Blog | 09 Novembre 2011

Fidarsi di sé o abbandonarsi a Dio? Sì, ci vuole l’”Anno della fede”

Vivere di fede vuol dire abbandonarsi al Dio paziente che ha cura dei suoi figli. I giovani adorano le storie di amore eterno ma sono circondati da gente che tradisce il partner o che svaluta l’impegno di celibato che ha preso per amore di Dio e del suo Regno (penso ai sacerdoti, ai religiosi e ai laici). Per questo i giovani hanno bisogno di gente che si abbandona alla pazienza di Dio, di un Padre che ha cura di me e che non è solo uno che “risolve i miei problemi”. Me lo dicono più di vent’anni di accompagnamento
spirituale di ragazzi e ragazze. Non c’è dubbio: la fede dei giovani può rafforzarsi se incontra persone in cui la fede “è vissuta come esperienza di un amore ricevuto e viene comunicata come esperienza di grazia e di gioia” (Porta Fidei n.7). Così sapranno che la fede “rende fecondi, perché allarga il cuore nella speranza e consente di offrire una testimonianza capace di generare” (n.7). Altrimenti i giovani che anelano l’amore eterno del matrimonio o del celibato si comporteranno come se comprassero un oggetto. Sono davanti all’altro, a Dio, e credono di sapere quello che desiderano perché quando comprano qualcosa sanno esattamente “perché” comprano quella cosa e non un’altra. Esaminano il candidato verificando che abbia i requisiti promessi dalla marca e in caso positivo ripassano per l’acquisto, cioè per il matrimonio o per l’impegno di celibato. Pensano: “come compro qualcosa solo se ha tutti i requisiti, così finché avrà tutti i requisiti questa storia continuerà e anch’io sarò garantito nell’amore”. Porta Fidei ci dice che le cose non vanno così. Non c’è nessun rapporto né con gli altri né con Dio che funzioni una volta per tutte né che vada male una volta per tutte. Per il credente innamorarsi, aprirsi alla fecondità sia fisica che spirituale, è saltare dentro a una Storia con tutti e due i piedi ma non con la sicurezza di chi dice “finché adempirò la certificazione mi amerà e lo amerò”. “Quanti Santi hanno vissuto la solitudine! Quanti credenti, anche ai nostri giorni, sono provati dal silenzio di Dio mentre vorrebbero ascoltare la sua voce consolante!” (n.15). Senza Gesù lanciarsi in un’avventura del genere è quasi sempre terrorizzante e mi sembra ben giusto avere paura perché senza di Lui non ci sono garanzie di riuscita e quando si fallisce ci si fa molto male. Mi verrebbe da dire che in ogni caso tutti prima o poi soffrono e che è meglio farlo per amore piuttosto che rinunciare in partenza all’amore per paura di fallire; ma è meglio dire che molti rapporti giovani falliscono perché si crede troppo nelle garanzie “oggettive”  e troppo poco nell’unica “garanzia oggettiva” che è Lui, Gesù: “Solo in Lui vi è la certezza per guardare al futuro e la garanzia di un amore autentico e duraturo”  (n.15).
Articolo di Mauro Leonardi pubblicato su Avvenire del 9 novembre 2011

7 risposte a “Fidarsi di sé o abbandonarsi a Dio? Sì, ci vuole l’”Anno della fede””

  1. Monica ha detto:

    Molto bello il contenuto dell’articolo, davvero. Soprattutto nell’ultima parte. Davvero noi spesso crediamo di essere un monolite che si muove nella realtà, già fatto e finito, senza “aver bisogno di”, senza necessità di incontrare davvero un altro, di scoprire di più noi stessi (o di lasciarsi cambiare dalle circostanze). Riponiamo certezze in qualcosa (noi stessi) che spesso delude proprio… noi stessi!
    D’altra parte, quanto rischio e quanta avventura in chi non smette di cercare l’appoggio vero su cui “costruire la propria casa”. Soprattutto se già ne ha cominciato a sperimentare la bontà (e il perdono…)

  2. Mauro Leonardi ha detto:

    Grazie Monica! Interventi come questi danno molta forza e coraggio. Dobbiamo assolutamente uscire dall’idea che il piccolo Tarzan che c’è dentro di noi e che ciascuno di noi alimenta, ce la possa fare a fare qualcosa. Non siamo soli. Non siamo soli. Bisogna innanzitutto pensare agli altri, anche nel senso di farsi aiutare da loro. Grazie!

