Blog / Racconti | 27 Novembre 2011

Mauro Leonardi – Regina in Samaria

Il giudeo mi rivolse la parola (no, questo non rende l’idea). Dovete sapere che giudei e samaritani non si parlano, ciò nonostante quel giorno il giudeo mi rivolse la parola (neppure così rende l’idea). Dunque, vediamo. I maschi dei giudei non parlano a tu per tu con le femmine. Si discostano dalle femmine. Se un maschio solitario si avvicina ad una femmina solitaria, la gente potrebbe pensare che le si voglia accostare. Perciò non le si avvicina e non le parla. Tanto più se il maschio è giudeo e la femmina samaritana, com’era nel mio caso. Eppure il giudeo mi rivolse la parola (neanche adesso rende l’idea). Riproviamo. Quel maschio giudeo che non dovrebbe parlare a tu per tu con una donna, e figurarsi se lo può fare con me che sono samaritana, parla con me e mi chiede da bere. E lo fa con un tono strano. Un tono che non mi era mai capitato. Il tono di chi chiede permesso. Sapete, al pozzo e nella città di Sicar tutti sanno la mia storia. Tutti i cammellieri mi conoscono perché da anni, dopo aver fatto abbeverare gli animali, è con me che si
dissetano. E non mi chiedono acqua. Vogliono un’altra cosa. Una cosa con un prezzo.
Ecco, questo rende l’idea.

Io, dice la samaritana, dopo che il giudeo mi parlò, pensai: è da molti anni che faccio la buona samaritana. Da quando ero una bambina, si può dire. Ma un approccio così non l’ho mai sentito. Gli uomini che ho conosciuto, i cammellieri, sono un genere d’uomo che va subito al dunque. Questo tono gentile mi irrita. Mi sembra voglia metterci il condimento dell’ipocrisia. Se vuoi toglierti la sete con me, facciamo subito e facciamo presto; ma se vuoi fare il banchetto di Versailles, sappi che anch’io so stare a tavola. E allora dimmi: come mai tu che sei Giudeo, chiedi da bere a me che sono una donna samaritana? Avanti, spiegami un po’ questo.
E lui, duro, insiste. Un discorso strano. I miei uomini, i maschi cammellieri intendo, quando vogliono fare i califfi le cose le dicono dirette: ehi bella, con me sarai tu a divertirti. E io fingo di starci, è un servizio incluso nel prezzo. Questo giudeo invece continua nei suoi discorsi da romantico ellittico. Il dono di qua…, il dono di là…, se sapessi chi sono io saresti tu a volerti dissetare da me… Ah sì? Va bene: se il gioco è ad insistere, insistiamo. Allora gli dico: e come fai, amore mio a darmi da bere, se non hai il secchio? Ecco guarda bene quello che ho in mano. Lo vedi?, gli dico, questo secchio mi ha consentito di non scendere ancor più in basso. Mi ha permesso di non leccare scodelle altrui. Di limitare a sei il numero dei miei padroni.
Ma lui rilancia. Continua coi suoi discorsi confusi, ed io mi stufo. Alla mia età i giochetti li conosco proprio tutti. Basta lagne. Si tratta di acqua, si tratta di pozzi, si tratta di una vita da schiava, mio caro. Hai di fronte una che fa il doppio turno. Finito con i cammellieri, mi alzo e vengo qui a spaccarmi la schiena perché il pozzo è profondo. Non ti sei accorto che è mezzogiorno e sono l’unica al pozzo a quest’ora? (non rendo abbastanza l’idea della mia solitudine?) Non ti viene da chiederti come mai non vengo a prendere acqua alla mattina o alla sera, come fanno tutte le altre donne per bene? (lo vedi che sono la solitudine fatta persona?). Lo sai o no che non vogliono confondersi con una come me? (hai mai visto la solitudine fatta persona?)
Usciamo dalle metafore e facciamo presto. Se hai modo di darmi l’acqua di cui parli, e di liberarmi un po’ la vita, beh spicciati. Altrimenti, finiamola.
(Ne hai abbastanza di acqua per la mia solitudine?)

