente vita di preghiera? O forse è lo stesso motivo per cui quando Dio vede che Adamo si accorge di essere solo nel paradiso terrestre non si lamenta con lui dicendo: “ma insomma, io non ti basto?” ma invece gli crea un aiuto che gli fosse simile, cioè la donna? (cfr Gn 2, 18-25).

  86. Anonymous ha detto:

    no

    Roberto P.

  87. Ester ha detto:

    Allora la nostra povera suora deve aver sbagliato fin dall’inizio nel suo rapporto con Dio!!! sembra essere questa la soluzione più semplice davanti al dramma (perché di un dramma si tratta) di una vita. Forse in questo modo ‘esorcizziamo’ solamente il problema e lo rigettiamo addosso a lei che mi sembra cercasse solo un aiuto.
    Mi domando chi di noi può dire veramente di conoscere quel Dio che si è manifestato in Gesù Cristo; chi onestamente non sappia che ancora tanta strada deve fare per arrivare a conoscere il suo Volto: non siamo forse tutti come quel figlio prodigo (come ricordava d. Mauro) che torna dal padre perché da lui c’è da mangiare (bella motivazione), o come quella folla che lo seguiva perché “da lui usciva una forza che sanava tutti” e poi si sbanda appena il discorso si fa serio… e poi che dire dei discepoli: scappati tutti… non siamo forse anche noi così?!
    Proprio perché è un rapporto, quello con Dio non è un’equazione matematica, né un’obbedienza servile, ma l’incontro tra due libertà… una relazione si costruisce e muta con il mutare degli anni, guai se non fosse così, forse vorrebbe dire che qualcosa non è andato per il verso giusto. La fedeltà fiorisce solo là dove matura in pienezza la libertà, io credo che sia così. E la libertà ha bisogno della concretezza della nostra vita, delle situazioni che viviamo, spesso del sostegno di chi ci sta accanto.
    Don Mauro chiedeva lì sopra perché Gesù vuole i suoi nel Getsemani? Forse quello è il momento più drammatico della sua vita, sta giocando la sua libertà fino in fondo e vuole essere sostenuto, ha bisogno degli amici, dei tre discepoli che lo hanno visto trasfigurato sul Tabor , che hanno visto la sua gloria e hanno udito la voce del Padre. Ha bisogno di tutto questo. Come me, come noi! Non siamo fatti per star soli, e neppure per lasciar soli gli altri che ci vivono accanto.
    Alla fine penso proprio che questa suora cercasse solo aiuto, cercasse un abbraccio, esattamente come quello che d. Giussani a suo tempo diede a p. Aldo! Guarda un po’!

  88. Mauro Leonardi ha detto:

    Molti di voi mi scrivono sull’indirizzo di mail pubblica perché hanno paura di sporcare la mia immagine di prete dopo quello che ho scritto in questa Discussione a proposito delle monache di clausura. Ma allora tu don Mauro non ci credi nel loro carisma; ma secondo me tu pensi che dovrebbero sparire; ma una vita così non è possibile; e via di questo passo. Io seguo da qualche anno tre o quattro monache di un monastero. Una di loro non ha il coraggio di farlo capire alla badessa e alla comunità per cui non sa bene se la seguo o no per cui non so bene se sono tre o quattro. Non vi dico qual è il monastero. Non è a Roma, non è nel Lazio, non vi dico di che ordine è. Mi ci sono trovato senza averlo cercato. Diciamo che quando potevo scappare non l’ho fatto. Perché? un po’ per superbia (mi piacciono le cose difficili), un po’ per vanità (in fin dei conti poter dire di essere direttore spirituale di monache di clausura può anche avere del fascino in certi ambienti), un po’ – diciamolo pure – per amore di Dio. Il primo anno e mezzo era tutto molto affascinante. Visto da fuori un monastero può essere incantevole. Il coro, i canti, le grate, l’idea che queste sono toste. Tutte cose che tu non le vivresti però ti danno l’idea di appartenere a un mondo eroico. Ecco questo è il problema. Perché la santità non è eroismo ma su queste povere donne buttiamo addosso questa etichetta e – per carità – pure a loro per i primi anni piace molto. Ma è una sciocchezza. Nei prossimi giorni – ve lo prometto – pubblico sul blog un paio di cose veramente belle di Ratzinger/B16 sui santi come persone normali. Un monastero non è grande per la povertà, le penitenze e le veglie eucaristiche. Un monastero è semplicemente cristianesimo senza vie di fuga. Il cristianesimo è amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi. Punto. Cosa facciamo noi “nel mondo” di fronte a questa cosa? Scappiamo. Ci scegliamo chi amare, se non ci va bene lo cambiamo, se no ci allontaniamo noi. Stiamo zitti. Facciamo sport, letture, internet, cinema, e così via. Loro invece si obbligano a amare proprio quelle lì che sono lì con loro. Ovviamente non ci riescono. Per questo una volta che ci metti il naso dentro senti una gran puzza. Ma – ragazzi – è la vita, mica è un profumeria. Io all’inizio andavo via avendo l’idea di tornare dal paradiso. Poi dopo un anno ho detto: ma in che casino mi sono messo?! Adesso sono in terra. Sulla terra. La pura vita quotidiana senza trucchi. Vai al teatro e passi dietro le quinte lasciando la platea. Amare Gesù è amare gli altri. Per amare Gesù bisogna fare così. Loro non ci riescono o ci riescono: tale e quale a noi. Solo che non hanno vie di fuga. Bisogna aiutarle a fare questo, per quanto è possibile, da entrambi i punti di vista: umano e soprannaturale. Facendo quello che si può. Questo sforzo attira la Trinità sulla terra. Questo sforzo si chiama cristianesimo.

  89. Lidia ha detto:

    a me a volte sembra che Dio sia, nella mia vita, qualcosa tipo un piano B. cioè, se c’è qualcosa che mi fa soffrire penso “eh, devo accettarlo, Dio lo permette allora significa che è per il mio bene, sicuramente troverò qualcosa per cui ringraziare”, un po’ come a voler “discolpare” Dio per “aver permesso” che qualcosa di brutto mi accadesse. Allo stesso tempo penso “ma è da falliti non avere un buon lavoro, non avere il fidanzato, essere separati, avere pochi amici, non essersi ancora laureati…” (per dire alcune situazioni tipiche in cui uno si sente “fallito”) e allora, per ripiego, prego
    Stamattina pensavo che in realtà da una parte è giustissimo pregare: fa’ che trovi lavoro, fa’ che trovi il fidanzato, fa’ che mi riappacifichi con mio marito, dall’altra è giusto mettere i mezzi umani perché ciò succeda. Ma soprattutto Dio non si scandalizza se il primo impulso è di dire ah ma perché e vedere Dio come uno che prima dà una fregatura e pretende anche che noi siamo felici delfatto che cl’abbia data e Lo ringraziamo di questo.
    In realtà è vero che tante cose che ci fanno soffrire poi si rivelano provvidenziali. Ma io dubito sempre (cioè mi fa piacere per loro ma dubito dell’efficacia pedagogica) dei racconti deisanti in cui sembra che fossero sempre felici e ringraziassero Dio di tutto, delle frasi come “la Croce è gioia”. Cioè: non che sia sbagliato fare così, anzi. Ma bisogna capire perché: Non è che Dio “pretende” da noi a gioia, e, magari, si arrabbia pure se non siamo felici nel dolore. Io non credo. Credo che Dio sicuramente voglia che noi Gli diciamo “Guarda, io soffro, ma ho fiducia in Te. Nonostante tutto so che non mi abbandoni. Ciò non mi fa soffrire di meno, e non ti posso dare una gioia che non c’è, ma posso darti il mio desiderio sincero di ringraziarti (anche se non ce la faccio) e la mia fiducia (anche se mi sento tradito dalla vita)”. Io da qualche tempo a questa parte penso che la preghiera di desiderio (vorrei pregare bene, amare bene etc) sia bella: e non è un ripiego per falliti della preghiera.
    E per la nostra suora: io davvero non saprei che dirle. Prega e basta no. Aiutarla in modo umano, ma come? Cambiarla di convento? Anche perché dirle “da adesso cerca di rendere questo convento pieno d’amore” è come rimandarla a casa con un dovere in più, e pensare che le altre suore a settant’anni inizino a farlo..boh. Boh boh boh.

  90. Paola ha detto:

    @Lidia, non possiamo avere noi la risposta alla vita della suora. Don Mauro ci aiuta a capire che ognuno vive al ritmo dei doni di Dio, in modo personalissimo; ma guai a confidare in uno schema, un convento, un matrimonio, un lavoro, pensando di aver capito quello che Dio vuole da te! Dio vuole tutto e ogni giorno ti va spiegando il poco che puoi capire per vivere le 24 ore. Poi la vita va presa, afferrata, con scelte coraggiose che ognuno assume. Insomma, il mondo è di chi se lo piglia. E Dio lo ha creato per noi.

  91. Lidia ha detto:

    @ Paola. è vero però io mi chiedo sempre, e allora, i celebrolesi? Le persone che una vera scelta non ce l’hanno mai avuta? Chi, il mondo, altro che pigliarselo….certo, anche nelle situazioni più estreme, di solito, è possibile fare una scelta: accetto questa situazione con amore. Però secondo me dire che il mondo è di chi se lopiglia, se da una parte esprime una profonda verità, dall’altra fa somigliare il cristianesimo al calvinismo: se fallisci, sei un fallito anche agli occhi di Dio. Secondo me Dio accoglie e ama anche chi le scelte non le fa. Insomma, io credo – Dio mi perdoni se dico un’eresia- che, al contrario di quanto afferma il VT, Dio i tiepidi non li vomita. penso che, piuttosto, li aspetti. Con ciò non elogio la codardia, o l’acccidio, anzi. è chiaro che non possiamo stare passivi ad aspettare che Dio ci risolva i problemi. e talvolta i problemi ci sono solo affinché noi ci proviamo a risolverli – e ammettiamo di non riuscirci, o invece magari sì, e allora ben venga. Ma io penso sempre che l’accento su ciò che dobbiamo fare noi debba venire mitigato dall’accoglienza di ciò che fa Dio. Altrimenti più che cristianesimo mi pare un tour de force…non so se mi spiego…

  92. Paola ha detto:

    @Lidia, niente calvinismo. Afferrare la vita è vivere in pienezza tutto ciò che ti trovi davanti, sofferenze incluse che a volte fanno meglio di tanti successi. Questo è prendersi la vita. Esserne protagonisti. Ho poca esperienza di celebrolesi ma posso dirti che mia zia che ha 4 figli, 1 in cielo, 1 distrofico di 31 e 2 sani (39 e 37 anni) mi dice che il più felice di tutti è Stefano, mio cugino distrofico, che vive in un letto da quasi 25 anni.
    Vivere in pienezza, avere il gusto della propria vita, non vuol dire essere una top model o un uomo d’affare.
    Niente tour de force, ma vivere al passo di Dio e, amare e fare ciò che vogliamo.

  93. Vera ha detto:

    @ Paola conosco un giovane di 42 anni ammalato di una rara malattia degenerativa dall’età di dieci anni… adesso legato alla sedia a rotelle cieco e con mille difficoltà per alimentarsi, felice come non mai per essere in grado di offrire qualcosa al Signore le sue sofferenze per la salvezza< di altre anime. Ascolta cd audio della Parola di Dio, la madre gli legge libri di santi, e lui alle 17 chiede di essere lasciato solo per pregare liberamente. Io l'ho visto dopo questa ora di preghiera, il suo volto splendente, i suoi occhi senza vita pieni di luce, e lui rinvigorito e dentro, pieno di altro coraggio e vigore . Credetemi mi fa sentire grata per godere delle sua presenzza, lui che ringrazia la sua malattia perchè dice: mi ha insegnato ad amare la vita. Non vede l'ora di librarsi libero come un gabbiano , libero dalla sua gabbia (corpo) per volare senza impedimento verso la piena autonomia e la pienezza dell'amore.E' scuola di vita stare davanti a lui come davanti ad un crocifisso. Mi piace ciò che dice padre Mauro, continuare ad andare avanti, essere santi è dire SI ogni giorno e ad ogni situazione nel quotidiano, nel presente perseveranti fino alla fine. Il SI della chiamata degli apostoli, pronto e subitaneo, senza ripensamenti, nella prova, nella paura, nel dubbio, coerente fino alla fine.

  94. Paola ha detto:

    @Lidia quando dici “secondo me Dio accoglie e ama anche chi le scelte non le fa”, stai attenta. Scegliere di non scegliere è già una scelta.

  95. Patrizia Cecilia ha detto:

    @Tres: il punto , a parer mio , è proprio questo, il matrimonio. La suora è lacerata e il dubbio si è insinuato perchè il dato di fatto di amare un uomo ha insinuato il dubbio di non amare più Dio. Io penso che siano due sentimenti che possono convivere ciascuno nella propria pienezza.L’uno non esclude l’altro,e la suora non sarebbe lacerata se avesse potuto vivere il suo rapporto con Dio e con l’uomo in comunione con la Chiesa. Sarebbe stato un valore aggiunto dell’anima. Per il resto, a tutti una serie di domande: Scegliereste o no di far nascere il figlio con handicap grave? Potreste sopportare o no la morte di un figlio annunciata dal grave handicap? Potreste sopportare di non sapere che fine fa il figlio con handicap alla vostra morte? @Mauro. ammetti, facile dire di SI ogni giorni quando non sei nella mischia…….La tua vita è protetta dalla Chiesa……. il tuo quotidiano è diverso….. Tu puoi solo sentirlo raccontare,ma ti assicuro che viverlo è tutt’altra cosa……So perfettamente che non dipende dalla vostra volontà…….Ma il dato di fatto è questo……

  96. fefral ha detto:

    patrizia, certo che i due sentimenti possono convivere, la suora invece che far la suora poteva sposarsi e vivere con pienezza il rapporto con Dio e con suo marito. In alternativa può amare castamente l’uomo di cui è innamorata di amore di amicizia e continuare a essere suora.
    Ma se tu, sposata, di innamorassi di un altro uomo, non ti sentiresti ugualmente lacerata?

  97. fefral ha detto:

    Paola, quando ti leggo avverto come se ci fosse da parte tua l’intento di voler catechizzare a tutti i costi, di voler sempre scrivere qualcosa di edificante. Spesso sono d’accordo con i contenuti di quello che scrivi, ma i toni mi infastidiscono un po’. Scusami se te lo dico così, probabilmente è un problema di stile. Purtroppo so che è anche un mio limite: sono abbastanza insofferente quando mi trovo di fronte persone che vogliono spiegarmi dov’è la verità, se voglio un direttore spirituale me lo cerco altrove, non in un blog (e aggiungo: me lo cerco uomo, e prete, ho già dato abbastanza con direttrici donne e laiche)
    Aldilà di questo, tra le righe di quello che scrivi si percepisce una vita piena e ricca. Sono sicura che però anche tu hai i tuoi momenti in cui non riesci a vedere il bicchiere mezzo pieno, non posso pensare che sei sempre così positiva, felice, innamorata come racconti. Oppure assumi qualche sostanza dopante?
    Perdonami per l’affondo, piuttosto che continuare a irritarmi leggendo i tuoi commenti ho preferito scrivertelo. Un abbraccio!

  98. Vera ha detto:

    @ fefral è proprio come dici, se decido di sposarmi per amore e dichiaro amore eterno, sento una lacerazione profonda se il mio cuore cammin facendo decidesse di amare un altro, ma solo se realmente decidessi di rimanere fedele al mio matrimonio. Insomma non è lo stesso anche per la suora? ha deciso di amare Dio tutta la vita, so che deve essere difficile per lei e non la giudico , non riesco proprio a condannarla, ma sento compassione per lei. Il SI quotidiano è non è un affare semplice ma bisogna provarci sempre… come quando si da la parola a qualcuno e si vuole essere coerenti, con se stessi prima e poi con gli altri, per essere e vivere nella Verità. @ Patrizia Cecilia per padre Mauro non è sicuramente semplice come per nessun’altro dire il SI quotidiano, nessuno è protetto nè tanto meno dalla Chiesa, (la Chiesa siamo noi stessi). anche padre Mauro deve combattere con il proprio IO e le difficoltà della sua missione e anche lui avrà di certo i suoi piccoli momenti di stanchezza, essere sacerdote e sacerdote vero comporta tanto lavoro su se stessi per essere convincenti e catturare i cuori e le anime a Dio. Dobbiamo sostenere padre Mauro e tutti i sacerdoti soprattutto quelli che vogliono fare sul serio con Dio. Nel tuo piccolo prova ad essere coerente al Vangelo e vedrai tu stessa quanto è difficile senza la grazia di Dio altro che chiesa!