  3. Silvia ha detto:

    Scrivo dopo aver letto alcuni estratti del suo libro, attraverso facebook e il blog Come Gesù. Il suo libro tocca l’animo nel più profondo e nella mia fede, maturata negli anni grazie agli insegnamenti del catechismo e delle letture che in casa circolano da sempre. Io credo in Dio, in un unico Dio, quello cristiano e non temo gli altri, coloro che professano una fede diversa dalla mia. Spesso essere credenti porta alla solitudine. Il motivo principale è che la fede del moniteismo e in Gesù Cristo contrasta il modus vivendi e i falsi valori come denaro, fama, successo. I miei coetanei ne sono intrisi, purtroppo non della fede ma degli idoli e io non voglio rassegnarmi a legare la mia vita a ideali vangelici, sbagliando nel non applicarli bene ma almeno procedendo sul quella strada.
    Per quanto riguarda il contenuto del suo libro, il viaggio spirituale che accompagna la fede nel matrimonio, sono molto incuriosita dalla forza che applica al modo di esplicazione dell’unione tra cattolici. Purtroppo dalle retrovie dell’Italia, il meridione estremo, la vita cresce senza moltiplicare i fedeli, bensì aumentando i momenti di sconforto. I valori su cui basare l’esistenza sono saldi ma la realtà si auspica faticosa: mettere al mondo altri esseri umani e farne persone felici sarebbe bello ma non ci si può permettere di farlo. E il motivo è sempre quello che sovrasta il nostro nucleo sociale: la povertà. Dire no alla persona che si ama perché non in grado di reggere le spese è snervante e soprattuto se la conseguenza è la fine dell’amore e la rinuncia all’amicizia. Nessuno dovrebbe sposarsi per obbligo. Credo invece che Dio abbia riservato un piano per ciascuno di noi, senza necessità di adeguarsi a stereotipi e a prevaricazioni. A volte l’affetto umano è frainteso e si cerca di deviare il rapporto di educazione reciproca in mero sfruttamento. Accade per via di una vera distrazione o di continui stimoli sbagliati. Avrei creduto fino in fondo alla morale della famiglia in assoluto se avessi incontrato le condizioni per realizzarla e sarei stata pronta alla condivisione delle speranze e dei sogni comuni e a lavorare per realizzarli. La gente fraintende la gentilezza e la scambia per assuefazione alla vita, magari invece è solo educazione. Non mi stancherò mai di cercare la via che Gesù ha scelto per me e di decidere contro l’usurpazione dei diritti umani, nel mio piccolo, cercando di non rinunciare alla gioia della vita quotidiana. A volte mi aggrappo a una frase che ho annotato da ragazzina, ossia che non bisogna divinizzare le persone ma dobbiamo cercare Dio negli altri. Nessuno è capace di sostituirsi a Dio e l’esempio di chi ci provò è un cattivo esempio. Secondo me il segreto della vita è accettare i limiti di ciascuno e amministrare le capacità che ci sono state insegnate senza tregua, senza affanno e sempre con il cuore colmo di speranza. Grazie dei suggerimenti che ho trovato nelle sue parole.
    Silvia

  4. Mariella ha detto:

    E’ bello l’articolo, e non c’era da dubitarne, e molto vero… d’altra parte solo la fiducia in Dio, la fiducia nel Suo amore e nel Suo aiuto, ci può far sperare di essere veritieri quando diciamo “sì” davanti all’altare oppure davanti ad una vocazione di celibato.
    Ma se poi ci rendiamo conto che non ce la facciamo, che ci siamo sbagliati? Chi ci toglierà la sensazione di aver fallito la nostra vita?
    E d’altra parte se ci penso razionalmente mi dico che sono una folle a pensare al matrimonio per la vita e a mettere al mondo delle creature – in questo mondo, in questa Italia! E’ davvero giusto? O stiamo facendo un torto ai nostri figli?
    Ci vuole più fede o più follia per seguire la vocazione all’amore?

