Don Massimiliano Nastasi – V domenica di Quaresima /B

Ger 31, 31-34    Sal 50    Eb 5, 7-9    Gv 12, 20-33

La quinta domenica di Quaresima chiude il tempo della preparazione alla Pasqua conducendo la comunità cristiana a contemplare gli ultimi giorni della vita terrena di Gesù. Così nella preparazione al battesimo da parte dei catecumeni la liturgia odierna segna il terzo ed ultimo passaggio degli scrutini con la consegna della Preghiera del Signore che «fin dall’antichità è propria di coloro che con il Battesimo hanno ricevuto lo spirito di adozione a figli e che i neofiti reciteranno insieme con gli altri battezzati nella prima celebrazione dell’Eucaristia a cui parteciperanno» [1], ossia nella Veglia Pasquale.

Il Maestro al suo ingresso a Gerusalemme – il terzo per il IV Vangelo, mentre l’unico per i Sinottici – e a pochi giorni dalla celebrazione della Pesach, è accolto da una folla «che era stata con lui quando chiamò Lazzaro fuori dal sepolcro e lo risuscitò dai morti» (Gv 12, 17). Tra questi vi sono anche alcuni greci [2] che esprimono a Filippo il desiderio di vedere Gesù. Una richiesta apparentemente strana, ma che sancisce il trionfo universale del Messia da poco affermato dai farisei: «Ecco: il mondo è andato dietro a lui!» (Gv 12, 19). Più precisamente, «il fatto che essi non riescono a vedere in effetti Gesù non è casuale da parte di Giovanni; l’evangelista si mantiene fedele al dato storico secondo cui il ministero terreno di Gesù fu rivolto esclusivamente al suo popolo (cfr. Mt 15, 24 parall.)» [3]. Comunque sia, «i greci che lo volevano vedere sarebbero stati a breve accontentati, cioè, perché tutti l’avrebbero visto nella gloria; come annota l’evangelista Giovanni, però, questo discorso riguardante una gloria visibile ed attraente – un “innalzamento” – mirava a “indicare per quale morte [Cristo] doveva morire” (Gv 12, 33)» [4].

La risposta che dà Gesù è un lungo ed articolato discorso relativo alla sua prossima morte: «E’ venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato» (Gv 12, 17), e «quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12, 32). O meglio, un “vedere” Gesù nella sua caratteristica di Salvatore del mondo – e quindi anche dei greci – nella glorificazione della vita sulla morte.

Nella prima Pasqua a Gerusalemme, all’incontro con Nicodemo, uno dei capi dei Giudei, Gesù afferma che «come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna» (Gv 3, 14-15). Queste parole che ora si ripresentano, costituiscono il cuore stesso del messaggio dell’evangelista poste all’inizio e alla fine della vita pubblica del Messia. Però mentre il primo dialogo avviene nella notte e solo tra Gesù e Nicodemo, quest’ultimo in pieno giorno e di fronte alla folla.

Le parole di Gesù fanno seguito alla voce del Padre, scambiata per quella di un angelo o di un tuono, che nell’accettazione della volontà libera del Messia di essere glorificato, glorifica il proprio nome: «L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!» (Gv 12, 28). Un’atmosfera che compone questo quadro simile a quella riportata da Mc 14, 34-36 nell’orto dei Getsemani nella notte prima della crocifissione. Precisamente, «in entrambe le scene l’anima di Gesù è turbata/triste. In Marco egli prega che l’ora passi da lui; in Giovanni rifiuta di pregare il Padre per essere salvato dall’ora, dal momento che è questo il motivo per cui è venuto. […] In Marco egli prega che si faccia la volontà di Dio; in Giovanni prega che il nome di Dio sia glorificato» [5].

In questo brano, quindi, viene affrontato unitariamente quello che Marco racconta separatamente: la trasfigurazione di Gesù (cfr. Mc 9) e la lotta con Dio nei Getsemani (cfr. Mc 14). Soltanto ora Dio parla al Figlio per preparalo alla glorificazione sulla croce, ossia a quella morte che attirerà molti discepoli. Infatti, «con la fine del suo cammino Gesù porta a compimento il suo mandato in maniera coerente e ubbidiente, sino all’“è compiuto” della croce. Egli viene glorificato come “ricompensa” per la sua obbedienza» [6]. Una missione che trova il Padre unito al Figlio, ma concepita non «solo come una unione funzionale, per raggiungere gli effetti della missione, bensì ha la sua radice nella natura del Padre e di Gesù, che sono “una cosa sola” (10, 30; 17, 22)» [7].

Questa gloria del Figlio nella carne, poi, trova il suo culmine nell’ultima preghiera durante la cena di addio ai suoi discepoli nel Cenacolo: «E ora, Padre, glorificami davanti a te con quella gloria che io avevo presso di te prima che il mondo fosse» (Gv 17, 5). Difatti, «questa presenta una sintesi: colui del quale “abbiamo visto la gloria” (1, 14) l’ha mostrata in numerosi segni (2, 11) fino a raggiungere la visione isaiana di questa gloria (12, 41). Ma non ha ottenuto l’adesione personale del “credente”» [8]. Così il rifiuto è interpretato come preferenza accordata alla gloria che viene dagli uomini piuttosto che alla gloria da Dio: «Amavano infatti la gloria degli uomini più che la gloria di Dio» (Gv 12, 43).