  99. Tres ha detto:

    @Patrizia, rileggo quanto scritto dalla nostra suora e continuo a pensare che quell’uomo è solo “il linguaggio” con cui esprime il suo dolore che, secondo me, è tutto dentro alla sua vocazione di suora che è ancora tutta lì, integra, dolorante e acciaccata, ma integra. Si è innamorata perchè cercava, giustamente, amore e non chiacchiere sull’amore. Non parla di matrimonio, non parla di quello che quell’uomo le potrà dare, ma solo che le fa provare quello che lei voleva nella sua vocazione: carne di Cristo. Questa storia mi fa chiedere non se sia giusto per le suore non sposarsi o no. Ma mi fa chiedere: “Hey, tu, Tres, non è per caso che c’hai qualcuno intorno che vorrebbe un po’ di carne di Cristo in te e non la trova perchè sei tutta presa da…?” Ciao Patrizia.

  100. Tres ha detto:

    @Patrizia per quanto riguarda le altre domande, io fino ad ora ho risposto “si” ma allontana da me questo calice e pure di corsa, se possibile. E quando m’è toccato il calice e un po’ di feccia, per ora, sono riuscita a dire dei striminziti si. Devo dire che sono stata fortemente sostenuta da persone che conoscevo anche poco. Andrebbero messi tutti nella discussione sui buoni. Per oggi pomeriggio, sul fatto che io dica ancora “si”, non garantisco. Vediamo.Ciao ancora

  101. Paola ha detto:

    @fefral, intento di catechizzare; toni che infastidiscono; irritazioni; preti e direttrici donne e laiche; sostanze dopanti. Un gran puzzle di provocazioni. Perché le hai scritte? Ci ragiono e poi ti scrivo se ti perdono.

  102. fefral ha detto:

    Paola, scrivimi anche se non mi perdoni, ti ho già chiesto scusa per averti scritto le sensazioni che provo leggendoti, credo che buona parte di queste sensazioni dipenda da me, ma non solo.
    Non volevo provocare, infatti è da un po’ che ci penso se scriverti oppure no. Poi ho deciso di farlo, tu fanne quello che vuoi, prova a vedere puoi trovare qualche spunto per riflettere un po’ oppure ignora pure quanto ho scritto.
    Mi viene solo una domanda da farti, ma non rispondere se non ti va: a te non succede mai di sentirti davvero a terra senza neppure la forza di alzare lo sguardo? Schiacciata dalla vita, da un dolore, da un (magari apparente) fallimento?
    A me è successo tante volte. E in quei casi consigli come quelli che dai tu (“Afferrare la vita è vivere in pienezza tutto ciò che ti trovi davanti”) hanno avuto l’effetto contrario. In qualche caso mi hanno anche fatto reagire in maniera arrabbiata, arrabbiata anche con Dio colpevole ai miei occhi di aver permesso certe situazioni, certi avvenimenti che io non riuscivo ad accettare, a capire.
    In momenti così trovarsi qualcuno che ti dice “devi vivere al passo di Dio e, amare e fare ciò che vuoi” non aiuta per niente.
    A volte non si è in grado di scegliere, Paola. A volte possiamo solo aspettare che passi la nottata.

  103. Vera ha detto:

    @ fefral ricorda non sei mai da sola…. e tutto passerà, bisogna attendere con fiducia o almeno provarci… io sono con te con la preghiera ti sarò vicina e se ancora stai male ancora, abbi pazienza ancora un pò risorgeremo con Cristo

  104. Mauro Leonardi ha detto:

    Vera, mi sono portato tutto il giorno in cuore questa cosa bellissima

  105. Mauro Leonardi ha detto:

    @Patrizia: o avuto un paio di giorni un po’ difficili perché sono andato a trovare delle carcerate.
    Trovo che scrivi: “@Mauro. ammetti, facile dire di SI ogni giorni quando non sei nella mischia…….La tua vita è protetta dalla Chiesa……. il tuo quotidiano è diverso….. Tu puoi solo sentirlo raccontare,ma ti assicuro che viverlo è tutt’altra cosa……So perfettamente che non dipende dalla vostra volontà…….Ma il dato di fatto è questo……” . Beh vuoi sapere la verità? Spesso spesso lo penso anch’io, di avere una vita fortunata. In verità credo che ciascuna vita sia esattamente uguale all’altra per difficoltà: non penso che la formica abbia una vita più semplice di un elefante. Credo che ciascuno di noi possa vivere il proprio istante con pienezza o no. Se lo vive con pienezza è fortunato perché – almeno così succede a me – trova un sacco di gente che lo ama, se no no.
    Guarda questo blog. ormai ho imparato: se scrivo un commento tanto per scrivere, nessuno lo legge e le visualizzazioni diminuiscono. Se invece metto dentro tutto me anche alle 22.47 la gente mi intercetta e ci incontriamo.
    Per questo Paola, credo che Fefral abbia fatto bene a scrivere quello che ha scritto: perché lo sente. e io sono sicuro che tu l’hai capito.
    ‘Notte!

  106. fefral ha detto:

    Vera, grazie… ma non parlavo di me, della mia nottata. Non ora, almeno! Comunque grazie, sei stata molto cara.
    Scusatemi tutti, non ho tempo per scrivere e cercare di spiegare meglio dei messaggi che rileggendo mi sono resa conto essere stati un po’ pungenti.
    Volevo solo ribadire a Paola che sono sostanzialmente d’accordo con le cose che scrive. Solo che quando una persona sta sott’acqua non puoi starle a spiegare quanto è bello nuotare nel mare pieno di pesci. Quella sta affogando! E probabilmente se riesci a tirarla fuori dall’acqua prima che voglia tuffarsi di nuovo ci vorrà parecchio tempo. E allora solo sentire parlare di mare magari le provoca la nausea.
    A me è successo sia di stare sott’acqua e sentire dall’altra parte l’elogio del mare, sia di stare dall’altra parte ed essere convinta di aiutare chi stava affogando spiegandole quanto è bello nuotare. E pensandoci bene, è questa seconda cosa che mi irrita di più.

  107. Paola ha detto:

    Non ho capito, invece. Ma ci ragiono.

  108. Mauro Leonardi ha detto:

    Penso che tu Paoal abbia capito che Fefral abbia scritto quello che sente quando ti legge. Tutto qui. Grazie Paola. Scrivi cose belle con il tuo stile.

  109. Mauro Leonardi ha detto:

    Penso che tu Paola abbia capito che Fefral ha fatto bene a dirti come si sente quando legge le tue cose. Tutto qui.

  110. Paola ha detto:

    Fefral, il blog nasce per scambiarsi idee. Conditio sine qua, come in ogni relazione personale, è il rispetto profondo dell’altro. Non è essenziale che tu sia d’accordo con le mie idee. E’ la ricchezza dell’umanità la diversità. Sì, invece, che tu ti fidi di quanto scrivo. Non sono un prete, né una direttrice laica, né una catechista. Intervengo portando la mia personalità; come tu porti la tua. Ambedue donne, mogli, mamme, professioniste e amiche del blog. Il tono che hai usato negli interventi di ieri mi ha ferito e mi è sembrato inopportuno. Ma mi fido di te e di me e mi sembra davvero un meraviglioso modo per ricominciare una relazione tra noi. Pace fatta.

  111. Ribelle ha detto:

    Ora non ho tempo per scrivere, ma se mi chiamo Ribelle, mi sa che sono stata spesso sottacqua come scrive Fefral e allora si, ti fa male davvero tutto (e non perchè gli altri siano cattivi o vogliano catechizzare,) ma perchè sei “senza pelle”,senza difese per affrontare ciò che vivi a livello esteriore, ma molto più interiore(perchè quello lo sai solo tu, non si può condividere o solo non ci si riesce o solo non trovi nessuno a cui interessi darti una mano davvero…)…ma scriverò appena posso, è un bellissimo argomento…

  112. lidia ha detto:

    Io penso di avere un grosso limite cioè che quando qualcuno mi dice “la vità e bella e bisogna goderne” non posso fare a mesno di chiedermi, ma perché io la sera posso andare a letto serena, mentre decine di persone nel mondo si coricano per strada, in baracche di fortuna, nei campi profughi? perché io sì e loro no? Allo stesso tempo, perché c’è gente buona (manco a dire empia) a cui va tutto bene (almeno così sembra da fuori) e tanta gente altrettanto buona a cui va tutto male, e altro che gioia? Che cosa posso fare per aiutare tutta quest’umanità dolente?
    A questo pnto la risposta è una: godere davvero della vita, senza chiedermi i se e i ma, e sfruttare la fortuna che ho per fare del bene.
    Allo stesso tempo a volte quando sono tanto triste mi viene da dire, ma come!sei triste, anche se sei così privilegiata…! e però sì, sono triste..
    Insomma sono tante contraddizioni, no?
    Mi sembrano un po’ le contraddizioni di tutti – e quelle che ci portiamo qui nel blog.
    Con Gesù sulla Croce è più facile rispondere ai tanti subbi e interrogativi. Senza di lui – non saprei proprio cosa dire…

  113. fefral ha detto:

    ma certo che mi fido di quello che dici, Paola :-)
    Come ti ho scritto sono i toni che hai usato e non i contenuti a non trovarmi d’accordo. Come d’altra parte sono i miei toni ad averti ferita e me ne scuso ancora: non sono una molto brava ad addolcire la pillola. Ho avvertito fastidio e ho comunicato questo fastidio (in maniera, lo riconosco, un po’ grezza).
    L’ho capito da sola che non sei un prete, nè una catechista, nè una direttrice laica :-) … è solo che a volte sembra un po’ che ti metti un gradino più in su ad insegnare agli altri. E a volte questo modo di fare non porta molto lontano. Ma so che la stessa cosa succede a me, e non raramente.
    E poi, devo dirla tutta per essere giusta, tu non dai sempre quest’impressione, hai scritto delle cose molto belle quando per esempio hai raccontato di tua figlia con l’otite.
    Grazie per l’offerta di fiducia e di pace! Ciao!

  114. Paola ha detto:

    :-)

  115. Polifemo ha detto:

    … nun sono un prete… lo so che nun sei un prete… ahò sannate avanti così, guardate che don Ma’ s’arrabbia e cià ragione!
    Eddai su… tornamo a la discussione de sto blog.
    Paola te vojo bene pure a te nun solo a Fefral.

  116. fefral ha detto:

    polifè, nun te preoccupa’, so’ cose di femmine! Un po’ come la storia delle renne o quella robba là. Se noi femmine nun ce scanniamo un po’ ogni tanto poi nun potemo fa ppace, no?
    E se don Ma’ s’arrabbia peggio pe’ lui :-)
    Mo’ pero’ devo anna’ a puli’ er pesce, che oggi è venerdì de magro ed è un casino che non so mai che cucinà in quaresima!

  117. fefral ha detto:

    finalmente sono riuscita a scorrermi un po’ tutti i commenti, in questi giorni li ho letti dalle mail magari mentre ero per strada e quindi mi sono persa un po’ l’organicità della discussione.
    Leggendo tutto, leggendo le cose che cose che scrive don mauro su alcuni monasteri di clausura, e i racconti di vocazioni in crisi, l’amica di ribelle, quella di ester che sta decidendo se continuare, la suora che scrive a don Aldo (mi chiedo tra l’altro, ma una suora come trova occasioni di innamorarsi?) mi vengono in mente alcune parole che forse non c’entrano molto o forse sì, che mi ha detto qualche tempo fa un sacerdote mio amico. Il cristianesimo non è vincente.
    A proposito delle suore che non accendono il riscaldamento o non si curano “per povertà” però vorrei anche ricordare che il cristianesimo non è idiozia! Possibile che non ci sia qualcuno a cui ‘ste donne devono obbedire che abbia un po’ di sale in zucca?

  118. fefral ha detto:

    lidia, la tristezza è una cosa normale. Ed è inutile dirci che siamo dei privilegiati. Io quando sono triste, se non sono anche incazzata perchè in quel caso è più difficile, ho imparato ad aspettare. Costringersi a essere ottimisti, positivi, in certi momenti è inutile. Però poi passa, passa sempre. E un bel pianto non ha mai fatto male a nessuno, anzi, rende anche gli occhi più belli!

  119. Mauro Leonardi ha detto:

    Fefral la cosa è molto più complessa di quello che sembra. Un insieme di senso di colpa e di senso di responsabilità. Non c’è nessuno che le “obbliga” se non il fatto di pensare che andando contro una regola si va contro Dio. Ma dimenticano che Dio vuole che ci amiamo gli uni gli altri come lui ci ha amato, cioè dando la vita. Per questo – ti sembrerà strano – bisogna imparare da san Giuseppe che Matteo chiama “giusto” proprio quando decide di non obbedire alla legge di Mosé che lo obbligava a denunciare la moglie che era incinta di “qualcuno” che Giuseppe non conosceva… cioè evidentemente un’adultera, dal momento che Maria non poteva dire nulla di quanto accaduto con l’angelo Gabriele. Eppure Giuseppe crede più nell’evidenza della bellezza (della santità) di Maria che nell’evidenza del suo essere adultera… Deve affrontare un grande dramma interiore per il quale sente di essere lui stesso peccatore, ma preferisce questo al condannare la sposa. Ebbene ciascuno di noi deve affrontar questi drammi per amare Dio amando gli altri. E chi non lo fa preferisce chiudersi nella prigionia di una legge: voglio avere un tetto sulla testa anche se è quello di una prigione, piuttosto che stare libero in mezzo alla strada dove mi può succedere di tutto….
    Chissà se mi sono spiegato: forse sono stato troppo sintetico!

  120. Vera ha detto:

    @padre Mauro…. infatti, il cristianesimo dei monasteri, sembra rimasto alle regole, (non so se mi spiegherò bene)penso al discorso tra S. Paolo e S. Pietro riguardo al cibo che contamina dentro, la carne che Pietro non mangiava per non contaminarsi ecc….. andare oltre significa pensare alla sostanza all’amore come ha detto più importante di qualsiasi altra regola e Gesù non faceva la stessa cosa guarendo di sabato? invece tante volte si sperimenta il fariseismo, tutto perfetto fuori e tanta ipocrisia. Andare oltre… ama e fai ciò che vuoi.

  121. Mauro Leonardi ha detto:

    Ovviamente nei monasteri si trovano anche tante persone liberissime e splendide. In ogni luogo c’è di tutto. Victor Frankl racconta nel suo “Uno psicologo nel lager” di essere stato sfamato da una SS che gli ha regalato la sua porzione di pane. Per questo mi dà tanto fastidio se queste poverine vengono caricate di un’aspettativa di eroicità che poi le costringe a esigersi di essere eroiche. Io credo che un monastero di clausura sia come un microscopio dove si è costretti a vivere la vita cristiana nella pura essenza. Un po’ come la grappa rispetto al vino. Ma naturalmente l’esito finale spetta a ciascuno.

