Don Massimiliano Nastasi – IV domenica di Quaresima /B

2 Cr 36, 14-16.19-23    Sal 136    Ef 2, 4-10    Gv 3, 14-21

La quarta domenica del tempo di Quaresima è detta in «Laetare» – come la III domenica del tempo di Avvento – prendendo riferimento all’introito del rito iniziale della santa Messa «Lætare Jerusalem: et conventum facite omnes qui diligitis eam: gaudete cum lætitia, qui in tristitia fuistis: ut exsultetis, et satiemini ab uberibus consolationis vestræ – Rallegrati, Gerusalemme, e voi tutti che l’amate, riunitevi. Esultate e gioite, voi che eravate nella tristezza: saziatevi dell’abbondanza della vostra consolazione». Una domenica in cui il celebrante può indossare la casula di colore rosa ed ornare l’altare con i fiori, di per sé proibiti durante questo tempo di preparazione alla Pasqua, segni visibili di incoraggiamento da parte della Madre Chiesa per i suoi figli che si trovano a metà del cammino che conduce alla resurrezione [1].

Nel cammino del catecumenato degli adulti, legato all’antica tradizione risalente al IV-V sec. attestata da Agostino di Ippona [2], la domenica in Laetare rappresenta il secondo passaggio degli scrutini che accompagnano alla celebrazione del battesimo nella notte di Pasqua. Infatti, dopo la consegna del Simbolo della settimana scorsa, in questo giorno viene affidata la preghiera del Signore affinché «gli eletti conoscano più profondamente il nuovo spirito filiale con il quale, specialmente durante la celebrazione eucaristica, chiameranno Dio con il nome di Padre» [3]. E se la pericope che accompagnava questa seconda consegna (traditio) era la guarigione del cieco nato (cfr. Gv 9, 1-41) – rimasta nel ciclo liturgico A -, in questa domenica il brano proposto è quello di Nicodemo, «il primo degli importanti dialoghi giovannei» [4].

 

Salito a Gerusalemme insieme ai suoi discepoli per celebrare la prima Pasqua dal suo ministero pubblico, e dopo aver scacciato i venditori dal tempio (cfr. Gv 2, 14-21), Gesù riceve nella notte «un uomo di nome Nicodemo, uno dei capi dei Giudei» (Gv 3, 1) e membro del Sinedrio, ossia «della suprema istituzione politica e religiosa del giudaismo palestinese durante l’epoca del secondo Tempio» [5], ma che all’epoca di Erode ha limitata giurisdizione solo per Gerusalemme e la Giudea.

Nicodemo riconosce in Gesù un maestro “venuto” da Dio – o meglio, “suscitato” da Dio, mentre egli è effettivamente “venuto” da Dio – tanto che, in relazione ai suoi miracoli, afferma che nessuno «può compiere questi segni che tu compi, se Dio non è con lui» (Gv 3, 2). Ma alle parole di ammirazione il Maestro risponde portando il discorso ad un livello maggiore: «In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio» (Gv 3, 3). L’invito, ossia, a lasciarsi trasformare radicalmente nel proprio essere, cosa che può avvenire soltanto attraverso una nascita «da acqua e Spirito» (Gv 3, 5) [6].

Tale nascita che permette di entrare nel regno dei cieli avviene pertanto in maniera spirituale ed è proprietà esclusiva dei figli di Dio; riferimento al battesimo cristiano. Non è fondamentale però pensare che «Nicodemo si sia formato in base alle parole di Gesù una concezione così sviluppata della via della salvezza; se Gesù parlò in effetti sia dell’acqua che dello Spirito, è possibile che Nicodemo abbia pensato al battesimo-di-acqua del Battista quale preparazione al battesimo-di-Spirito portato da Cristo» [7]. In Ezechiele 36, 25-27, si annuncia il tempo messianico in termini di acqua e di un nuovo spirito nell’uomo. È verosimile, pertanto, che Nicodemo abbia inteso “Spirito” nel senso attribuitogli dal Battista: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui» (Gv 1, 32).