A quel punto lui, il giudeo, Gesù, capisce che io non ho capito nulla. Che ho frainteso tutto. Ha capito che sono sola e con due parole arriva al dunque. «Va a chiamare tuo marito», dice. Era come se l’avesse saputo. Che io, da parecchi anni non ci sto più a chiamare “mariti” i miei padroni. Era un patto fatto con me stessa, tutto dentro di me, che non potevo dire a nessuno perché sennò erano altre botte. Protettore, padrone, lenone, sono tutti i nomi con cui lo chiamo dentro di me. Ma al di fuori sto al gioco. Quando ero ancora una bambina mi avevano venduto al primo marito, e poi ero passata di mano in mano. E avevo capito che marito non era la parola giusta. Perché marito vuol dire sposo, amore, anima. Un’altra cosa. Proprio quella che lui intende quando usa la parola “marito” . Allora capisco tutto. Perché se vuole conoscere il mio sposo, allora è chiaro che non mi vuole usare. E’ tutta un’altra storia. E’ una storia di sponsali. Quel giudeo è stata la prima persona a cui ho detto di non avere mariti, di essere senza sposo. E’ la prima persona cui ho detto che io non sono una sposa; che sono tutta un’altra cosa. Io non ho un “marito” come intende lui. «Io non ho marito, sono sola», mi sfugge dalla bocca e quasi vorrei riprendere quelle parole come un uccellino che scappa dalla gabbia lasciata aperta per distrazione. Ma ormai è libero e svolazza felice in giro per la stanza, ed imbocca la finestra. E vola via nel cielo. Mi mordo le labbra perché quello sconosciuto potrebbe ricondurmi con un ceffone all’ordine, al ruolo, alla catena. Ma lo schiaffo non arriva, anzi il suo volto sorride e la sua bocca mi dice quello che nessuno mi ha mai detto: «Hai detto il vero».

Ho avuto sei mariti ma non ne ho mai avuto nessuno. Ma quanti occhi ho avuto addosso. Occhi occhi. Occhi di cammellieri sulla samaritana, l’acqua del pozzo. La samaritana ricorda. Occhi occhi. Ricorda scoiattoli fra i rami del giardino. Ricorda segreti antichi, dieci anni e mezzo. La samaritana ricorda una bambina prigioniera nell’angusto carro. La prendono, la vendono. La comprano. E lei che voglia di fuggire che voglia di morire che voglia di scappare nel mondo degli scoiattoli ed essere per l’eternità: no, non una donna e nemmeno un uomo. Piuttosto una bestiolina timida tutta occhi, quasi senza corpo.
Occhi occhi. Occhi di Gesù. Quel giudeo la fa sentire una vergine senza marito. Che può diventare sposa. Spurgano i ricordi, si puliscono i peccati. Scopre di avere un sacco di talenti che non sa di avere. E’ la gioia di lui che la ispira. La sua felicità. Le dà ali il suo credere in lei. Occhi occhi. Com’erano diversi i suoi occhi da quelli di tutti gli altri. Non verdi o azzurri. Occhi che le credono. La trattano non per quello che è, una carne senza marito, ma per quello che vuole essere, una vergine pura. Con Gesù si può parlare. Gli racconta tutto quello che ha fatto. Lui crede in lei e lei crede in lui. Lui ha tanto creduto in me, che va a finire che ci credo pure io. Che posso essere libera. Vergine. Con uno sposo che non sia un marito. Sette è il numero della pienezza, il settimo giorno il lavoro di Dio giunse a pienezza. Al sesto marito ho capito di non aver avuto neppure gli altri cinque, forse dovevo arrivare al settimo uomo per trovare l’unico sposo.
Basta voglia di fuggire, basta voglia di morire, basta voglia di essere un musetto tutto occhi.
Occhi di Gesù. «Hai detto il vero». Non la guarda come una cosa. La guarda come fosse un bel panorama. Da regina. Da anima. E’ il suo belvedere sul mondo dell’amore.

Mi guardava e taceva. Quando stavo con i cammellieri, la mia anima fuggiva dal mio corpo, usciva fuori come se non c’entrasse nulla con il mio corpo. Voleva rimanere fuori finché avessero finito di usarlo il mio corpo. La mia anima usciva fuori e cercava anima, amore, aria. Dio. Più dicevano ti adoro, più la mia anima schizzava lontano a cercare l’unico che si può adorare. Occhi occhi, anche i miei occhi erano cambiati. Il volto di Gesù è il più bel panorama, è una bella vista sull’infinito eterno. Mi stava ridonando i miei occhi ed io pensavo, ci sarà tempo per curiosare nel resto della creazione: con questo Gesù che mi ha sorriso ne ho per secoli di contemplazione.

Questo giudeo, Gesù, è un profeta. Dimmi: mi trattano da cosa, ma io voglio trattare Dio. Quando sto con loro, la mia anima scappa e va a cercare Dio, ma non lo trova. “Giudeo, Dio dove abita? Sono venuta per adorarlo”. Abita nel tuo cuore donna, mi disse. Tu sei adatta per lui. Lui è la verità e tu dici la verità. Sei un’innamorata della verità. Vi troverete bene assieme. Tu cerchi lo spirito e lui è lo spirito. Vi troverete bene assieme.
Oddio giudeo, come parli bene, ma sai che mi sembra di sentirlo già qui adesso il mio Dio?