  122. Mauro Leonardi ha detto:

    @Chiarisco un po’ meglio il mio pensiero.
    Una ragazza quando entra in monastero viene innanzitutto abituata ad essere una monaca: l’abito, gli orari, le tradizioni; magari le insegnano tantissime cose e la loro testa è tutta coinvolta da questo, ma il cuore e il corpo non ci sono…. E questo alla fine crea disagio, spacca la persona; non possono permettersi di essere fragili o limitate perché loro sono ‘degli eroi’, chiamate i ‘parafulmini’ del mondo (capita spesso loro in parlatorio di essere definite così dalla gente che va a trovarle e le ammira!). Ma loro sanno fin troppo bene di non essere capaci di parare proprio niente. Quello che le aveva avvinto era davvero tutt’altro! Credo che sia questa spaccatura che alla fine crea distanza anche nelle relazioni all’interno del monastero. Quando non si è liberi di essere quello che si è, si diventa guardinghi e sospettosi nei confronti di tutti. E le relazioni diventano fredde, vuote, superficiali. A quel punto arriva la crisi – e sono passati 15/20 anni. Molte non ce la fanno e qualcuna invece ce la fa. Ce la fa, a fare cosa? A cercare il proprio vero volto, chi è quella persona che è lì. Nella profondità di sé, anima e corpo. Un’esigenza che alla fine si impone malgrado le migliaia di sovrastrutture che la vita claustrale mette loro addosso. Perché seguire il Signore Gesù significa innanzitutto amare quel nostro volto che Lui scorge in noi. Al Padre interessa e interessa molto il nostro vero volto.

    Ora, questo che può essere detto di una monaca di clausura, in realtà non può essere detto anche di un qualsiasi cristiano, sia che viva il celibato o che si sposi? Le migliaia di sovrastrutture non ci sono ovunque? Alcune mortificano il corpo, altre mortificano lo spirito.

    Ecco forse -questo volevo dire – nella vita di una monaca di clausura tutto ciò è solo più netto, chiaro, tremendo (forse), inesorabile. Nel bene e nel male.

  123. Ester ha detto:

    Scusi don Mauro ma non siamo forse noi che chiamiamo queste persone ‘parafulmini’ del mondo? Perché lo facciamo? Perché abbiamo bisogno di qualcuno che ci ‘pari’, a cui delegare quello che evidentemente noi chiamiamo dolore, incomprensione?
    Mi domando questo e me lo domando all’inizio di questa settimana in cui andiamo a celebrare il mistero della Pasqua: ma non è forse vero che parte di ciò che ci è stato insegnato è che il Padre voleva il sacrificio del Figlio, per ‘placare la sua ira’? Almeno la mia nonna parlava in questi termini… e queste cose le aveva imparate al catechismo! E quanto di tutto questo c’è dietro alle nostre mortificazioni: facciamo penitenza per imbonire questo Dio!!! e siccome alla fine non siamo capaci allora è arrivato Gesù Cristo! Non vi sembra un po’ riduttivo di noi e di Lui?!
    Forse non è proprio così: c’è una parabola nel vangelo, quella dei vignaioli omicidi in cui si dice che dopo che il padrone ha inviato un sacco di servi e sono stati tutti uccisi, decide di mandare il Figlio pensando tra sé “avranno rispetto per mio figlio”…. Altro che la sete di sangue!!! Ma noi siamo proprio sicuri di vivere il cristianesimo?!
    Scusate mi sono un po’ accaldata nello scrivere… buona settimana santa a tutti!

  124. Paola ha detto:

    “Quando non si è liberi di essere quello che si è”, come scrive don Mauro, si diventa tristi, o usando la metafora di Fefral, si vive sott’acqua. Non si riesce a vivere nel sogno che si è intravisto prima. Non si riesce a vivere nel convento, nel matrimonio, cogliendo ogni istante come un’opportunità per trasformare quel sogno in un progetto grande. Ho poca esperienza di conventi. Ma lo sguardo della mia amica suor Benedetta mi scalda il cuore e mi sostiene quando da sola non ce la faccio. E lei è libera di lottare per quello che è. Non senza fatica. Perché credo che, nei pochi anni di questa vita, la lotta principale consista nel non sprecare il tempo vivendo senza felicità. Come? La mia amica Marta, alla vigilia del mio matrimonio, mi ha detto: non andare mai a dormire senza aver chiarito con lui cosa ti fa soffrire, cosa vorresti di più per essere felice. Sì, dobbiamo convincerci che – anche senza sostante dopanti, Fefral – si può essere e si deve essere felici su questa terra. E, certo, ne ho passate e ne passerò di ore a discutere; a incastrare i miei sogni con i suoi, con quelli dei nostri figli; con quelli del mondo intorno. Ma questa è la lotta, quella buona. Quella che ti serve per arrivare alla meta. Da portare avanti ogni giorno, con la fatica di trovare le strategie per arrivare alla sera con un pezzetto di felicità nel cuore in più rispetto a ieri. Che può essere, come dice una mia bimbetta, viva la mamma che fa il mondo bello! Anche se lei, la mamma, è davvero distrutta. Tutto questo per evitare che, come la suora di Padre Aldo, dopo 15 anni ti accorgi di essere entrata dalla porta sbagliata.
    Spero Fefral di aver risposto alla tua domanda. Poi abbiamo tutto il resto della vita del blog per chiarirci!

    Stasera, su Rai 1, c’è un nuovo film sulla vita di Maria; dicono che sia una meraviglia…

  125. Mauro Leonardi ha detto:

    @Ester – e mi scuso con chi non è interessato a una spiegazione tecnica come quella che sto per fare-.
    Purtroppo gran parte del problema è collegato con la traduzione di un versetto di san Paolo. Ecco di seguito la vecchia traduzione: “Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa”. Detto così sembra che al sacrificio di Cristo manchi qualcosa, e allora meno male che ci sono io che faccio astinenze e digiuni!
    Invece guarda che bella l’attuale traduzione della Cei: “Ora io sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la chiesa”. Prospettiva ribaltata! Poiché il vangelo viene osteggiato, chi lo predica, lo testimonia, lo vive, riceve sofferenze ma queste sofferenze, poiché Gesù vive nell’apostolo (sia esso Paolo o ciascuno di noi) sono sofferenze di Cristo non mie. “Completo nella mia carne” significa dunque semplicemente che Cristo vive più completamente dentro di me. Non perché io cerco le sofferenze, ma perché io cerco il vangelo, che altro non è se non vivere l’amore del mandatum novum. Le sofferenze sono delle conseguenze non volute e – fino a quando è possibile – sfuggite, della ricerca dell’amore.
    Grazie Ester!

  126. Lidia ha detto:

    don Mauro, perché non ripubblica questo commento nella discussione sul digiuno? è molto bello, e penso che faccia bene a tutti una discussione sul tema.

  127. Lidia ha detto:

    Ciao Paola. sai,io penso che ci siano due atteggiamenti complementari. IL primo è di chi dice “si può – e si deve – essere felici su questa terra: perciò mi sforzo, cerco di donare gioia, lotto per amare di più e meglio, il mondo,la vita sono belli” e quello di chi dice “bello tutto ciò, ma quando hai un marito alcolizzato, altro che sogni, o semplicemente quando sei tu che non vuoi più lottare, sforzarti,tutte queste belle parole non servono a nulla”.
    Io penso che in ogni momento della nostra vita dobbiamo aver presenti entrambe le cose. per me a volte sarà bene dirmi, “Lidia,su!Il mondo è bello, ma dobbiamo sforzarci davvero, la vita è bella, ma non si può star seduti ad aspettare che arrivino le occasioni, bisogna cercarle”. altre volte, dirmi semplicemente “non ce la faccio più. davvero, ci provo, mi sforzo, ma sono invincibilmente triste, i prblemi, le ansie mi opprimono”. Senza sensi di colpa perché “dovrei essere felice”. Non lo sono, e basta, inutile sforzarmi di.
    perciò dico che i due atteggiamenti sono complementari: ho bisgno di entrambi per guardare la realtà oggettivamente: sono infelice per X motivo oggettivo, ma so anche che posso cercare di essere felice. Ma non è una “colpa” se non ce la faccio.
    TI spiego. ho varie amiche tristi perché non sono fidanzate. Io dò i soliti consigli: fatti bella, esci, prego per te perché trovi il fidanzato, ma innanzi tutto l’impotante è mettere i mezzi umani, etc. Ci sono quelle che reagiscono bene (escono, si divertono, hanno mille interessi) e quelle che, invece, ci stanno davvero male e magari hanno un lavoro opprimente, in ambienti chiusi. Una lavora in Svizzera e dice in tutta la città non c’è un ambiente sano, di persone giovani da conoscere, sono tutti chiusi…e lei è una bella ragazza socievole, ma non sa che fare. Ora, la storia del “Ogni giorno pensa a quanto è bella la vita” da una parte vale, perché appunto uno deve uscire, distrarsi, e nessuno ha mai trovato marito/moglie stando a casa a piangere; dall’altra neanche puoi arrabbiarti e dire “e che cavolo, non capisci che la vita è bella” quando una persona ti dice “non ce la faccio più, vorrei cambiare città, tornare in Italia, ma c’è crisi, qui ho un lavoro sicuro, etc.”. Piano piano io le sto dicendo, torna, vedrai che qualcosa troviamo, etc. ma non posso dirle “Beh, colpa tua che non capisci quanto sei fortunata ad essere figlia di Dio, etc.”. Devo dirle, piano piano, che è normale che si senta così, ma che deve reagire, che ce la può fare. Guarda, anche a me certa gente chi si piange addosso mi dà urto – penso sempre, ma che piangi a fare, datti da fare. E però anche io a volte sono semplicemente infelice (da quando il mio fidanzato ed io ci siamo lasciati, poi, più spesso di prima), e non so che fare per essere felice. A volte, semplicemente, non c’è nulla da fare se non accettare che si è infelici. però non si può neanche rimanere nell’accettazioen della propria infelicità, quasi fosse un karma ineluttabile. Bisogna sempre capire che, di solito, l’atteggiamento di depressione interiore (qualora non sia una malattia, in quel caso bisogna CURARSI e non c’è nulla di male in questo) si può cambiare. Però ognuno deve capirlo da sé. Io posso aiutare le mie amiche a capirlo, posso dire loro dai, soprattutto posso dire loro usciamo isneime, divertiamoci non ci pensare, dai etc. Ma non posso presentare loro la lotta per la felicità come un ennesimo dovere. quello verrà col tempo, piano piano.
    si capisce? Un abbraccio!

  128. fefral ha detto:

    Lidia mi hai preceduta nella risposta a Paola.
    Fermo restando che sono convinta anche io che siamo stati creati per essere felici, la realtà è che tante volte non lo siamo, e non solo perchè ci si piange addosso.
    Ci sono situazioni in cui la vita è davvero tosta e l’unica risposta che ci viene in mente è “non ce la faccio”. Che poi è anche quello che Gesù ha detto nell’orto degli ulivi “padre, non ce la faccio, non voglio soffrire, non voglio morire… ma sia fatta non la mia ma la tua volontà”
    Perchè Gesù ha voluto che queste sue parole arrivassero a noi? E lui sapeva benissimo che quel calice amaro l’avrebbe portato al trionfo della resurrezione. Nonostante questo non vuole berlo e ce lo fa sapere. Perchè ce lo dice?
    Perchè se è vero che il nostro destino è la felicità, è vero anche che in questa vita si soffre. E quando si soffre si soffre, non c’è ottimismo che tenga. Fa male. E non possiamo sentirci in colpa se fa male.
    Dio, quando Gesù ha pregato nell’orto degli ulivi, non gliel’ha tolta quella sofferenza.
    Quando ci stai dentro quel dolore puoi solo soffrire, ribellandoti o accettando, ma quando stai male non riesci a pensare ad altro che al dolore che provi.
    Paola, hai scritto che hai dei figli. Se hai avuto parti naturali senza epidurale forse sai cosa sono i dolori del parto. Quando arriva la contrazione vuoi solo che finisca. Non pensi che stai generando una vita. Vuoi solo che finisca!

  129. Tres ha detto:

    Ma perchè oggi il blog all’improvviso, mentre scrivo mi butta fuori e cancella tutto??? Un segno? Va beh io riprovo.
    Allora @Fefral riscrivo: mi hanno detto di un’anziana ostetrica che raccontava che, hai tempi in cui si partoriva senza “aiuti” elettronici e chimici, le ostetriche insegnavano che il bambino nasceva quando la madre gridava: “Muoio”. Ho letto che ai tempi senza epidurale c’erano molte meno depressioni post partum perchè forse il fatto di aver superato un dolore di quelli che descrivi rendeva più forte e consapevole della sua forza, la donna. Non è una difesa del parto nel dolore e una mancanza di rispetto per chi si deprime prima,durante o dopo ma solo mi sembrava una piccola metafora di quei momenti della vita in cui soffri e basta e “non c’è ottimismo che tenga”. Dopo tutti intorno al pupo come il bue e l’asinello ma quando ci sei in mezzo “vuoi solo che finisca”. Ciao a tutte e tutti.

  130. Lidia ha detto:

    io penso che sia in quest’ottica che le persone accanto a noi possono aiutarci. In certi casi ci sarà da dire solo “piango insieme a te” e basta. In altri si può spingere ad una “andare avanti”: usciamo, ti presto dei soldi, ti presento un conoscente cardiochirurgo che può risolvere il problema di tuo figlio, ti tengo i bambini mentre tuo marito e te fate un week-end romantico e cercate di ricostruire il matrimonio in pezzi…
    A volte persino dire “Basta con l’infelicità,su! Io e Dio ti vogliamo bene e adesso ci andiamo a bere qualcosa in un locale bello”. etc etc.
    Ma, direi, mai dire “Su la vita è bella e se non lo capisci e non ti sforzi è colpa tua”.

  131. Lidia ha detto:

    io penso che sia in quest’ottica che le persone accanto a noi possono aiutarci. In certi casi ci sarà da dire solo “piango insieme a te” e basta. In altri si può spingere ad una “andare avanti”: usciamo, ti presto dei soldi, ti presento un conoscente cardiochirurgo che può risolvere il problema di tuo figlio, ti tengo i bambini mentre tuo marito e te fate un week-end romantico e cercate di ricostruire il matrimonio in pezzi…
    A volte persino dire “Basta con l’infelicità,su! Io e Dio ti vogliamo bene e adesso ci andiamo a bere qualcosa in un locale bello”. etc etc.
    Ma, direi, mai dire “Su la vita è bella e se non lo capisci e non ti sforzi è colpa tua”.

  132. fefral ha detto:

    Appunto, Tres!
    Io ho tre figli, tre parti tutti naturali e molto lunghi. Il primo, 18 ore di travaglio senza epidurale, di cui le ultime 7 dolorosissime. Accanto avevo mio marito che mi avvisava quando, controllando il monitor, mi avvisava dell’arrivo della contrazione. Quando stava per arrivare mi stringeva la mano e non diceva nulla. Quando finiva mi diceva “una in meno”. E così avanti, fino alle 3 di notte, una contrazione dopo l’altra
    E’ vero, il bambino nasce quando la mamma crede di morire. Quando è finito tutto mi hanno addormentata, io di quel parto ricordo che ero convinta che ormai non ce l’avevo fatta, un dolore incredibile, insopportabile, e poi nulla, il risveglio qualche ora dopo in camera, con attorno i miei cari che sorridevano e mi dicevano che la bambina era bellissima. Io ancora non l’avevo tenuta in braccio. Io mentre soffrivo non pensavo che doveva nascere mia figlia, io pensavo solo che stavo morendo.