Nel Quarto Vangelo, quindi, «il Battesimo come ingresso nella comunità di Cristo viene interpretato come rinascita, di cui – in analogia con la nascita naturale della inseminazione maschile e del concepimento femminile – fa parte un duplice principio: lo Spirito divino e l’“acqua” come madre universale della vita naturale – innalzata nel sacramento mediante la grazia a immagine speculare della Theotokos verginale» [8]. Pertanto, in quest’ottica, «il credente e battezzato viene dal cielo e va verso il cielo, poiché è rinato dall’alto. Analogamente, il Figlio dell’uomo è mandato dal cielo e ritorna al cielo. In questo modo si chiarisce contemporaneamente il suo destino (doveva essere innalzato) e legittima la sua provenienza (viene dal cielo, è mandato dal cielo)» [9].

In questa conversazione ricca di fraintendimenti [10], parlando della vera vita di Dio acquisita nell’acqua e nello Spirito e inerente alla cornice di questo Vangelo, Gesù, dunque, sta radicalmente sostituendo ciò che costituisce la figliolanza di Dio, mettendo in discussione ogni condizione privilegiata derivante dalla parentela naturale. Un dialogo che lentamente diventa un monologo lasciando Nicodemo sullo sfondo e offrendo al Messia la prima grande affermazione della sua missione: «Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna» (Gv 3, 13-15).

Il dialogo tra Gesù e Nicodemo appare effettivamente come una scena teatrale dove «uno degli attori diventa sempre meno percepibile; parla sempre meno; e alla fine tace. Il personaggio principale invece si illumina sempre di più, mentre l’altra persona si eclissa nell’oscurità. Questo Nicodemo, venuto nella notte, nella notte scompare» [11]. Il rappresentante del giudaismo che parla a nome delle autorità esordendo con quel: «Rabbì, sappiamo» (Gv 3, 2), manifesta una certezza indiscutibile, o meglio la volontà di far luce su questa situazione. Ma tale convinzione lentamente si sfalda rivelandosi una nebbia nelle tenebre dando invece lo spazio alla verità, «la luce vera, quella che illumina ogni uomo» (Gv 1, 9).

Però solo quando sarà «innalzato il Figlio dell’uomo» (Gv 3, 14), la vera luce verrà realmente compresa come «via, verità e vita» (Gv 14, 6). Innalzamento sulla croce che è, infatti, «una sorta di glorificazione, quel legno terribile diventa un trono divino, la crocifissione è il principio della risurrezione, sorgente di liberazione dal male per l’umanità intera» [12], resa accessibile attraverso il battesimo di acqua e Spirito.

«Frattanto, o fratelli, per essere guariti dal peccato volgiamo lo sguardo verso Cristo crocifisso; poiché “come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così deve essere innalzato il Figlio dell’uomo, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia la vita eterna”. Come coloro che volgevano lo sguardo verso quel serpente, non perivano per i morsi dei serpenti, così quanti volgono lo sguardo con fede alla morte di Cristo, vengono guariti dai morsi del peccato. E mentre quelli venivano guariti dalla morte per la vita temporale, qui invece è detto “affinché abbiano la vita eterna”. Esiste infatti questa differenza, tra il segno prefigurativo e la realtà stessa: che la figura procurava la vita temporale, mentre la realtà prefigurata procura la vita eterna» [13].

 

 

[1] Cfr. P. Guéranger, L’anno liturgico. Avvento-Natale-Quaresima-Passione, vol. I, Paoline, Alba 1959, 586-592.

[2] «Dopo quest’esposizione si deve chiedere al candidato se crede a quanto si è detto e se desidera confermarvi la vita. Quando avrà risposto affermativamente, senz’altro bisogna far su di lui solennemente il segno di croce e trattarlo secondo l’uso della Chiesa. Riguardo al rito di iniziazione, dopo avergli opportunamente spiegato che i segni delle realtà divine sono visibili, ma che in essi si onorano le stesse realtà invisibili, e conseguentemente che quella materia santificata dalla benedizione non deve più essere considerata come lo è nella vita ordinaria, bisogna pure dire quale significato abbiano le parole da lui ascoltate, che cosa dia loro sapore, di che quella realtà sia simbolo»: Agostino, De cath. rud., 26, 50 in «Opera omnia di sant’Agostino», vol. VII/2 («Prima catechesi cristiana», tr. it. di C. Fabrizi – P. Siniscalco), NBA – Città Nuova, Roma 2001, 283.

