Don Massimiliano Nastasi – VI domenica del Tempo Ordinario/ B

Lv 13, 1-2.45-46    Sal 31    1 Cor 10, 3 – 11, 1    Mc 1, 40-45

 

 

 

 

La pericope marciana di questa VI domenica del tempo ordinario, dopo gli eventi delle prime due giornate pubbliche di Gesù, collocate tra Cafarnao e nei villaggi vicini affinché egli possa predicare come fine della sua missione [1] – «Per questo infatti sono venuto» (Mc 1, 38) – presenta la guarigione di un lebbroso.

 

Marco, successivamente al racconto dell’esorcismo nella sinagoga di Cafarnao (cfr. Mc 1, 23-26) e la guarigione della suocera di Pietro (cfr. Mc 1, 30-31), presenta un miracolo specifico del Maestro seguendo un’articolazione che costituisce questo genere narrativo: (a) la presentazione del malato o della sua malattia; (b) l’invocazione di aiuto da parte dello stesso malato o di altri per lui, fatta con parole o con gesti; (c) l’intervento di Gesù caratterizzato da una parola o da un gesto; (d) la guarigione; (e) la costatazione della guarigione che suscita una reazione positiva o anche negativa – nel caso delle autorità – da parte dei presenti [2].

 

Il lebbroso (צרעתtzaraath) supplicando in ginocchio chiede di essere purificato. Si riconosce non infermo da chiedere la guarigione, ma impuro da essere riammesso nella comunità. La Tōrāh, difatti, afferma come: «il lebbroso colpito da piaghe porterà vesti strappate e il capo scoperto; velato fino al labbro superiore, andrà gridando: “Impuro! Impuro! Sarà impuro finché durerà in lui il male; è impuro, se ne starà solo, abiterà fuori dall’accampamento» (Lv 13, 45-46). Per la legge della santità, quindi, il lebbroso è considerato un non santo escluso dal popolo santo d’Israele, come un posseduto da uno spirito impuro, e pertanto fuori dal perimetro del “sacro recinto”.

 

Oltre la sua infermità e l’esclusione dalla santità, il lebbroso è considerato anche portatore di una malattia dello spirito: il marchio del peccato e il castigo divino di colpe ritenute particolarmente gravi: la calunnia, l’omicidio, la falsa testimonianza, la dissolutezza, l’orgoglio, il furto e l’avarizia. La guarigione di questo malato è pertanto riservata esclusivamente a Dio, come narra la storia di Maria, sorella di Mosè (cfr. Nm 12, 1-16).

 

Gesù tocca l’intoccabile e gli ridona non solo la guarigione, ma soprattutto la dignità di persona, manifestando in lui la presenza operante del regno di Dio. Infatti, «la concezione e la prassi della purità di Gesù sono fondate nel fatto che in lui e per mezzo di lui opera lo Spirito Santo. Tale modo di agire non è un senso tollerante di umanità, ma un’estensione battagliera del territorio del dominio di Dio contro la sfera di influenza di satana» [3].

 

Per gli evangelisti il miracolo non va unicamente interpretato come l’atteggiamento benigno del Signore che per compassione verso gli infermi e i bisognosi piega a sé le leggi naturali che Egli stesso ha stabilite [4], ma assume un significato più teologico ed universale riferito alla presenza del Logos nel mondo [5]; cosicché, «se la signoria di Dio costituisce il centro della predicazione di Gesù, le guarigioni e gli esorcismi formano il fulcro della sua attività» [6].

 

Nell’ottica neotestamentaria «i miracoli, i segni, sono dunque presenza d’amore di Gesù verso chi soffre, risposta della fede di chi si rivolge a lui e invito a una fede ancor più viva; ma sono soprattutto testimonianza che in Gesù la “pienezza dei tempi” si è compiuta, che è lui “colui che doveva venire”» [7]. E ancora più chiaramente, come nel caso del lebbroso, hanno certamente lo scopo di farlo riconoscere come un autentico profeta messianico, ma soprattutto si presentano come «miracoli di fondazione per significare nel linguaggio dell’epoca l’esistenza di una realtà nuova secondo il disegno di Dio» [8].

 

Alla guarigione segue l’ammonimento severo di Gesù al segreto: «Guarda di non dire nulla a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote» (Mc 1, 44) [9]. Se prima il silenzio era richiesto agli spiriti impuri (cfr. Mc 1, 25), esso «è ora esteso al lebbroso guarito, perché la pubblicità renderebbe impossibile per Gesù circolare apertamente. Implicitamente, inoltre, l’entusiasmo per il prodigioso potrebbe dare un’errata comprensione di Gesù» [10]. Infatti, «la profondità del suo essere e della sua missione non potrà veramente venire compresa che alla luce della sua passione e risurrezione» [11].

 

Stupisce comunque l’atteggiamento del Maestro prima compassionevole e poi duro nei confronti del lebbroso risanato, tanto che viene usata un’espressione forte: «εὐθὺς ἐξέβαλεν αὐτόν: lo cacciò via subito» (Mc 1, 43). In questo caso, come parallelismo all’ossesso della sinagoga, la sua severità è riferita allo spirito impuro presente in quella determinata malattia. Ciò significherebbe che, «la forma attuale del racconto è probabilmente la fusione di due racconti più primitivi, uno dei quali descriveva la compassione di Gesù (1, 42) e l’altro la sua collera (1, 43)» [12].