  133. Paola ha detto:

    Fefral, io mi conosco un poco, dovrei di più, e, se posso, non mi cimento in imprese se so superiori alle mie forze. Ma mi organizzo per affrontarle. Ma conosco i miei limiti di creatura e non mi carico, come direbbe don Mauro, di croci che non saprei sopportare.
    Alla prima gravidanza ho seguito un intero corso di training autogeno per affrontare con serenità i dolori del parto. Ci credevo al parto naturale senza epidurale. Mi sono divertita con le mamme a sperimentare le varie tecniche di respirazione. Mi sono goduta molto quei momenti. Poi, avendo una quasi fissazione mentale per i figli maschi, non mi sono fatta rivelare il sesso del nascituro perché, conoscendomi, sarei stata triste inutilmente se mi avessero detto che era una bimba.
    E poi … ho partorito con l’epidurale, senza alcun dolore che davvero ricordi, e mi sono coccolata il mio bebè, ovviamente femmina (il primo di un certo numero di femmine!!!! ma nel blog i dati personali è meglio, come dice Polifemo, sfumarli). E i miei parti sono stati meravigliosi! E ringrazio Dio che la scienza abbia trovato questo aiuto alla donna! Mentre ho davvero sofferto, fino a cambiare di personalità, durante l’allattamento (notti in piedi; frugoletti affamati e disperati; e il marito che mentre tu sei puzzolente di latte e sfinita, la mattina esce ordinato e pieno d’energia).)
    Sicché se una mia amica mi chiede un consiglio io, che le voglio davvero bene, le dico: fatti l’epidurale!
    Perché se alle croci delle notti ad allattare e a decriptare quel fagottino che urla come un orso e che rivoluziona la tua intimità così precaria con tuo marito non ti puoi sottrarre, ai dolori del parto sì.
    E così per tutto il resto. Se vedo una mia amica che vive sott’acqua il suo matrimonio, sì posso piangere con lei, ma prima o poi, se davvero le voglio bene, non posso tacerle che fuori dall’acqua si sta meglio, molto meglio. Certo a lei trovare la strategia, in un dialogo costante con il suo Gesù, l’unico amico che poi ti spinge a tirare fuori la testa dall’acqua. Perché non siamo sole; non è uno sforzo di volontà; è uno sforzo di fermarsi e farsi suggerire la strategia da Lui.
    Ma, scusa se banalizzo, non noti anche tu che qualcuno avrebbe dovuto dire alla suora, per esempio, di accendere il riscaldamento nel convento? Che se sei in un ambiente caldo, senti più facilmente il calore di Dio nella tua vita? Si può rischiare di perdere la felicità, la vocazione – che poi è il nome con cui Dio ti chiama e che scopriremo solo poi – per una croce che si poteva evitare?

  134. fefral ha detto:

    anche io consiglio l’epidurale a tutte le mie amiche, e l’ho fatta anche io per i due parti successivi. Semplicemente per il primo sono arrivata un po’ impreparata, avevo mille cose da fare durante la gravidanza, non ho fatto un corso preparto, viaggiavo tutti i week end prima con le nausee poi con la pancia sempre più grande, non avevo idea di cosa sarebbe stato il parto. Tornando indietro mi toglierei il dolore (sono d’accordo con te sulle croci che non dobbiamo cercarci) eppure quell’esperienza mi è servita per capire tanti altri parti senza epidurale che ho vissuto nella mia vita e di cui non riuscivo a trovare il senso.
    Sul riscaldamento nel convento mi pare di aver scritto un po’ più su proprio quello che dici. Purtroppo capisco bene quello che spiega don Mauro: “Un insieme di senso di colpa e di senso di responsabilità. Non c’è nessuno che le “obbliga” se non il fatto di pensare che andando contro una regola si va contro Dio.”
    E’ una trappola da cui è difficilissimo venir fuori.

  135. Tres ha detto:

    Mamma mia…non me lo ricordare!!!! Bacio @Fefral

  136. Lidia ha detto:

    è quello che hos critto sopra, sui miei consigli alle amiche. Ci sonostrategie, cose da fare, croci da evitare. Ma ci sono quelle in cui non ci sonoepidurali da fare: se tuo marito va in come permanente a 35 anni, e tu sai che forse non si sveglierà mai, e sei senza figli, senza niente, e certamente non ti puoi, come si dice oggi “rifarti una vita” che epidurale mai puoi consigliare a una persona così?
    Allora, io non predico l’impossibilità dell’aiuto – anzi. Ma dico solo che dobbiamo guardarci dal credere che tutte le croci siano evitabili, che tutte le persone trovino nella prghiera una stratgia per uscire dal dolore. Magari la troveranno: ma prima saranno passati tre, quattro anni in cui l’unico aiuto che possiamo dare è il nostro amore concreto. Frustrante, perché tu fai, dici, preghi e il tuo amico/amica è triste come prima. Viene la voglia di mollare, no? A me un caso simile è capitato. E però vai avanti, continui…e a volte i risultati li vedi.

  137. Lidia ha detto:

    FAccio un esempio vero: una mia amica ha perso la mamma a 18 anni, il papà a 21, qualche anno dopo è morta la zia che aveva vissuto con lei. Ha dei parenti in Puglia, e suo fratello è uno che di mestiere fa il giocatore professionista di poker, dopo aver fallito in altri campi. Ovvio, noi (amici suoi e dei suoi) le abbiamo dato dei consigli: vai dallo psicologo (è andata e l’ha aiutata molto), cambia facoltà (l’ha fatto e si è laureata), vendi casa così vivi da sola e non con tuo fratello, prega (lo abbiamo fatto insieme). Ok, fatto.
    Ma certo non le avrei mai detto “dai su perché non capisci che la vita è bella e devi solo cambiare atteggiamento per capirlo”. Questa è la verità, ma va detta non così direttamente: va preparata da un intenso lavoro di amore concreto (e io mi vergogno per quanto poco l’ho fatto con lei) e va fatta capire, mai detta così brutalmente (almeno in questo caso). Un paio di volte le ho detto: Cara, se vuoi impiccarti a primo albero, lo puoi fare, ma io non vedo il perché. Sei giovane, sei intelligente, sei carina, hai grandi possibilità, vali tanto. Ce la puoi fare! Ma non mi sono mai sentita di condannarla per il suo voler mollare tutto.

  138. Mauro Leonardi ha detto:

    Oggi è stato complicato con tutti il blog… secondo me eravamo in “troppi” a consultarlo…

  139. fefral ha detto:

    pensavo, a proposito del non andare a dormire senza chiarirsi col proprio coniuge: bei pensieri dei primi tempi di matrimonio. Poi anche su questo bisogna un po’ sveltirsi: ai maschi difficilmente piace stare a discutere dei massimi sistemi, e poi ci sono volte in cui si arriva la sera talmente stanchi che per quanto si possa essere anche un po’ incazzati l’uno con l’altra la cosa migliore da fare è andarsene a dormire.

  140. fefral ha detto:

    (però quando allattavo a me non succedeva come a Paola: la notte dormivo, si svegliava mio marito, cambiava il pupo, me l’attaccava alla tetta e io continuavo a dormire. La mattina io ero fresca e riposata, piena di latte e di energie, e lui distrutto andava in ufficio a riprendersi un po’)

  141. Paola ha detto:

    Penso, invece, che noi donne dovremmo arrivare alla sera con un po’ di buone energie per godersi il matrimonio. Certo costa fatica. Tra lavoro figli e quant’altro. Io non ci riesco. Ma ne varrebbe la pena. O, comunque, arrivate a sera distrutte, dovremmo almeno chiedere a Lui di trasformare le nostre poche energie per il matrimonio, la nostra acqua, in vitalità, in vino, per poter fare festa con la nostra famiglia.

  142. fefral ha detto:

    non è che costa fatica. A volte semplicemente non c’è il tempo

  143. Giampaolo Colò ha detto:

    Caro Mauro,
    ieri una tua ammiratrice palermitana mi ha inviato su Facebook un lungo spaccato del tuo blog su una suora che si innamora a 50 anni. Mi è venuta voglia di partecipare, dato che – come sempre- non sono d’ accordo con te !!!! Ma come fa una scimmia informatica a entrare in questa gabbia dorata del blog?. Io ho scritto una cosa, ma sarà finita chissà dove. Mi puoi indicare qualche semplice istruzione per farti arrivare qualche commento? Ormai si parla quasi solo con questi aggeggi.
    Con il mio affetto, le mie preghiere e il mio dissenso ti saluto e sia ben chiaro che non ti rimboccherò mai le coperte, anche se ti voglio bene. Prova a farlo a XXX. e non ne uscirai vivo!
    L’allegro pessimista d. Gian Paolo

  144. Mauro Leonardi ha detto:

    @GianPaolo
    grazie del tuo intervento. Per scrivere sul blog trovi le istruzioni qui a destra. Se non i riesci scrivi a me una mail con la mail dell’intestazione e lo pubblico io a tuo nome.
    Grazie. Ti aspettiamo. i commenti di quelli che non sono d’accordo con me sono i più interessanti.

  145. Gian Paolo Colò ha detto:

    Caro Mauro,
    cerco di fare qualche osservazione sul caso della suora cinquantenne, destinata a prendersi cura di una comunità di anziane, che si trova male, non è ascoltata dalle superiore, va in crisi e si innamora di un uomo.
    Certo le storie personali sono un mistero e sarebbe ingenuo fare un processo alla situazione, facendo la figura degli amici di Giobbe.
    Dato che mi hai tanto affettuosamente inseguito, cerco di riassumere o di riprendere quanto è stato inghiottito dalla rete, non per giudicare la suora per la quale prego, ma per cercare risposte, soluzioni, suggerimenti al grande mistero della fedeltà-infedeltà che affligge oggi il celibato e il matrimonio, rendendo precaria la vita di molti e rendendo soggettivamente angoscioso e inquietante ogni prospettiva di impegno per sempre.
    Non c’è dubbio che la carità fraterna, l’affetto, ancor di più, un profondo interesse per la singola persona da parte di chi gli sta accanto, sia importante però temo che non si possa considerare determinante per la libera perseveranza di una persona nel celibato o nel matrimonio.
    Io sono convinto che non ci sia differenza sulle ragioni della fedeltà per sempre, in un caso o nell’altro, anzi a prestare bene attenzione forse il cento per uno del celibato potrebbe rendere più facile la fedeltà di quanto non possa accadere nel matrimonio, sempre fermo restando il “mistero” del” chi può intendere, intenda”.
    Il problema fondamentale, a mio avviso, sta nel dominio o meno dell’affettività sull’intelligenza e sulla volontà. Se domina il sentimento sull’intelligenza e sulla volontà, così che la delusione del sentimento demotivi l’intelligenza e disattivi la volontà, non c’è possibilità di essere fedeli.
    Si persevera solo se si è compreso con l’intelligenza e si è abbracciato con la volontà il senso dell’essere fedeli, se è scoperta la grandezza umana del “per sempre” che fonda la dignità della scelta, aldilà delle fluttuazioni dell’affettività.
    Non ti faccio l’apologia del volontarismo cieco, ti parlo della scoperta del senso, della dimensione di trascendenza spirituale che dà lo stare al proprio posto per onorare l’impegno assunto, donando se stessi, senza volere niente in cambio sul piano della gratificazione affettiva. Può bastare la consapevolezza di muoversi nella verità, la sicurezza di aver scelto bene, la certezza che perseverare è una cosa eroicamente prudente.
    Questo anche quando le consolazioni di Dio sembrano un ricordo e la preghiera un arido e umiliante esercizio e i servizi vengono ricompensati con l’indifferenza con cui viene accolto ciò che è dovuto.
    Il Vangelo è pieno di inviti in questo senso: la porta stretta, la mano all’aratro,la parabola del seminatore, morire per portare frutto, dare la propria vita, il banchetto per chi non ti può ricompensare, non vi preoccupate di cosa mangerete, cercate il regno di Dio e la sua giustizia. Non avete resistito fino al sangue nella lotta, ecc.
    Non è stoicismo, è la solitudine dell’orto degli Ulivi che il Cielo non manca di consolare ma che comporta sudore di sangue, angoscia e abbandono anche degli amici più cari e supplicati di restarci accanto.
    Sono le purificazioni dei sensi e dell’intelligenza che l’ascetica e mistica ha sempre descritto, attingendo alle esperienze dei santi e che tanti coniugi e celibi anonimi hanno vissuto. Tu conosci meglio di me la dottrina e l’esperienza di s. Josèmaria Escrivà in materia, che va ben aldilà della raccomandazione, spesso ripetuta, di una attenta e delicata fraternità.
    Né voglio sembrare un angelista né un insensibile pretoriano, condivido e asciugo molte lacrime.
    (continua)

  146. Mauro Leonardi ha detto:

    (continua)
    So per esperienza, anche personale, che le prove e la solitudine comportano anche tentazioni, suggestioni, infatuazioni più o meno esplicite che fanno soffrire, che comportano lotta interiore per arrivare a smascherare i trucchi del sentimentalismo e le mistiche del “magari” ma è proprio attraverso queste lotte e battaglie che si purifica e si consolida il senso della fedeltà.
    Così come nel servizio disinteressato all’altro, forse anche ingrato, si scopre la gioia spirituale o almeno il valore del proprio amare e del servire uscendo da se stessi e passando inosservati.
    Che l’uomo si realizza nel dono di sé è una verità che la buona antropologia,il Vangelo e Magistero della Chiesa non fanno che ricordare e l’esperienza non fa che confermare.
    Occorre la forza per perseverare nell’esperienza e forse è qui che l’amicizia e la direzione spirituale possono offrire un grande conforto,aldilà delle coccole, delle festicciole e del rimboccare le coperte. Stammi accanto perché io sia forte e sia degno della mia condizione di uomo e di figlio di Dio.
    Temo invece che il buonismo sentimentale, padre di divorzi, contraccezioni, aborti ed eutanasie, ruffiano di una psicologia che benedice l’infedeltà in nome del benessere emotivo ( fuori e purtroppo anche dentro la Chiesa, a volte, almeno sul piano dei valori trasmessi ) non faccia che indebolire e togliere vigore e consapevolezza della propria dignità di uomo e di figlio di Dio alle persone di questo nostro fragile mondo.
    Certo tu non fomenti questo buonismo e non pensare che io non sia propenso a fare e a cercare coccole ma l’esperienza mi dice che non servono a granché: possono essere un conforto solo se, sostenuti dall’intelligenza, aiutano ad abbracciare il cammino di una dignitosa fortezza.
    Tu l’hai voluto questo sproloquio e tu telo tieni, ma è servito anche a me, per fare un po’ di esame di coscienza.
    Ti saluto; prega per me e io lo farò per te, per il tuo blog e per quelli che se ne servono e ne trovano giovamento.

    Calarossa, 11 aprile ’12

  147. Mauro Leonardi ha detto:

    Gian Paolo Colò è un caro amico sacerdote don qualche anno più di me, sia nella vita che nel sacerdozio. Prima di essere amico è anche un fratello maggiore al quale fino a non pochi anni fa ho dato del “lei” perché quando l’ho conosciuto quasi quarant’anni fa, era già sacerdote.
    Oltre che sacerdote è anche psichiatra, proprio nel senso che da laico – prima di essere sacerdote – aveva fatto il lavoro dello psichiatra.

    Come lui stesso dice (“una tua ammiratrice palermitana”) abita a palermo e scrive da una località incantevole che si chiama Calarossa. Non so se abbia avuto modo di leggere l’intera discussione. Forse no. Ma in ogni caso mi commuove il suo desiderio di dirci la sua. Anche perché è di quelli che non riescono a utilizzar il blog e pertanto mi mandano la mail da pubblicare….

  148. Lidia ha detto:

    a me però il suo intervento ha messo una tristezza addosso…

  149. Ribelle ha detto:

    Lidia ,mi perdoni se ti rispondo ?la tua tristezza si spiega con la tua giovane età,penso!!!…non preoccupartene,assapora il bello della vita e fanne provvista!…ti servirà per ri-cor-dare(letteralmente,riportare nel cuore)le cose belle anche quando saranno di meno…le cose e le persone ti deludono per forza prima o poi,perchè siamo creati per un amore perfetto e una bellezza infinita,ma viviamo in un mondo terreno finito..chi può amarti per tutta la vita,riempiendo davvero le tue attese infinite?quale essere umano sarebbe così perfetto se non ,appunto,Dio?Ricordi la scena della Trasfigurazione? Gli apostoli volevano fermare il momento bello e anche noi uomini,lo vorremmo e con Dio e con il marito o con gli amici o con la nostra bellezza fisica o con quello che sia…ma il tempo passa, e non credere che questo sia un evolvere triste….intanto siamo in cammino non verso la morte(che non ha la vittoria!!) ma verso la risurrezione,e poi le esperienze e anche le sofferenze,se le vivi con fede, ti regalano la saggezza,la pazienza e tante cose…con Gesù vicino,ogni fase della vita e ogni situazione, ha la sua bellezza…vivi con pienezza ogni istante,senza pensare a quello che sarà…se sei con Lui…anche nei momenti difficili,crederai che “Dio non tenta nessuno sopra le sue forze”,che “per chi crede ,tutto(anche i peccati,dice s Agostino!!)coopera al bene”..e tante altre cose…NON RATTRISTARTI!!(specialmente in questi giorni pasquali!)