  5. Mauro Leonardi ha detto:

    Silvia e Mariella i vostri post mi fanno riflettere per quanto sono pervasi di verità. Si vede che con la vita si cimenta davvero.
    Sarebbe bello diventassero due post di inizio Discussione. Ci fareste un regalo se confluissero nella sezione “Nelle nostre Discussioni vorrei parlare di…”.
    Il Tema pervaso da entrambe è la fede che, nella vita quotidiana, diventa o disperazione o speranza.

    Isolo qualche passaggio:

    – Scrivo dopo aver letto alcuni estratti del suo libro, attraverso facebook e il blog Come Gesù (sono molti a leggere il libro in questo modo: se ne avete voglia compratelo, così convinciamo la Casa editrice a fare la seconda edizione…)

    – Il suo libro tocca l’animo nel più profondo e nella mia fede,

    – Io credo in Dio, in un unico Dio, quello cristiano e non temo gli altri, coloro che professano una fede diversa dalla mia. (sarà una sfida quotidiana quella dell’incontro con persone di altre religioni)

    – Spesso essere credenti porta alla solitudine perché il modus vivendi del cristiano contrasta con quello degli altri

    – per quanto riguarda il viaggio spirituale che il libro propone e che riguarda la fede nel matrimonio, sono molto incuriosita dalla forza che lei trasmette nel parlare dell’indissolubilità.

    – nelle retrovie dell’Italia, il meridione estremo, la fede si perde e aumentano i momenti di sconforto. I valori sono saldi ma la realtà è faticosa: si ha paura ad avere figli; non sposarsi, dire no alla persona che si ama per paura delle spese è snervante e finisce che si perde e anche l’amicizia.

    – Dio ha un piano per ciascuno di noi.
    – è difficile la vera amicizia

    – Non mi stancherò mai di cercare la via che Gesù ha scelto per me e di decidere contro l’usurpazione dei diritti umani, nel mio piccolo, cercando di non rinunciare alla gioia della vita quotidiana.

    – A volte mi aggrappo a una frase che ho annotato da ragazzina, ossia che non bisogna divinizzare le persone ma dobbiamo cercare Dio negli altri.

    – Secondo me il segreto della vita è accettare i limiti di ciascuno e amministrare le capacità che ci sono state insegnate senza tregua, senza affanno e sempre con il cuore colmo di speranza.

    Grazie dei suggerimenti che ho trovato nelle sue parole.
    Silvia
    10 novembre 2011 08:17

  6. giulia ha detto:

    caro don Mauro, ho letto il suo articolo che mi ha molto colpita come mamma di due ragazzi adolescenti (un maschio e una femmina) e come catechista. In questi anni durante i quali ho scoperto e sto ancora ancora riscoprendo la mia “vocazione”, ho avuto modo di scoprire che i giovani sono alla continua ricerca di punti di riferimento. Nella mia parrocchia abbiamo un parroco che, come lei, ha un approccio felicissimo con i giovani, è per loro un padre, un fratello, un amico al quale chiedere consigli o sfogare le proprie amarezze. E’ bello vedere l’armonia che il parroco sa riportare tra loro quando hanno delle divergenze anche ridendo con loro delle piccole cose. Questo rapporto è servito anche a me perchè ho capito che per ricevere la fiducia dei giovani, basta essere se stessi, senza fingere, basta saperli comorendere senza giudicarli, ed è una cosa che cerco di mettere in pratica in parrocchia e in famiglia con i miei figli……avviamente con loro quando serve sono più severa……. la ringrazio per i suoi suggerimenti.

  7. Mauro Leonardi ha detto:

    Grazie Giulia! anche se non credo proprio di essere bravo come il tuo parroco…