Per presentare la sua glorificazione nel mistero di morte e resurrezione, Gesù utilizza una similitudine nell’immagine del «chicco di grano, [che] caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12, 24). Una singolare interpretazione della sua morte non basata sulla nozione di espiazione – non si parla di sangue o peccato o sacrificio –, ma collegata al servizio del Messia e alla sua estrema conseguenza. Infatti, «se anche un solo punto della sua signoria tendenzialmente assoluta viene a cadere, la fine del nemico di Dio è dunque segnata. Gesù, sulla croce, viene sconfitto soltanto apparentemente, ma in realtà, e a partire da questo singolo momento spezza il potere del diavolo» [9].

Quest’immagine dà significato al discorso del pane pronunciato da Gesù sulla riva del mare di Galilea (cfr. Gv 6, 22-58), e anticipa l’ultima cena (cfr. Gv 13-17). Il pane, di fatto, presuppone che il seme sia deposto nella terra affinché dalla sua morte cresca la nuova spiga. Il pane terreno, così, «può diventare veicolo della presenza di Cristo perché esso stesso reca in sé il mistero della passione, perché unisce in sé la morte e la resurrezione» [10]. Gesù stesso è il granello, e il suo “fallimento/glorificazione” sulla croce è proprio la via per giungere dai pochi (i giudei) ai molti (i greci), e a tutti – «Quando sarà innalzato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12, 32) – offrendo di vivere insieme a lui per sempre.

«Sicché, o fratelli, quando sentite il Signore che dice: Dove sono io, ivi sarà anche il mio servo, non vogliate pensare solamente ai vescovi e sacerdoti degni. Anche voi, ciascuno a suo modo, potete servire Cristo, vivendo bene, facendo elemosine, facendo conoscere a quanti vi è possibile il suo nome e il suo insegnamento. E così ogni padre di famiglia si senta impegnato, a questo titolo, ad amare i suoi con affetto veramente paterno. Per amore di Cristo e della vita eterna, educhi tutti quei di casa sua, li consigli, li esorti, li corregga, con benevolenza e con autorità. Egli eserciterà così nella sua casa una funzione sacerdotale e in qualche modo episcopale, servendo Cristo per essere con lui in eterno. Molti come voi, infatti, hanno compiuto il supremo sacrificio, offrendo la propria vita. Tanti che non erano né vescovi né chierici, tanti fanciulli e vergini, giovani e anziani, sposi e spose, padri e madri di famiglia, hanno servito il Cristo fino alla suprema testimonianza del sangue; e poiché il Padre onora chi serve il Cristo, hanno ricevuto fulgidissime corone» [11].

[1] CEI, Rito dell’Iniziazione Cristiana degli Adulti, LEV, Città del Vaticano 20022, n. 188.

[2] Questo vocabolo (Hellênes) è usato in Gv 7, 35, e nel NT in generale designa i gentili, ossia i non-giudei (per designare i giudei che parlano il greco si usa il termine Hellênistai). Dato che sono venuti a Gerusalemme come pellegrini, è probabile che appartenessero al gruppo dei «credenti in Dio» (At 16, 14). A Giovanni interessa che essi siano dei gentili che esprimono il desiderio di vedere Gesù, contrapponendosi ai capi dei giudei che hanno manifestato il loro fastidio di fronte alla fama di Gesù dopo la resurrezione di Lazzaro. Non a caso la richiesta dei gentili è portata a conoscenza di Gesù da Filippo e Andrea, gli unici due discepoli che portano un nome greco.

[3] B. Vawter, «Il Vangelo secondo Giovanni», in Grande commentario biblico, A. Bonora – R. Cavedo – F. Maistrello (ed. it. a cura di), Queriniana, Brescia 1973, 1413.

[4] T. Verdon, La bellezza nella Parola. L’arte a commento delle letture festive. Anno B, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2008, 102.

[5] R.E. Brown, Introduzione al Nuovo Testamento, Queriniana, Brescia 2001, 492.

[6] K. Berger, Commentario al Nuovo Testamento. I. Vangeli e Atti degli Apostoli, Queriniana, Brescia 2014, 493.

[7] G. Ghiberti, «Introduzione al Vangelo secondo Giovanni», in Opera Giovannea, G. Ghiberti e Coll. (a cura di), Elledici, Leumann (Torino) 2003, 48.

[8] Y. Simoens, «Gloria di Dio», in Dizionario Critico di Teologia, P. Coda (ed. it. a cura di), Borla – Città Nuova, Roma 2005, 639.

[9] K. Berger, Commentario al Nuovo Testamento. cit., 494.

[10] J. Ratzinger-Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Rizzoli, Milano 2007, 315.

[11] Agostino, In Io. Ev. tr., 51, 13, in «Opera omnia di sant’Agostino», vol. XXIV/2 («Commento al Vangelo di San Giovanni [51-124]», tr. it. di E. Gandolfo – V. Tarulli), NBA – Città Nuova, Roma 19852, 1042.