  150. Monica ha detto:

    Mi trovo molto d’accordo con l’intervento di Gian Paolo Colò: mi sembra che accolga tanta parte dell’umano che è in me e negli altri (nelle sue infinite debolezze), ma dia spazio anche alla grandezza cui è chiamato ciascun cristiano.
    Per questo concordo con lui, quando dice che non c’è troppa differenza tra l’infedeltà nel matriomonio e quella nel celibato (anche se non ho ben capito l’espressione: “forse il cento per uno del celibato potrebbe rendere più facile la fedeltà di quanto non possa accadere nel matrimonio”…?).
    Già Dante, mi sembrava, aveva prospettato la questione in questi termini: ci sono persone che “la ragion sottomettono al talento” (che sottomettono perciò le decisioni ragionate all’impulso del momento). E a me piace che Dante stesso, di fronte a questa sua affermazione, svenga; perché sente tutto il sacrificio che questa affermazione comporta…

  151. Tres ha detto:

    Chiedo scusa sarò lunga, anche perchè ho fatto un generoso copia e incolla. Allora, in un certo senso, molto poco certo, il discorso di Don Gian Paolo, non fa una piega. Il fatto è che la vita di pieghe ne fa parecchie e allora quello che dice Don Gianpaolo mi pare “stretto di spalle” (@Lidia parla di tristezza e sono daccordo).Il “grande mistero della fedeltà-infedeltà che affligge oggi il celibato e il matrimonio” a me non sembra così grande, quello che manca alla suora e a molti matrimoni è veramente molto chiaro e lo ritrovo in molti dei nostri commenti precedenti (le coccole, etc non sono paccottiglia sentimentale, anzi si, ma quanto fanno bene). “Non ti faccio l’apologia del volontarismo cieco, ti parlo della scoperta del senso, della dimensione di trascendenza spirituale che dà lo stare al proprio posto per onorare l’impegno assunto, donando se stessi, senza volere niente in cambio sul piano della gratificazione affettiva.” Anche il Papa, mi pare nell’enciclica sulla carità, dice che non si puo’ vivere su questa terra senza un minimo di do ut des nell’amore umano. A casa mia pure il gatto, vuole essere gratificato affettivamente, vuole qualcosa in cambio alle sue fusa! “Può bastare la consapevolezza di muoversi nella verità, la sicurezza di aver scelto bene, la certezza che perseverare è una cosa eroicamente prudente.” Si, ma la “verità” è pure che a volte non sei amata. Posso pure “aver scelto bene” ma ciò non toglie che, ora, la mia vita va male. “Perseverare” è bello! Non metto in dubbio che, in seconda battuta, sia pure “eroicamente prudente”.”Il Vangelo è pieno di inviti in questo senso: la porta stretta, la mano all’aratro,la parabola del seminatore, morire per portare frutto, dare la propria vita, il banchetto per chi non ti può ricompensare, non vi preoccupate di cosa mangerete, cercate il regno di Dio e la sua giustizia.” Si, ok, però ricordiamoci sempre che è venuto a darci la vita perchè avessimo la vita e l’avessimo in abbondanza. Cioè l’idea iniziale era che a me l’amore, la vita mi doveva avanzare, un banchetto di gioia. Non avete resistito fino al sangue nella lotta, ecc.”Non è stoicismo, è la solitudine dell’orto degli Ulivi che il Cielo non manca di consolare ma che comporta sudore di sangue, angoscia e abbandono anche degli amici più cari e supplicati di restarci accanto.” Si, ma è durato una notte sola e tre giorni totali con la passione e morte. Gli altri 32 anni e 362 giorni, Gesù ha avuto una vita come la nostra: faceva “piega”ogni tanto e andava alla grande, felice, ogni tanto. “Sono le purificazioni dei sensi e dell’intelligenza che l’ascetica e mistica ha sempre descritto, attingendo alle esperienze dei santi e che tanti coniugi e celibi anonimi hanno vissuto.”trucchi del sentimentalismo” “Occorre la forza per perseverare nell’esperienza”. Vi prego, sono un'”anonima coniuge” che si crede una santa con i lavori in corso, nel caso avessi una crisi vocazionale non tentate di purificarmi i sensi (ne ho troppi) e nemmeno l’intelligenza. “e forse è qui che l’amicizia e la direzione spirituale possono offrire un grande conforto,aldilà delle coccole, delle festicciole e del rimboccare le coperte”. Amiche e direttori spirituali di mia competenza vi prego con me coccole, festicciole e rimbocco coperte a iosa, abbondanti!
    “Certo tu non fomenti questo buonismo e non pensare che io non sia propenso a fare e a cercare coccole ma l’esperienza mi dice che non servono a granché: possono essere un conforto solo se, sostenuti dall’intelligenza, aiutano ad abbracciare il cammino di una dignitosa fortezza.” Don Gian Paolo, le voglio bene e scusi se sono stata prolissa ma il coccolume serve, altrochè. E se uno viene da Lei e non è intelligente, che gli purifica? Con che lo sostiene? Un abbraccio forte.

  152. Tres ha detto:

    Scusate, non vorrei dire niente ma vi avviso che una delle parole di controllo che mi è apparsa per pubblicare il prolissume era Dios. Troppo divertente!

  153. Vera ha detto:

    stupendi gli interventi di don Gian Paolo e di don Mauro…. stupendi perchè incontrano la mia convinzione radicale che la fedeltà costa e la perseveranza anche dentro a lotte e tentazioni è importante. Tante volte nei momenti più difficili quando la tristezza, lo scoraggiamento l’abbattimento fisico e mentale prendono l’essere, mantenere un giusto equilibrio e soprattutto essere fedeli agli impegni presi è un vera impresa. Ma da sempre mi sono sentita dire dai padri che mi hanno seguita che non bisogna prendere mai decisioni importanti in simili condizioni , quando non c’è equilibrio, si combina sempre guai. Aspettare che il Signore con la sua luce compaia è la cosa più sensata. molto spesso torna tutto a brillare e la fede, l’amore, la vita continua più piena di motivazioni e più forte di prima.

  154. Tres ha detto:

    Ci credo che è svenuto, Monica! Ciao

  155. Paola ha detto:

    Lidia, anche a me ha fatto tristezza la lettera di don Giulio. E’ ricca di saggezza, la saggezza del pastore di anime, che conosce bene i limiti delle creature. Ma nondimeno suscita tristezza forse perché descrive l’immobilismo dell’essere umano nella solitudine del rapporto d’amore, sia esso matrimonio o donazione nel celibato, nello sforzo della volontà di dominare l’affettività, nel tentativo di perseverare e con l’altro pure ingrato. Tutto molto realista. Ma questa mi sembra una disfunzione patologica del rapporto d’amore.
    E che bello l’intervento di Tres!
    L’amore coniugale e la donazione al celibato sono relazioni dinamiche illuminate dalla forza dello Spirito Santo. E ci sta pure che lo Spirito Santo ti sussurri di essere paziente, perseverante, con il coniuge ingrato o con le consorelle del convento aride. E che, in alcuni momenti, il punto di lotta sia perseverare, per giungere alla meta, all’eternità insieme. Perseverare però è solo in parte amare. Perché amare è una meraviglia, anche se costa.

  156. Mauro Leonardi ha detto:

    Paola, immagino che don Giulio immagino sia don Gian Paolo..

  157. Tres ha detto:

    Grazie @Paola! Ciao.

  158. Paola ha detto:

    Sorry!

  159. MM. ha detto:

    A me un po’ stoico è sembrato don Gianpa! Cmq forse c’è bisogno di un po’ di tutto..l’importante è non mortificare troppo l’affetto rispetto all’intelligenza nè viceversa!
    E cmq c’è sempre il rischio di doversi dimostrare eroici perchè tutti se lo aspettano per il ruolo che ricopri e perchè ti senti che devi sostenere tutti ed essere solo tu ad asciugare lacrime..ma perchè non provi la dolcezza di farti asciugare le tue lacrime da qualcuno? non da Dio, da una persona.
    Per quanto la mia intelligenza mi possa aver guidato finora,ho coscienza che le volte in cui ho fatto qualcosa per amore di qualcuno, seguendo il mio cuore, ho sentito la frescura della libertà con tutti i pori della mia pelle, anche se magari c’era qualche regola che stavo infrangendo (ma poi regola secondo chi?).
    Vorrei scrivere di più ma non connetto granchè..a domani! Buonanotte!

  160. Ribelle ha detto:

    Cari amici del blog(soprattutto Paola e Tres),i vostri interventi, mi hanno fatto davvero star male! Perchè io mi ritrovo al 100 % d’accordo con d Colò e credo che quello che scrive,sia il modo soprannaturale di affrontare le piccole e grandi umiliazioni della vita, che DOVREBBE AVERE OGNI VERO CREDENTE( a maggior ragione se il buon Dio gli dà una vocazione specifica,grande dono che non tutti hanno,pur desiderandolo…)
    D Colò parla
    1) di “intelligemza e volontà” e infatti sono le uniche “forze” che l’uomo può mettere di suo,unitamente ad una umile attesa del Suoi temopi e disegni,nei momenti difficili….
    2)TRes scrive”anche il gatto vuole sentirsi amato”,giusto! il problema è DA CHI? Se io voglio sentirmi amato da marito,figli,amici e questo non succede? e non per il tempo di un litigio,ma per mesi? Saprò ricordarmi che c’è Uno solo che mi ama sempre e specialmente mentre soffro?
    3)Tres scrive”l’orto degli ulivi è durato una notte” Beh,trovo tristissimo valutare la sofferenza di Dio sulla DURATA!Si tratta piuttosto della INTENSITA'(soffriva ..da Dio) e della GRATUITA’ (non poteva risparmiarselo?)
    E poi Tres, che dovrebbe dire chi trascorre la vita senza essere amato o in zone di fame? chi ci ha detto che Dio ci fa felici QUI E ORA? (ad iniziare da s Bernadette,che si sentì dire-non ti faccio felice in questo mondo…)Continua

  161. Ribelle ha detto:

    4)Tres scrive”se uno viene da lei e non è intelligente,che gli purifica?” Beh,non è il sacerdote che ti purifica, ma Dio negli eventi della vita! Però il sacerdote e la ds,come scrive d Colò’ti aiutano TANTISSIMO a gettare luce soprannaturale sul tuo vissuto…e in quei momenti…QUESTO E’ TUTTO! perchè se cambi modo di vedere…cambi tu! anche se continui a soffrire…capisci gli altri…ti avvicini a Lui…riesci almeno ogni tanto, almeno con la volontà,ad offrire un “tesoro” di spine che hai nel cuore etc…
    5)Tres scrive”se uno non è INTELLIGENTE”…ma qui non è questione di intelligenza,ma di sapienza del cuore,quella dei piccoli del Vangelo,che non è negata a nessuno che abbia umile buona volontà…
    5) Tres scrive”amiche e direttori,con me coccole a iosa”
    Beh non so che ambiente abbia trattato tu,ma io, nel mio cammino spirituale,ho ricevuto un sacco di “mazzate” o rimproveri o correzioni ,chiamale come vuoi..Certo questo mi ha tentato spesso ad essere…Ribelle!…ma infine mi ha fatto crescere…mi ha spinto a scendere in profondità…a chiedermi CHI E DAVVERO GESU’ PER ME? PERCHE’ LO SEGUO?( e certo non era per le coccole di chi mi è vicino!!!)SO DIRE DAVANTI A QUELLO CHE MI CIRCONDA E A QUELLO CHE MI TURBA DENTRO…QUE MAS DA?( o,anche se soffrendo. so dire..FAMMI SANTO…ANCHE A BASTONATE?) scriverei ancora tanto, ma poi il blog mi respinge…

  162. Tres ha detto:

    Ribelle scusa se ti ho fatto star male. Don Gian Paolo, è un sacerdote e lo è da tanto tempo, da quanto ho capito, e ha una conoscenza dell’animo umano propria del suo essere uomo e sacerdote. Io sono una coniuge anonima che ha frequentato quello che che la vita le ha messo davanti, e lì dove sono stata capace ho scelto. Ora io e Don Giampaolo ci siamo incontrati in questo blog, siamo stati messi davanti uno all’altro. Lui ha detto la sua, io ho detto la mia. Non c’è da fare schieramenti. Se stai male in qualche modo ti ha offeso il mio modo di scrivere. Chiedo venia. Io nella mia vita, bella e brutta, ho bisogno di affetto, cioè di amore sminuzzato, di gesti di affetto, di tutti i tipi, a tutte le ore. Questo non vuol dire che sia contornata da gente che mi ama così e che viva una vita a scartare Baci Perugina e a mettere mazzi di rose rosse nei vasi. Lo so che Dio mi ama sempre e che è Lui che purifica la mia intelligenza ed è proprio quello che ho scritto: la direzione spirituale aiuta tantissimo. La durata della sofferenza sono daccordo non è tutta la sofferenza. Amo Gesù tantissimo ma Lui non ha creato solo me e Lui, siamo in tanti e tanti me ne ha messi vicini e io dico solo come voglio essere amata dai “tanti” che ho vicino. Con Lui, diciamo, che non c’è bisogno di tante spiegazioni. Sul punto 5 (il primo punto 5) dici la stessa cosa che ho detto io, forse non ci siamo capite. Sul secondo punto 5 ti dico che le mazzate le abbiamo ricevute tutti. Io sono solo dell’idea che se chiedo come vorrei essere amata è solo un modo per facilitare l’altro a capirmi. Poi se capisce è festa. Se non capisce, per me è una mazzata. Chi è davvero Gesù per me? E’la domanda più intima…in un blog non te la dico (però a tu per tu, si).

  163. Lidia ha detto:

    Ciao Ribelle, il tuo interrogativo “e se non sei amato”? è quello che mi faccio ogni giorno.
    Infatti, belle parole “la vita è bella” “Dio ci ama” etc. ma se poi sei solo, se non hai amici, se sei povero e disperato davvero…
    Allora, da una parte sicuramente c’è la necessità di capir che Dio ci ama anche se permette che siamo infelici (anche se non ho mai ben capito perché lo permetta) e che la felicità su questa terra non ce la darà mai nessun uomo, nessuna ricchezza e nessuna salute e bellezza.
    Però, diciamocelo, scusa: essere amati, ricchi, sani e belli non fa la felicità, ma aiuta. Allora, secondo me, i punti sono due: 1)purfcare l’intelligenza, come dice don Gianpaolo, va bene, per capire appunto che anche se non sei Kate Moss, o peggio ancora, se sei una “zitella” o uno “scapolone” senza volerlo puoi trovare amore in Dio, ma 2) bisogna cercare di non far mai sì che nessuno attorno a noi si senta disamato.
    Ogni tanto, scusate se è provocatorio, penso: scusa, Dio, ma perché devo fare io il lavoro tuo?
    Cioè, se c’è gente che soffre, io la aiuto. OK. Ma perché non lo fai Tu?
    La risposta non la so, so però che se Dio vuole così, un motivo c’è. Allora va bene che chi soffre si metta alla ricerca della consolazione dello Spirito, ma è anche vero che Dio vuole che lo aiutiamo, e perciò odbbiamo mettere tutto l’affetto umano per consolare coloro che sono tristi attorno a noi.
    Quando siamo noi a essere tristi e nessuno ci consola beh è molto triste. Dio però, come al solito,non ci lascia mai.E qui arriva il punto cruciale: non è che Dio è il ripiego. Qui il discorso di don Gianpaolo può essere davvero utile, adesso che ci penso. Cioè, va bene chi l’affetto ce l’ha, ma chi non ce l’ha che fa? Ricorre a Dio, ed è importanete che percepisca che davvero non è solo. Cmq, insomma, a dirla breve: speriamo che nessuno che ci conosce debba dire “eh, ho solo Dio”. Sarebbe bello poter dire “ho Dio, e ho Ribelle, Lidia, Tres etc.”.