[3] CEI, Rito dell’Iniziazione Cristiana degli Adulti, LEV, Città del Vaticano 20022, n. 25, 2.

[4] R.E. Brown, Introduzione al Nuovo Testamento, Queriniana, Brescia 2001, 468.

[5] W. Rebell, «Sinedrio», in Nuovo Dizionario Enciclopedico illustrato della Bibbia, G.L. Prato (ed. it. a cura di), Piemme, Casale Monferrato (Al) 20052, 1004.

[6] Nel Vangelo di Giovanni la presenza della persona dello Spirito accanto a Gesù è fondamentale. Infatti, «essa è intimamente unita alla sua missione e ha rapporti con tutti coloro che sono in rapporto con Gesù. Nella sua opera di rivelazione egli ha una presenza misteriosa, richiamata in passi rara ma significativi, e dopo la sua partenza ha una funzione importante nella comunità dei discepoli»: G. Ghiberti, «Introduzione al Vangelo secondo Giovanni», in Opera Giovannea, G. Ghiberti e Coll. (a cura di), Elledici, Leumann (Torino) 2003, 52.

[7] B. Vawter, «Il Vangelo secondo Giovanni», in Grande commentario biblico, A. Bonora – R. Cavedo – F. Maistrello (ed. it. a cura di), Queriniana, Brescia 1973, 1387.

[8] J. Ratzinger-Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Rizzoli, Milano 2007, 280-281.

[9] K. Berger, Commentario al Nuovo Testamento. I. Vangeli e Atti degli Apostoli, Queriniana, Brescia 2014, 436.

[10] «Nel Quarto Vangelo l’autore frequentemente vuole che il lettore veda diversi strati di significato nella stessa narrazione, o nella stessa metafora. Questo è comprensibile se ripensiamo alle circostanze in cui il Vangelo fu composto, durante diversi livelli di tempo. C’è un significato coerente al contesto storico nel ministero pubblico di Gesù; ma può esserci un secondo significato che riflette la situazione della comunità credente cristiana»: R.E. Brown, Introduzione al Nuovo Testamento, cit., 461.

[11] G. Ravasi, Il Vangelo di Giovanni, vol. I, Mondadori, Milano 2020, 60.

[12] Id., Le pietre di inciampo del Vangelo. Le parole scandalose di Gesù, Mondadori, Milano 2015, 217-218.

[13] Agostino, In Io. Ev. tr., 12, 11, in «Opera omnia di sant’Agostino», vol. XXIV/1 («Commento al Vangelo di San Giovanni», tr. it. di E. Gandolfo – V. Tarulli), NBA – Città Nuova, Roma 19852, 152.

 

Nato a Roma il 2 aprile 1976, sacerdote diocesano. Dottore in Teologia, dopo l’insegnamento IRC e gli studi a Milano e Roma, fino al 2015 è stato Vice Preside dell’Istituto Teologico Diocesano e Direttore dell’Ufficio Catechistico di Mondovì. Ha approfondito Archeologia e Geografia a Gerusalemme e attualmente è Docente di Cristologia presso Istituto Superiore di Scienze Religiose “Ecclesia Mater” della Pontificia Università Lateranense, Guida Biblica per l’Opera Romana Pellegrinaggi e Vicario Parrocchiale di Santa Caterina da Siena in Roma. Autore dei saggi “La cristologia adamitica nella concezione agostiniana. Alla scoperta di un’antropologia della redenzione” (Edizioni Sant’Antonio, Padova 2019) e “La questione del soprannaturale nella concezione agostiniana. Riflessione all’opera De natura et gratia di Agostino d’Ippona” (Edizioni Sant’Antonio, Padova, 2019)