Mi sembra di sentirlo già qui adesso il mio sposo. “Anche in questo hai detto il vero, donna. Tu sei innamorata della verità, ed io sono la Verità. Sono io stesso che parlo con te. Lascia qui tutto quello che hai fatto, lascia qui il tuo secchio, e corri libera come non hai mai fatto”

Gesù e la samaritana. Due nuvole di piuma. Una luna superflua di mezzogiorno, dicono gli apostoli. Non è superflua la luna a mezzogiorno, si correggono gli apostoli. E’ uno spettacolo incantevole da non disturbare.
La samaritana ora sente le fronde che le promettono una specie di nuovo silenzio, che è come il declinare dell’infamia e dell’onta, sommesso e sottile, sorta di parto: meglio adesso restare silente dentro la pozza. Acqua cheta che si pulisce. Ecco il vento. Sente le ali degli uccelli remigare l’aria zitta, moto che scuce cuce scuce cuce. Tutto è passato. A posto.

Occhi occhi. Occhi di paese che ammiccano, accarezzano acide, vecchie zie piene di astuzie. Vieni raccontaci i tuoi segreti dicono donne sgraziate, concimaie coperte di velluto. Risa soffocate, ghigni di vicine. Ecco la buona samaritana che viene. Adagio adagio tendiamole sopra la nostra bava di ragno. No, non ho più niente da dire. Lui mi ha detto tutto quello che ho fatto.
Trame di donne di paese che intrappolano, intrappolano il nulla. Incatenate pure se volete. Io vi do il mio segreto di congiura. Ho congiurato con Dio. I vostri sono solo impasti di menzogne sodali.
La donna non è una pignatta colma di miele e vergogna, ma un tesoro nascosto in attesa del Redentore.

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Nota esplicativa. Questo brano non ha l’obiettivo di trasmettere un immagine-ritratto dell’evento di cui parla, ma di creare una forma di racconto che, immaginando, renda presente. Non si cerca una specie di fotografia del “come è andata”, ma di rappresentare il brano evangelico attraverso la raffigurazione di un aspetto del suo significato. In questa linea non ha molto senso chiedersi se una donna che conduce vita dissoluta possa essere chiamata prostituta, in senso tecnico: in questa fictio letteraria ritaglio questo personaggio sul profilo della samaritana. E ciò mi sembra fondato pur rimanendo opinabile. E’ fondato? Mi sembra di sì: è certo che a quell’epoca non si andava a mezzogiorno a prendere l’acqua al pozzo (Gv 4,6). Le donne di un paese erano solite compiere quel lavoro all’alba o al tramonto. Le donne di quel paese, però, non vogliono mescolarsi con “quel genere di donne”. E neppure queste ultime vogliono farlo, stancandosi dei loro pettegolezzi e dei loro sarcasmi: tanto più suggestivo è considerare che, dopo l’incontro con Cristo, la vita passata è per quella donna qualcosa che può stare sulla bocca di tutti: “mi ha detto tutto quello che ho fatto”(Gv 4,29). E’ qualcosa che non la riguarda più, ma se serve per giungere a Cristo se ne puà parlare.
Chi non si accontentasse di queste affermazioni, potrebbe leggere profittevolmente lo studio di Jean Luis Ska, “Jésus et la Samaritane (Jn, 4)”, in Nouvelle Revue Theologique, vol. 118, 1996, pp. 641 – 652 dove si collega l’episodio giovanneo a Osea 2. Lì la prostituta ingannevolmente crede di essere dissetata dai suoi amanti (“Seguirò i miei amanti, che mi danno il mio pane e la mia acqua, la mia lana e il mio lino, il mio olio e le mie bevande” Osea 2,7) e invece solo Dio toglierle la sete, come avviene per la samaritana; inoltre, anche in Osea, si ha il passaggio da padrone a marito che abbiamo poeticamente illustrato nel brano. In Osea si dice: “Mi chiamerai: Marito mio, e non mi chiamerai più: Mio padrone (…) Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell’amore, ti fidanzerò con me nella fedeltà e tu conoscerai il Signore” (Osea 2, 18.21-22).
Infine, molto significativo su chi sia una donna di Samaria è anche il brano di Amos (4,1): “Ascoltate queste parole, o vacche di Basan, che siete sul monte di Samaria, che opprimete i deboli, schiacciate i poveri e dite ai vostri mariti: Porta qua, beviamo”. Anche in questo caso c’è il gioco di significato tra padrone e marito e ilm riferimento alla seta. Anche queste scene si svolgono in Samaria.

Mauro Leonardi, Studi Cattolici n. 539 – Gennaio 2006