  164. Dory ha detto:

    @Ribelle- Ciò che dice Padre Colò è corretto, ma quando sei nella più nera solitudine non ti importa un fico secco di pensare che Dio ti sta accanto e ti arricchisce anche in quel dolore e mi spiace…non c’è volontà o intelligenza che tenga. Soffri e gridi: 2Dio mio, Dio mio perchè mi hai abbandonato??” E l’unica conslazione è pensare che pure Gesù-Dio ha gridato e grida con te quelle parole. Che il nostro Dio non è estraneo al nostro dolore ma ha voluto condividere anche la morte con noi…Non ci ha lasciato soli! Tuttavia , in quei momenti, vuoi solo una cosa: una carezza. In questo trovo che la testimonianza di Tres sia molto vera…Almeno. la sento vicino a me. Vedi ( e tento di rispondere a Lidia)…Io trovo che ci un bel legame stretto tra sacerdozio ed incarnazione di Gesù. In che senso? Se Gesù non fosse vero uomo e vero Dio, e noi avessimo inventato “i sacerdoti”, essi non sarebbero altro che uomini (magari bravissimi, sensibilissimi, apertissimi al prossimo…) che ti danno un consiglio (ottimo magari), ma…Da uomini. La cosa miracolosa, invece, che rende unico il momento della direzione spirituale, della confessione, della comunione è che quel sacerdote (Pino, Michele, Antonio…) diventa proprio Gesù. E’ Gesù in carne ed ossa che ti parla, ti consola, ti mette una mano sulla spalla se magari piangi sulla tua vita e su di te…Coi sacerdoti Gesù ci permette proprio di averlo presente in carne ed ossa e per una come me, che l’adorazione eucaristica non la riesce proprio a fare ( con tutto il rispetto per l’adorazione…sono io che non sono uno spirito mistico!), è proprio importante sapere che se incontro un sacerdote…Attraverso le sue parole, le sue mani, i suoi passi, i suoi occhi…E’ Gesù che passa accanto a me! Tutti noi abbiamo le nostre difficoltà, le nostre croci. E non penso che per “sollevarci” da queste croci sia un bene cercare un cristianesimo all’acqua di rose ( ne abbiamo le tasche piene dell’acqua di rose!)…Pur tuttavia abbiamo bisogno di una dolce autorevolezza. Del Buon Pastore ( che è buono, ma ha anche il bastone, se serve…). Hai presente cosa dice Gesù alla Maddalena? “Nessuno ti ha condannata? nemmeno io ti condanno ( e ti si apre luniverso a quelle parole…). Va e non peccare più!”. Dolcezza e rigore.Empatia e chiarezza. s. Agostino (lo so che forzo un pò la traduzione, ma mi piace troppo) diceva . “Non crederei al Vangelo se l’autorità della Chiesa non mi avesse commosso”. Il santo usa il verbo commovere che tecnicamente si traduce “portare, condurre”, ma mi piace pensare che Agostino si sia convertito perchè aveva trovato una Chiesa che pur mantenendo l’integrale severità dl suo messaggio, fosse piena innanzi tutto di Misericordia ed Amore. Stile Giovanni XXIII…Penso anche alla Cappella Sistina dove si vede Dio (in carne e ossa) che tocca ( lo tocca!) con le dita, con uno slancio pieno d’Amore, L’Uomo per donargli il suo spirito…Poi però c’è anche il Giudizio Universale..Non so se mi spiego…In fondo è ciò che diceva S. paolo: posso avere la fede, la volontà, l’intelligenza…ma se non ho l’Amore ( che Gesù incarnato rappresenta al massimo grado, con i suoi gesti di tenerezza verso i malati, i peccatori, i familiari, gli amici)…Sono nulla!

  165. ribelle ha detto:

    Mi fa piacere leggere tutti i vostri interventi!!!!,perchè ognuno esprime un aspetto di sè e ci sono vissuti diversi e caratteri diversi…Cerco di sintetizzare?
    Ha ragione Tres nel dire che a volte è fondamentale farsi conoscere,far capire il proprio carattere,il proprio bisogno di “maniere dolci”…è una forma di umiltà anche quella!
    Anche perchè a volte, nonostante quello che dici, non vieni capito o ti senti giudicato o ti “costa” rivelare le tue reazioni o te ne stai a “magonare”(= farsi venire il magone) su quello che possono pensare altri di te…
    Poi Lidia dice che dobbiamo aiutare Dio,affinchè nessuno intorno a noi si senta solo…”speriamo che nessuno che ci conosce debba dire “eh, ho solo Dio”. Sarebbe bello poter dire “ho Dio, e ho Ribelle,ho Tres ,ho Lidia…”bellissimo! E’ proprio così.
    Invece a Dory lancio una provocazione!ma con tanta simpatia!
    Hai ragione nel dire che i sacerdoti sono un aiuto permesso e voluto da Dio(altrimenti ,tra l’altro,ci avrebbe lasciato a dire direttamente a Lui le nostre colpe,senza la rassicurante certezza di una voce umana che ci assolve “in persona Christi”) e hai ragione anche nel dire che devono unire dolcezza e rigore…ovviamente se parli così,vuol dire che un sacerdote così lo hai incontrato o al momento lo frequenti…ma…chiediti sempre:
    e se mi arriva all’improvviso la notizia-don Tale è stato trasferito??
    Continuerei CON LO STESSO ENTUSIASMO E DESIDERIO DI DIO, ad andare da uno diverso? che magari è un tipo mistico,mentre io voglio la piccola indicazione concreta? o viceversa :io spazio al massimo e mi interessano le motivazioni, e quello invece mi rinchiude in un orizzonte concretissimo, che mi pare ripetitivo e asfittico?
    Certo puoi metterti in giro per chiese o per movimenti a cercarne uno che ti vada bene …ma…questa domanda è una pro-vocazione, cioè una di quelle che ti aiutano a capire meglio… la tua vocazione,il tuo cammino( se ne hai scelto uno…)Un saluto a tutti quelli del blog!

  166. Dory ha detto:

    Pochi mesi fa ti avrei risposto:”Davanti a un sacerdote che non mi “gira”? SCAPPO A GAMBE LEVATE!” Ora…Ti dico non lo so. Non nascondo, per tutto quello che ho detto prima, che incontrare un bravo sacerdote sia proprio una grazia. E che se Don Pino si trasferisse di punto in bianco io mi sentirei orfana…Però, però penso anche, come credo di aver detto, che il fatto che il sacerdote sia Gesù vale proprio peer tutti i sacerdoti…Per Pino, Antonio, Michele. nel senso che portano Gesù tra di noi e a questa cosa ci credo proprio adesso…Ho bisogno di crederci!Poi certo…In alcuni Gesù si vede di più, in altri meno. Come il sole che colpisce alcune cose, altre meno. ma c’è. C’è anche quando vedi ombra…

  167. Paola ha detto:

    Ho appena finito di leggere l’ultimo articolo di don Mauro uscito su Studi Cattolici e mi sembra una risposta alle domande del nostro blog lì dove dice: “Sognare è prendere seriamente questa nostra vita, è essere fino in fondo ciò che vogliamo e dobbiamo essere”. E’ il nostro sogno, il sogno di Dio su di noi, è la nostra vita. @Ribelle, a tutti capita di non vederlo, di non capire dove sta andando la nostra vita. Ma il sogno rimane; il motivo per cui siamo al mondo, rimane. Ma noi cadiamo in sepolcri interiori (tristezze) ricoperti dal masso dei nostri pensieri, delle nostre ferite, dei nostri peccati e di quelli che ci sono intorno. Ma il sogno resta. E lì non si tratta, secondo me, di mixare intelligenza o affettività; di sentire belle parole nella direzione spirituale o di essere schiaffeggiate dal direttore, dal marito, dal mondo; e subire l’altro ingrato. Ma di chiedere a Lui la forza di uscire dal sepolcro. Gesù, però, non ci promette di distruggere il masso che ci tiene nel sepolcro della tristezza. Non ci promette che il direttore spirituale ci capirà, ci coccolerà, o che il marito sopravvive ai nostri pipponi (il riferimento è alle critiche che mi muove Fefral! peraltro: che fine hai fatto??? mi manchi!). Si tratta di fidarsi, invece, che, come a Pasqua, Lui ci sposta il masso. Noi non siamo destinate all’infelicità e al vuoto del sepolcro. Ma noi, solo noi, possiamo uscire dal sepolcro. E ognuno, nella sua vita, lotta per trovare le soluzioni. Le sue soluzioni. Per riafferrare quel sogno unico che Dio ha su di noi.

  168. Lidia ha detto:

    scusate condivido con voi una cosa che è successa ora.
    Una mia carissima amica cinese è qui in Italia a studiare da anni, ormai ha quasi finito, le manca la tesi. Si è battezzata qui in Italia anni fa, è venuta in Italia anche per poter praticare la fede più liberamente (è una lunga storia). Suo papà ha una metastasi da carcinoma al fegato. In Cina non lo curano perché è anziano e “improduttivo”. La mia amica aveva fatto tutti i documenti per farlo venire qui con sua mamma, dopo innumerevoli sacrifici, e lunedì prossimo dovevano venire e si doveva operare qui (a pagamento, ovviamente, perché sono “turisti”). MA sua mamma oggi si è rotta il ginocchio e la operano solo lunedì, perché in Cina nel week-end non si fa nulla. Suo papà allora non vuole più venire, si è depresso. La mia amica è disperata e oggi al telefono mi ha detto “Lidia ma Dio che fa, si diverte? prima tutte le difficoltà a laurearmi, poi i sacrifici dei miei genitori di stare lontani da me, poi la metastasi, e ora, che tutto pareva a posto…questo. Ma Dio che fa, si diverte a vedere quanto io più sto male, quanto resisto?”.
    Io non ho saputo che dirle. Che le dico? Ma che c’è da dire?

  169. Tres ha detto:

    Ciao @Ribelle, “magonare” te lo rubo! Rende l’idea benissimo!

  170. Gian Paolo Colò ha detto:

    Caro Mauro,

    lo sapevo che col tuo blog mi avresti messo nei guai. Comunque per ora ci sto e chiedo scusa a qualche interlocutrice per averla rattristata. In effetti non avevo letto tutto quanto contenuto nel blog e lo farò con piacere , con interesse per imparare e per condividere.
    Posso assicurare:
    – che di solito mi dicono “Meno male che parla lei, così ci divertiamo”,
    -che ho passato giornate presso una ammalata, dedicandole il tempo,che non avevo,attraversando in autobus mezza città, solo, perché in famiglia, tutti la curavano in modo tecnicamente perfetto, ma senza un gesto di tenerezza e questo la riempiva di una furiosa amarezza, minacciando la sua pace, negli ultimi mesi della sua vita,
    -che passo ore del mio tempo ogni giorno a fare iniezioni di speranza a gente sfiduciata e a cantare la bellezza e l’importanza che ogni persona ha davanti a Dio e davanti a me, importanza affettiva ed esistenziale.
    Non sono un allevatore di marines cattolici ma nemmeno di generoni lacrimosi.Oh che dolce compagnia oh che bella comunità! Questo si trova solo nelle scene del Mulino bianco per ammollarci biscotti non sempre all’altezza.
    Io però penso che gli uomini di oggi non abbiano bisogno di gratificazioni, solo emotive, labili come lo sono i sentimenti non sostenuti da un profondo aggancio ad una verità vissuta.
    Abbiamo bisogno della testimonianza della fedeltà. Questa è la vera coccola che dilata lo spirito e dà la pace al cuore. Non c’è niente di più doloroso che vedersi abbandonare da chi aveva giurato a Dio e per Dio a noi, di starci per sempre accanto in una impresa di amore, sia essa la famiglia che il celibato per il regno dei Cieli.
    Questi tradimenti che d. Mauro – nel suo libro e con la sua bontà – cerca in qualche modo di comprendere e di perdonare, usando espressioni che gli fanno onore, anch’io li perdono, mi domando se ne sono responsabile con le mie omissioni ma non posso far a meno di soffrirli come una ferita, come una tentazione e come una contro-testimonianza che toglie gloria a Dio. Dice il patriarca Giuseppe a proposito del tradimento dei fratelli, che Dio ne aveva tratto un grande bene per il popolo di Israele,ma io non riesco a non considerarlo un avvenimento doloroso e deprecabile, frutto dell’umana miseria.
    (continua)

  171. Gian Paolo Colò ha detto:

    (continua)
    Quando contemplo un mio fratello o una mia sorella, (celibe o sposato, non fa differenza), che è fedele e sicuro, io mi sento veramente oggetto di una grande gratificazione che mi riempie di pace, anche senza grandi coccole o manifestazioni sensibili di affetto.
    I farfalloni affettuosi non fanno che riempirmi di inquietudini anche con la loro affettività che percepisco malferma ed esposta a fare dolorose sorprese.
    E la coccola delle coccole – l’unica a volte e in ogni caso quella sempre sicura – è la presenza di Gesù inchiodato per amore alla Croce, prigioniero di amore per me nel Tabernacolo. Contemplarlo spesso è l’unica vera consolazione, perché non sempre ci sono i fratelli a consolare o perché non si può gravarli delle nostre pene
    Non voglio dilungarmi; solo due brevi precisazioni.
    Gesù non soffre solo tre giorni, anche se in modo inimmaginabile, data la perfezione della sua perfetta sensibilità; Gesù soffre ogni giorno della sua vita con Maria perché percepisce in sè lo scandalo del peccato e si sa l’Agnello di Dio, il Servo di Dio, il segno di contraddizione, fin dall’infanzia. Leggendo il Vangelo in questa luce sono innumerevoli i segni della sofferenza redentrice di Gesù in tutta la sua vita e Maria gli è sempre accanto.
    In ultimo spiego perché il cento per uno, promesso a chi abbraccia il celibato per il regno dei cieli può offrire più consolazioni del matrimonio: la molteplicità e la varietà delle persone a cui dedicarsi con cuore libero offre molte più occasioni di essere ricambiati. Perché sono d’accordo che si ha bisogno di essere riamati , ma l’assenza di questa reciprocità che dovrebbe essere doverosa, ma può non esserci, non autorizza a volgere le spalle.
    Per concludere sorridendo: mia nonna, una emiliana doc – dopo essersi ribellata per un po’ al mio celibato – diceva al mio parroco “ Se sposa la santa romana Chiesa, almeno non gli metterà le corna”. Non è un argomento teologico, ma la consolava. E io, in Gesù, nei sacramenti e nella fraternità, l’ho trovato in qualche modo, sempre vero. Buona notte a tutti
    .

  172. Mauro Leonardi ha detto:

    MI sono accorto solo ora che nel fare il copia/incolla mi sono sbagliato ed è uscito come se l’avessi fatto io: credo sia chiaro a tutti che era il “continua” dell’intervento di don Gian Paolo

  173. Mauro Leonardi ha detto:

    @Gianpaolo, Tres, Lidia, ribelle, Paola, Dory…

    Proprio nel giornata di ieri mi sembra che il vangelo della Messa ci dia spunti importanti sulla nostra Discussione.

    Luca ci dice come Gesù fa entrare in pieno gli Undici nel messaggio della Pasqua. Essi, come la suora di Padre Aldo, o tanti atri celibi e sposati, temono di vedere “fantasmi”, temono cioè una vita “immateriale”. Carità apparente, relazioni povere: “ciascuna viveva come se fosse stata sola”, diceva la suora di Padre Aldo.

    In primo luogo Gesù vince la loro paura dei fantasmi dando loro segni corporali, fisici, della realtà della sua resurrezione. «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro” (vv. 39-43)

    Poi, ai vv. 44-49 dà l’intelligenza delle scritture, e definisce il loro compito di testimoni della resurrezione. Credo sia qualcosa di molto vicino a quando dice don Gian Paolo: “(…) Si persevera solo se si è compreso con l’intelligenza e si è abbracciato con la volontà il senso dell’essere fedeli (…)”. Il vangelo dice: “Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: «così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco io mando su di voi Colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città finché non siete rivestiti di potenza dall’alto».

    Infine ai vv. 50-53 conclude presentando la gioia della vita con Gesù “già qui” perché Luca parla della vita dei primi cristiani, manifestazione della signoria di Gesù: “… poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio.”

    Credo che la risposta alle questioni poste da don Gian Paolo sia che ci devono essere tutti e tre i momenti: carne, senso, vita. E i tre momenti vengono prima uno, poi l’altro, poi il terzo. Non nel senso che il secondo prende il posto del primo, e poi il terzo del secondo, ma nel senso che al primo si aggiunge il secondo e quindi poi si aggiunge anche il terzo.

    Sempre ieri ho partecipato a un incontro spirituale in cui il sacerdote che presiedeva commentava il vangelo. Il sacerdote era alto e magro, e molto ascetico. Più o meno dell’età di don Gian Paolo. Ha detto che dapprima Gesù è andato incontro alla debolezza degli apostoli accondiscendo alle richieste dei loro sensi e delle loro emozioni ma “Gesù – aggiungeva – non si è fermato lì perché il vero obiettivo era far capire il senso”. No, caro fratello mio ascetico mistico: l’obiettivo di Gesù non è far capire il senso. C’è “anche” quello, perché anche quello fa parte dell’uomo.
    Ma l’obiettivo di Gesù è “dimora in me e io in lui”: tutto l’uomo tutto felice. Gli apostoli – l’abbiamo letto oggi – quando tornano dal lavoro della pesca trovano Gesù che gli ha fatto la grigliata di pesce sulla brace.
    Questo è il Dio Incarnato.

  174. fefral ha detto:

    raga’ ma quanto scrivete!
    Ho letto in diagonale, domani provo a legger meglio. Ma visto che vi siete dilungati sul commento di don GianPaolo quello l’ho letto con un po’ più di calma. Avrei un po’ di cose da dire, diciamo che all’apparenza è ineccepibile, eppure in quello che scrive secondo me manca qualcosa.Io di testimonianze di fedeltà come quelle che ci descrive ne ho avute tante. Poche di queste testimonianze mi hanno convinta. Quasi tutte mi hanno messo addosso una gran tristezza e voglia di scappare.
    Per perseverare (qualunque strada si sia scelta) c’è solo un modo: amare. Ma per amare bisogna aver imparato a farlo. E si impara ad amare solo se ci si scopre amati da qualcuno. E’ vero che è solo Dio quello che può colmare il nostro bisogno di amore. Ma Dio passa attraverso i cuori delle persone che amiamo. E ci ama attraverso quelli che ci amano. Ogni cuore che abbiamo accanto può essere un tabernacolo da contemplare e in cui trovare consolazione. Così come ogni cuore che abbiamo accanto può essere la croce che ci redime.
    Un’ultima cosa: don Gian Paolo, il cento per uno non è solo per chi vive il celibato. Chi vive il celibato ha la strada spianata per ottenerlo, ma è per tutti, anche per chi è sposato. Chissà perchè però ‘sto cento per uno per tanti celibi che conosco pare più vissuto come una condanna che come un dono. Lei sa spiegarmelo?

  175. fefral ha detto:

    Lidia, ho letto il tuo intervento. Non so cosa consigliarti. E’ vero, a volte pare che Dio si diverta a metterci alla prova. Io ci ho litigato tante volte con Dio per questo. Qualcuno scriveva qualche tempo fa che il pensare di arrabbiarsi con Dio pareva una bestemmia, quindi non vado oltre. Proverò a pregare per la tua amica. Non dirle niente, non credo ci sia niente da dire. Raccontale di te, e ascoltala. ti abbraccio, ciao

  176. Paola ha detto:

    Caro don Gian Paolo, ho letto il Suo intervento di risposta ai nostri commenti ieri sera, a notte fonda, dopo aver visto l’anteprima del film di Woody Allen, To Rome with love. Il film stavolta mi aveva davvero rattristata; nella cornice di una Roma bellissima, il regista dipinge un’umanità inutile, tra la leggerezza di un tradimento e l’inutilità di un società civile povera di cultura. Sicché la Sua lettera, caro don Gian Paolo, la descrizione della Sua vita di sacerdote, ricca, mi ha invece rallegrato, pensando alla Sua Sicilia cui Dio aveva regalato la grazia di un sacerdote capace di portare il buon odore di Gesù.
    Però un’osservazione devo fargliela, con affetto.
    Lei scrive: “il cento per uno, promesso a chi abbraccia il celibato per il regno dei cieli può offrire più consolazioni del matrimonio: la molteplicità e la varietà delle persone a cui dedicarsi con cuore libero offre molte più occasioni di essere ricambiata”.
    Ho tante amiche e amici, religiosi o laici che vivono il celibato apostolico, che sono, nella mia vita, un vero dono. Che aiutano, con la loro maggiore disponibilità, noi laici sposati.
    Ma la mia vita è ricchissima di “consolazioni” e di “persone a cui dedicarmi”!
    Ho un marito che, coma dice Sua nonna della romana chiesa, ad oggi, non mi ha tradito; ho cinque figli dai 3 ai 14 anni, che riempiono la nostra casa di caos e di amici e di mamme e babbi che vengono a riprendere gli amici; insegno in 3 università dove incontro, ogni giorno, decine di studenti, di anime cui poter aiutare a capire che Dio è dentro ogni cosa, e che anche studiando il diritto dei mercati finanziari o il diritto delle società, possono arrivano a capire qualcosa di più sulla bellezza di Dio.
    Buona domenica a tutti!

  177. fefral ha detto:

    “Abbiamo bisogno della testimonianza della fedeltà”
    torno su questo discorso della testimonianza della fedeltà
    Io penso che abbiamo bisogno della testimonianza di persone che amano davvero, con le loro debolezze e anche le loro crisi. Io non mi fido di persone che mostrano una fedeltà sicura.Ne ho viste troppe che si sono sbriciolate come biscotti. Mi fido delle persone vere, che questa fedeltà la cercano, a volte anche con difficoltà.

    Tornando al cento per uno: Gesù l’ha promesso a chi lascia tutto e lo segue. Don GianPaolo, si può lasciar tutto e seguire Gesù in tanti modi. Non si scandalizzi, ma io credo che si possa lasciar tutto e seguire Gesù anche abbandonando una scelta di celibato e sposandosi. La parola chiave in quella frase di Gesù è “seguimi”. Si può essere totalmente Suoi anche con una caterva di figli e un marito, e quindi aspirare al cento per uno in terra (ed essere fecondi aldilà del numero di figli che si è generato) oltre che al regno dei cieli. Semplicemente, don Gianpaolo, è un po’ più difficile. La scelta del celibe è un’autostrada larga, quella del coniugato un sentiero di montagna in cui bisogna stare attenti a non sbagliare un passo.

  178. Vera ha detto:

    @Fefral carissima rispondo alla tua che arrabbiarsi con dio è bestemmia, credo di no.. sempre meglio che arrabbiarsi e sfogarsi con l’uomo ! Il Signore è senpre presente e ci ascolta e ci chiede proprio di dirgli ogni cosa anche se arrabbiati o delusi. Tanmte volte anche io mi sono gettata ai suoi piedi con amarezza per i suoi silenzi e per l’accanimento delle vicende che mi hanno provata. Il mio amato vescovo quando mi ha ascoltata su questo punto in un momento tremendo mi ha consigliato di leggere Giobbe.. non per capire che nella vita ha avuto tanta pazienza… come tutti pensiamo, ma perchè arriva a bestemmiare e a sfidare Dio, ma in quello che fa e dice, non si allontana nè rinnega la sua presenza, la sua esistenza e la sua onnipotenza. Accettando comunque la sua decisione come buona. Bene anche io nella mia disperazione non ho mai mollato nè mai mi sono allontanata da Dio e dalla certezza della sua presenza nella mia vita a muovere i fili della mia storia. Solo grazie a Lui però!

  179. Vera ha detto:

    @ Fefral non sono molto convinta che essere celibi e restarci per amore di Gesù sia una autostrada aperta o che sia tanto o più facile. Tutte le scelte hanno le loro difficoltà. Essere fedeli fino in fondo è difficile, bisogna essere convinti con il cuore di ciò che si vuole vivere . Da celibi o da sposati essere fedeli a Cristo è faticoso. Se durante il matrimonio o il celibato venisse meno la fede, allora saremmo alle scelta della suora… infedeltà cambiamento di quei principi che mi ero fissata prima. Mio marito dopo tanto predicare alla gente e tanta pastorale e insegnamento di religione, corsi alle famiglie, dopo tremende violenze che ha propinato con tanta follia umana perchè ovviamente innamorato di un altra o del sesso direi io… mi ha costretta a uscire di casa e a separarsi per andare a convivere. Dove sono le sue fedeltà promesse???? dove sta la sua autostrada aperta?????. Viviamo cercando la Verità sempre fedeli a Lui…. al suo unico amore anche con fatica estrema ma andiamo con fede-ltà.

  180. Vera ha detto:

    @ don Gian Paolo la S. Romana chiesa non le metterà le corna sicuramente, ma tanti suoi confratelli sicuramente si… a noi piccoli uomini le fanno in tanti! Io ovviamente vado avanti pensando al sacerdozio di Cristo e perciò ho sempre illimitata fiducia in voi sacerdoti, ma tanta gente vi fugge non riuscendo ad andare al di là dell’umanità che è in voi. La fedeltà alla S. romana chiesa, ci aiuti tutti a ridare speranza a chi non la trova più.Grazie per il suo tempo speso per alleviare la gente , in loro lei allevia anche la mia solitudine. Dio la benedica

  181. sbit ha detto:

    Mi dispiace ma non ci riesco a leggere questo blog di chiacchieroni… (quanti interventi sono, 100, 200?) Lo dico perché magari ripeto quanto ha già detto qualcun altro, nel caso, chiedo scusa in anticipo.

    Dunque: io non sono d’accordo con don Mauro. Mi sembra la reazione di chi risente delle sue personali ferite e non penso possa aiutare la suora a ritrovare la strada. Provo a spiegarmi.

    1. Se incontrassi Giobbe te la prenderesti con Dio che lo ha trattato troppo duramente? Perché Dio tratta duramente quelli che più ama… è dura ma è così (ah, e Lui sa quello che fa, non dimentichiamolo).

    2. Quando una persona entra in religione si mette su un cammino molto difficile e molto ambizioso. Come andare in alta montagna: per raggiungere la vetta tocca soffrire e anche accettare il rischio di cadere. Inutile scandalizzarsi che non ci sono le ringhiere o altre sicurezze o che viene la tempesta o manca l’ossigeno: fa parte del gioco.

    3. C’è modo e modo di dire “Devi pregare di più”. A me sembra che padre Aldo non stia parlando di preghierine, sta dicendo che l’unica via di salvezza è gridare al Signore con tutto il tuo fiato perché solo da Lui può venire la salvezza. Si può anche pensare di riformare il convento, e il Signore chiederà conto delle responsabilità di ciascuno, ma quella non è una “via di salvezza”: alla vetta soprannaturale non arrivi con soluzioni umane. Se la suora dovesse riprendersi perché miracolosamente il suo convento diventa più umano, il mio cuoricino sarebbe appagato, ma il suo cielo sarebbe un po’ più distante.

    4. Mi sono perso sul “c’è modo e modo”… Volevo dire: posso mettermi al tuo fianco piangere con te e dirti che devi pregare di più, oppure posso restare nella mia torre d’avorio e dirti che devi pregare di più, ma la risposta da darti rimane la stessa.

    Insomma: alle superiore dico che devono fare qualcosa perché il convento non sia un inferno, ma alla suora posso solo proporle — con tutta la mia compassione — di abbracciare la sua croce. E se mi sembra che Dio sia troppo duro con lei, come Giobbe metto una mano sulla bocca e non dico più nulla.

  182. Tres ha detto:

    Salve Don GianPaolo, ho letto e riletto il suo secondo commento: funziona ma non riscalda.
    Lei mi ha citato (non con un “Cara Tres”!)e credo che forse nella risposta sopra a Ribelle un po’ mi sia spiegata meglio.
    Grazie di essersi lasciato “inguaiare” da Don Mauro in questo Blog.
    Continuiamo a parlare forse la capirò. Ci tengo,veramente.

  183. Tres ha detto:

    Allora Don GianPaolo caro, eccomi. Lei dice:

    “Non sono un allevatore di marines cattolici ma nemmeno di generoni lacrimosi.Oh che dolce compagnia oh che bella comunità! Questo si trova solo nelle scene del Mulino bianco per ammollarci biscotti non sempre all’altezza”.
    Quando nella vita, e capita spesso, ti tocca mangiare biscotti non all’altezza, l’unico modo di mandarli giù senza strozzarsi è una buona tazza di latte genere “Mulino Bianco”. Sarà pure “generone lacrimoso” ma intanto mangi e ringrazi pure (due cose che fanno bene nella vita).
    A volte, purtroppo, se i discorsi funzionano ma non scaldano, si generano Marines cattolici.

    “I farfalloni affettuosi non fanno che riempirmi di inquietudini anche con la loro affettività che percepisco malferma ed esposta a fare dolorose sorprese.”
    Non tutto ciò che è affettuoso è farfallone. Le persone affettuose, al limite, sono un po’ appiccicose. Ma che male c’è a desiderare che Gesù, oltre che salvarmi dal peccato, mi cucini un po’di pesce e stia con me a guardarmi e chiacchierare?
    Sarà che, quando io “contemplo Gesù nel Tabernacolo”, Lui, nella “Sua infinità sensibilità”, non mi spiega la Trinità ma è affettuoso con me.

  184. Tres ha detto:

    @Vera tempo fa da qualche parte nel blog, io e te, ci siamo scambiate affettuosità in un momento di nervosismo. Dopo quello che hai scritto, io, replicherei!
    P.S.Mi sa che non ti sei capita con Fefral, un po’dite la stessa cosa. Scusate se mi sono intromessa tra i vostri commenti. Ciao

  185. fefral ha detto:

    spiego un attimo cosa intendo per autostrada. Non penso che una scelta sia più o meno facile dell’altra. Ma per un celibe è più semplice incarnare il “lascia tutto e seguimi”. Però io credo che questo invito di Gesù sia per tutti. A ognuno di noi Gesù chiede di lasciare tutto. Per chi vive una vocazione al celibato (parlavo di celibato per vocazione, non un semplice celibato) è più facile perchè non ha vincoli, non ha doveri. Ma anche una donna sposata deve imparare a lasciare marito, figli, casa ecc… E dovrà imparare cosa per lei comporta rinunciare a marito, figli, casa…ecc. Per questo è più complicato. Perchè dovrà lasciare tutto ma senza abbandonare nessuno. Un celibe non ce l’ha ‘sto problema. Ha il problema contrario: imparare ad amare senza essere obbligato a farlo da vincoli particolari.
    E quindi, ribadisco a don GianPaolo, credo che sia sbagliato riservare la promessa del cento per uno solo a chi fa una scelta di celibato. Il cento per uno è per chi riesce a vivere totalmente il dono di sè (lasciar tutto) e seguire Cristo, indipendentemente dal suo stato.

  186. Mauro Leonardi ha detto:

    @Lidia, Fefral
    Una persona che conosco molto bene e che ha tantissima fede e amore di Dio mi ha appena detto che ascoltando le “lamentazioni” di Gesù del venerdì santo (sono un preghiera della liturgia di quel giorno) ha capito che Gesù nell’orto degli ulivi era proprio “inc… to”. Ha detto proprio così, senza puntini ma dicendo la parola intera.
    Io penso che chi mi ha detto questo abbia proprio ragione.
    Arrabbiarsi con Dio è un bellissimo modo di pregare. Ci si può benissimo arrabbiare senza bestemmiare… anzi bestemmiare mi sembra proprio tutta un’altra storia. Mi hanno detto di un santo che tornando davanti al Tabernacolo dopo una certa vicenda si è rivolto a Gesù Eucarestia dicendo: “ma cosa mi combini?”… e faceva così con le mani.
    Quando si è arrabbiati bisogna pregare arrabbiandosi.

  187. Mauro Leonardi ha detto:

    Aggiungo che chi non ai arrabbia in quelle situazioni, in genere non prega e basta… e sono dolori!

  188. Mauro Leonardi ha detto:

    Grazie Paola! sai che io non l’ho ancora letto (cioè da quando è pubblicato…)

  189. Mauro Leonardi ha detto:

    Gian Paolo è molto bello lo spaccato che dai della vita sacerdotale…

  190. Polifemo ha detto:

    Paole’ ma te m’encanti! Ma comé che vai a vedé l’anteprime dei film? Ma ce vengo pure io! Ma come fai? Co’ cinque figli, co’ n marito che cuanno nun ve capite tè ie spieghi come te deve d’amà… e mo’ oggi spuntano pure le lezioni all’università cogli studenti. Ma te che sei, supermen? Mo’ me veniva de ditte che sei bella e de salutatte com l’artre vorte, ma me sa che se c’hai cinque fiji, un marito figo, un mare de sordi, stai ner monno der cine, la tata filippina ingravedada che te riesci pure a preoccupà de lei, e gli studenti in tre quatro università che je parli de Dio, me sa che me scateni contro James Bond e la Cia. Ahò, nun me dì che sei pure bionda e magra e fai fitnes, se no me s’ammoscia (no vabbé questa nun la dovevo de dì) (ma forse cuanno ce vò ce vò come dimo noiartri).
    Vabbé me sa ch’è tutta ‘nvidia pecché io so fuori casa, pecché mi moje Rosa m’ha cacciato.
    Me scusi?

  191. Mauro Leonardi ha detto:

    Polifemo questa volta hai esagerato. Hai una settimana di sospensione dal blog!

  192. Paola ha detto:

    Polifemo, te l’ho già detto altre volte: le tue molte e bellissime energie devi spenderle per ri-conquistare la tua Rosa! Ne vale la pena!!! E tu stai facendo passare troppo tempo: datte da fa!!!!

  193. Ribelle ha detto:

    Tres se ti rispondo di nuovo, mi raccomando, non leggerla come una critica(non mi permetterei mai per vari motivi che qui non elenco,ma tu puoi ben intuire…)
    Io ho riflettuto tantissimo sul problema del mio carattere e su come l’emotività possa costituire un limite e nel rapporto con Dio e (persino) nei rapporti ecclesiali…Avrei tantissime cose da dirti, ma mi limito (per ora!) ad allegarti un brano che mi fatto davvero bene…anche se parla di sofferenza e di ascesi ed è nella linea di d Colò( che come si è capito, mi sembra giustissima…)
    “Il.temperamento non predestina uno alla santità ed un altro alla dannazione. Qualsiasi temperamento può servire di materia grezza per la salvezza o per la rovina. Dobbiamo imparare a vederlo come un dono di Dio, un talento da trafficare sino alla sua venuta. Non importa quanto sia povero e difficile quello di cui siamo dotati: se ne faremo buon uso, se lo metteremo a servizio dei nostri buoni desideri, potremo fare meglio di un altro che si limita a subirlo invece di servirsene.
    Ogni uomo,inizia il cammino con il dono dell’esistenza e con le capacità che Dio gli ha dato. Raggiunge l’età della ragione e incomincia a fare le sue scelte, in gran parte già influenzate da ciò che gli è capitato nei primi anni della sua esistenza e dal temperamento con cui è nato. Seguiterà a essere influenzato dal comportamento di chi lo circonda, dagli avvenimenti del mondo nel quale vive, dalla fisionomia della società; ma ciò nonostante resta sostanzialmente libero.-continua

  194. Ribelle ha detto:

    Chi ha un temperamento iroso sarà più portato all’ira di un altro, ma fino a che resta sano di mente è anche libero di non adirarsi. La sua inclinazione all’ira costituisce semplicemente una forza nel suo carattere, forza che può essere indirizzata al bene o al male, secondo i suoi desideri.
    Sarebbe assurdo supporre che siccome l’emotività interferisce talvolta con la ragione, non trovi perciò posto nella vita spirituale. Il Cristianesimo non è lo stoicismo. La Croce non ci fa santi distruggendo il nostro umano sentire. Distacco non è insensibilità.
    Un santo è un uomo perfetto. È un tempio dello Spirito Santo. Riproduce, nella sua maniera individuale, qualche cosa dell’equilibrio, della perfezione e dell’ordine che scorgiamo nel carattere umano di Gesù.
    Se non abbiamo sentimenti umani non possiamo amare Dio nella maniera nella quale vuole che Lo amiamo — ossia da uomini. Se non rispondiamo all’affetto umano non possiamo essere amati da Dio nella maniera nella quale ha voluto amarci — con il Cuore dell’Uomo Gesù che è Dio, il Figlio di Dio, il Cristo.

    La vita ascetica deve quindi essere intrapresa e condotta con estremo rispetto per il temperamento, il carattere, l’emotività e tutto ciò che ci rende umani. Anche questi sono elementi fondamentali della personalità e quindi della santità — perché un santo è un essere che l’amore di Dio ha fatto diventare pienamente una «persona» a somiglianza del suo Creatore.
    Il controllo della emotività compiuto dal rinnegamento di sé tende a maturare e perfezionare la nostra sensibilità umana. La disciplina ascetica non risparmia la sensibilità: se lo facesse, verrebbe meno al suo compito. Se veramente ci rinneghiamo, questo nostro rinnegarci ci priverà talvolta di case delle quali abbiamo davvero bisogno, e ne sentiremo allora la necessità.

    Dobbiamo soffrire. Ma l’assalto che la mortificazione dà ai sensi, alla sensibilità, all’immaginazione, al proprio giudizio e volere ha per scopo di purificare ed. arricchire tutte queste facoltà. I nostri cinque sensi vengono accecati dal piacere disordinato. La penitenza li rende più acuti, restituisce loro la naturale vitalità, anzi la accresce. La penitenza rischiara l’occhio della coscienza e della ragione: ci aiuta a pensare con chiarezza, a giudicare con criterio. Fortifica gli atti della volontà, eleva anche il tono della emotività: .

    Taluni si distolgono da tutta questa emotività a buon mercato con una specie di disperazione eroica e cercano Dio in un deserto in cui le emozioni non trovano nulla che possano sostenerle. Ma anche questo può essere un errore. Perché se la nostra emotività muore davvero nel deserto, con essa muore pure la nostra umanità. Dobbiamo ritornare dal deserto come Gesù o san Giovanni, con le nostre capacità di sentire accresciute e approfondite, fortificate contro i richiami della falsità, agguerrite contro la tentazione, fatte grandi, nobili e pure.(T Merthon)
    PS Siccome oggi è una bellissima festa(della Misericordia, che infine è l’unica vera “coccola” che Dio continuamente e immeritatamente ci fa!!!) ti lascio anche queste poche parole…

    Mio Signore e mio Dio”…(Tommaso)
    “Mio” evoca il Dio intrecciato con la mia vita…
    “Mio” perché parte di me…
    Mio come lo è il cuore e, senza, non sarei.
    Mio come lo è il respiro e, senza, non vivrei…
    …Voglio custodire in me questo aggettivo, come una riserva di coraggio per la mia fede(Ermes Ronchi)

  195. Ester ha detto:

    Ho letto e riletto la lettera di d. Gian Paolo e anche il suo secondo intervento. Che dire? Chi ha ragione? Ma si tratta di ragioni? Un po’ su questo blog cosa mi è successo ve l’ho raccontato. Inutile tornarci.
    C’è stato un tempo in cui credevo che la fedeltà fosse una questione di volontà, di intelligenza ben orientata al mistero di Dio. Facile? No per niente, però ero sicura di questo. Non mi sarebbe mai accaduto di ritrovarmi impastoiata nelle vicende di cuori che ‘impazziscono’, che non capiscono più nulla, che persino sanno ‘rigirare’ la verità, perché la verità è una e non si cambia. Forte, decisa, sicura di me e della mia vocazione al celibato. Così sicura da conoscere i vangeli a memoria, perché se leggo le Scritture lo conosco e se lo conosco non mi stacco da Lui.
    C’è stato un tempo in cui ho pensato che tutto fosse stato una farsa. La verità il cuore (quello di noi donne soprattutto?!) la rigira in un batter d’occhio. Chi di voi non ha sentito, non solo da un celibe, ma anche da uno sposato frasi tipo “ma io avevo le fette di salame sugli occhi, non vedevo bene quello che stavo facendo, ero condizionato..” o cosa del genere. Il tempo dell’infedeltà, se volete possiamo chiamarlo anche così. Non che abbia fatto chissà quali cose di male, ma non è questo il punto. Il punto è che il cuore cercava altro, altro che non fosse quel freddo volontarismo, e quella sicurezza che sembra essere sinonimo di fedeltà, ma che a volte è solo la difesa guardinga delle nostre paure.
    C’è stato un tempo in cui ho pensato che fosse colpa di quello o di quella, di chi abitava con me e non mi amava abbastanza. Si chiama tempo della fuga. Come la suora di p. Aldo che se la prende con la sua comunità, con i superiori che non capiscono. E ben venga anche questo tempo, se è un tempo di passaggio. Io lo rispetto perché dietro tutto questo c’è sempre un desiderio di bene e di verità, e ben vengano anche i cambiamenti dentro le nostre realtà, per renderle più a ‘misura d’uomo’.
    Poi mi sono guardata dentro e mi sono detta: cosa vuoi fare? Andartene o cercare? È stato il tempo dell’umile fiducia in chi mi accompagnava. Il tempo in cui riscoprire che quando si è “malati non c’è bisogno solo della fredda tecnica, ma di quel prete (o quell’amico/a) che attraversa mezza città, per passare un po’ di tempo con te che mendichi solamente un gesto di tenerezza”. Il solo linguaggio che si riesca a capire, quando la verità non si sa più da che parte sta e la volontà è diventata come una goccia di rugiada che al sole svanisce!
    E ora c’è il tempo di chi ha deciso di rimanere. Non lo chiamo il tempo della fedeltà, addosso a me sembra una parola tanto grande. È il tempo di chi forse ha un po’ compreso che per lei tutte queste cose erano necessarie: la volontà, il cuore, la fuga, l’umile fiducia… per imparare a rimare. Ho bisogno di tutto questo, tutto questo, insieme, unito è la preghiera più bella che possiamo fare al Padre del cielo… vi ho già detto che un tempo ho letto qualcosa di s. Francesco, di lui il biografo scrive che “Francesco non era un uomo che pregava, ma un uomo fatto preghiera!”…. una vita fatta preghiera, il mio corpo, il mio cuore, la mia intelligenza,…anche i miei sbagli… fatti preghiera!
    Anche quando si è arrabbiati come Gesù il venerdì santo: bello quel canto. L’ho ascoltato anch’io ma non avevo pensato all’arrabbiatura di Gesù che dice : Popule meus, quid feci tibi? Responde mihi?”. Lidia assomiglia un po’ alla domanda della tua amica cinese! Scusate sono stata veramente prolissa… e con questa storia del tempo mi sembro quasi Qoelet!!!

  196. fefral ha detto:

    Torno sugli interventi di don Giampaolo (scusatemi ma in questi giorni ho davvero pochissimo tempo e non riesco ad essere costante, quindi potrei ripetermi su altri interventi che magari mi sono sfuggiti).
    C’è un punto che non mi sembra molto chiaro dai suoi scritti e che per me invece è fondamentale. Da quando ne ho scoperto la portata, aldilà delle semplici parole, mi si è aperto un mondo per quanto riguarda l’amore a Dio e l’affettività. Nel vangelo Gesù ci insegna in maniera molto chiara ed esplicita il modo in cui dobbiamo amare Lui, e quindi di conseguenza cosa significa “lasciare tutto e seguirlo”. “tutto ciò che avrete fatto ad ognuno di questi piccoli l’avete fatto a me” “non c’è amore più grande di questo, dare la vita per i propri amici”
    La carità fraterna non è, come sembrerebbe ad una lettura veloce di quello che scrive don Gianpaolo, un semplice aiuto per la perseveranza (nostra e degli altri). Ma è “IL” modo in cui Gesù ci indica di cercarlo e di trovarlo. Solo nell’amore agli altri troviamo Cristo. Se manca quest’amore (con manifestazioni anche concrete, nutrire, vestire, curare) manca l’amore a Cristo (tutte le volte che non avete fatto questo a uno di loro non l’avete fatto a me). Non si tratta di coccole e smancerie, ma di amore vero per il Cristo che è nascosto in ogni persona che abbiamo accanto. Ed è sostanza, molto più sostanza di quella fedeltà intelligenze e volontaria ma tante volte fredda e razionale. È in quest’amore dato e ricevuto che si trova il senso della perseveranza, qualunque sia la vocazione che stiamo vivendo. Non nelle mezze ore di orazione comode e tranquille davanti al tabernacolo, o almeno non solo in quelle. Ma piuttosto nel tempo speso a cambiar pannolini, o ad ascoltare i problemi di lavoro di un marito stanco, o a insegnare a un giovane collega l’ABC del suo lavoro, o a mangiare una pizza insieme a un amico che ha avuto una giornata storta e ha voglia di distrarsi un po’.
    Aggiungo, è amore fraterno anche mostrarsi deboli, sofferenti e tristi davanti alle persone che amiamo, pur sapendo che probabilmente non riceveremo da loro consolazione, proprio come è successo a Gesù nell’orto degli ulivi. Ma questo non gli ha impedito di cercare la compagnia degli amici più cari, senza nascondere loro la sua paura, e la sua sofferenza. A quel punto
    sì che dobbiamo sapere essere disposti a rimanere soli, senza consolazione, senza la comprensione delle persone che amiamo.

  197. Dory ha detto:

    ç Ester- hai fatto un intervento bellissimo in cui mi sono rivista tanto…All’inizio è difficile accettare che anche le nostre paure, le nostre imperfezioni, le nostre inc*****ture possano ESSERE preghiera, come tutto di noi. Io sono a quel punto. Non ho avuto una formazione adeguata al matrimonio cristiano e più in generale al cristianesimo. E oggi mi trovo a dover accettare che la mia fedeltà In Lui,sta nell’offrire con amore anche le cose che non vanno, gli errori che non si possono più rimediare e anche quelli che, se si rimedieranno…Chissà quando succederà! Mi presento all’altare come ad una festa con un regalo impacchettato male ( in effetti i miei pacchi regalo sono noti per le loro sembianze schifose…Ho una manualità pari allo 0!!!) ed è questo, solo questo che posso offrire al Signore! Prima sarei scappata. Come posso presentarmi così? Ora dico al Signore…Ecco la mia vita. Te la dono. Lo so…E’ incartata male. Ma te la dono così con tanto amore. E tu sai, leggendo nel mio cuore, che se avessi potuto avere altre mani, ti avrei confezionato il pacco regalo più bello. La consolazione è che Tu, Tu puoi vedere cosa avrei voluto offrirti, cosa vorrei offrirti ora se solo potessi e vedi anche la povertà che invece ho tra le mani e anche la mia vergogna, la mia intensa sofferenza per la distanza che c’è tra quello che vorrei ( e che appena appena sto iniziando a comprendere) e quello che vivo ogni giorno. Ma Tu sei con me! Anche io ho bisogno di tutto questo!!!
    ç Ribelle- la meditazione è bella…L’unica cosa su cui non sono d’accordo (ma forse è frutto della mia fantasia) è che i santi siano persone perfette…Sai mi piacerebbe che qualcuno scrivesse la vita quotidiana dei santi: io mi sono sempre immaginata che S. Paolo fosse sempre rimasto, anche dopo la caduta da cavallo – uno “spiritaccio”, irruente ed impulsivo, la Maddalena una donna pudicamente attenta alla propria bellezza e castamente “civettuola”…Escrivà uno un pò “rompiscatole” e fissato con l’ordine e guai chi sgarra… E così via!!! Non voglio sembrare irrispettosa, non è assolutamente la mia intenzione:la mia fantasia mi fa immaginare questi santi così “umani” e rivolgermi a loro immaginandoli così…Mi fa sentire più a mio agio. Me li fa sentire più vicini (dipende sempre dal fatto che non sono uno spirito mistico…)! Certo non pretendo che sia una tecnica di preghiera proprio ortodossa, forse anzi sbaglio a “fantasticare” e pregare così..Ma risponde al mio cuore!

  198. Mauro Leonardi ha detto:

    Abbiamo iniziato il secondo capitolo di questa Discussione. Ho copiato gli ultimi tre o quattro interventi e mi dispiace proprio non averli copiati tutti!