 

Come nel caso della guarigione della suocera di Pietro, letta alla luce della resurrezione di Cristo come immagine dell’umanità redenta, così anche la guarigione del lebbroso assume fin dall’età patristica il significato di coloro che vengono purificati da Cristo nel battesimo, pronti ad annunciare e diffondere «la Parola» (Mc 4, 15.20; 16, 20; At 4, 4): «Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto» (Mc 1, 45).

 

«“E le sue vesti saranno strappate, il capo scoperto e la sua bocca sarà velata” (Lv 13, 45). Chi, dunque, riconosceremo essere il sentiero della salvezza? Colui che ha dato se stesso come prezzo di redenzione per tutti, e che ci santifica con il suo sangue uscito fuori degli accampamenti per noi, noi a cui è stato negato di tornare negli accampamenti prima che siano stati purificati: come anche il lebbroso non può entrare da sé negli accampamenti, se non vi è condotto da un altro. Ma noi veniamo condotti a Cristo da Dio Padre, come lo stesso Cristo insegna, dicendo: “Nessuno può venire a me senza che il Padre, che mi ha mandato, lo abbia attirato” (Gv 6, 44). In realtà Cristo è venuto per applicare il rimedio ai contriti di cuore, per aprire gli occhi ai cechi, per cancellare tutte le nostre iniquità, per redimere la tua vita dalla corruzione e dalla morte. Essendo venuto infatti a visitare noi infermi, ci ha resi mondi mediante il santo battesimo e il suo corpo e sangue; poiché queste cose venivano preannunciate sotto quelle figure» [13].

 

 

[1] La prima parte del vangelo di Marco (cc. 1-8) consiste fondamentalmente in «un amalgama disarticolata di ricordi sull’attività di Gesù in Galilea: piccoli complessi di episodi, dispute, miracoli, parabole, ecc., senza alcuna coesione fra loro»: M. Làconi, «Prendono forma i vangeli», in M. Làconi e Coll. (a cura di), Vangeli sinottici e Atti degli Apostoli, Elledici, Torino 20022,161. Differentemente dalla seconda (cc. 8-10: il viaggio a Gerusalemme) e terza parte (cc. 11-16: avvenimenti a Gerusalemme, passione e risurrezione) che sono presentate in modo più strutturato su una serie di preannunci profetici sulla sorte messianica.

[2] Cfr. J. Peláez del Rosal, Los milagros de Jesús en los Evangelios sinópticos. Morfología e interpretación, San Jerónimo, Valencia 1984.

[3] K. Berger, Commentario al Nuovo Testamento. I. Vangeli e Atti degli Apostoli, Queriniana, Brescia 2014, 177.

[4]  «Per conseguenza egli può operare, quando vuole, fuori di esso, o producendo gli effetti delle cause seconde senza di esse, o producendone altri che sorpassano le loro capacità. In questo senso S. Agostino scrive che “Dio opera contro il consueto corso della natura, ma non fa assolutamente niente contro la legge suprema, come non fa niente contro se stesso”»: Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 105, a. 6.

[5] «[Gesù] quando meno accondiscende alla pretesa di legittimare se stesso per mezzo di un miracolo (Mc 8, 11-12), tanto più egli stesso ha manifestamente compreso i suoi miracoli come un segno dell’irruzione del regno di Dio (Lc 11, 20; Mc 3, 27; Mt 11, 5), esattamente come più tardi la sua comunità era persuasa che le forze del tempo messianico erano già vitalmente presenti in essa e operavano miracoli (At 2, 43; 4, 12 ecc.) e come i suoi apostoli pensavano di far miracoli con la sua forza (Mc 6, 7; 2 Cor 12, 12)»: R. Bultmann, Gesù, Queriniana, Brescia 20177, 147.

[6] G. Theissen – A. Merz, Il Gesù storico. Un manuale, Queriniana, Brescia 1999, 349.

[7] L. Pacomio, Gesù 37 anni che cambiarono la storia, Piemme, Casal Monferrato (AL) 20004, 86.

[8] C. Perrot, Gesù, Queriniana, Brescia 20042, 76.

[9] «L’incontro con il lebbroso (Mc 1, 40-45), un episodio raro, ma che serve al narratore per dare una prima notizia del divieto dato a coloro che Gesù ha guarito (Mc 1, 45)»: N. Casalini, Introduzione a Marco, Franciscan Printing Press, Jerusalema 2005, 250. Cfr. G.C. Bottini, «Il segreto messianico nel Vangelo di Marco», R. Corona (a cura di), Il Vangelo secondo Marco. Atti della seconda settimana biblica abruzzese dei Frati Minori, Tocco Casauria 1987, 56-66.

[10] R.E. Brown, Introduzione al Nuovo Testamento, Queriniana, Brescia 2001, 201.

[11] J. Hervieux, Vangelo di Marco, San Paolo, Cinisello Balsamo 20033, 53.

[12] J.L. MacKenzie, «Il Vangelo secondo Matteo», in Grande commentario biblico, Queriniana, Brescia 1973, 852.

[13] Procopio di Gaza, Commentari sul Levitico, PG 87/1, 737.

 

Nato a Roma il 2 aprile 1976, sacerdote diocesano. Dottore in Teologia, dopo l’insegnamento IRC e gli studi a Milano e Roma, fino al 2015 è stato Vice Preside dell’Istituto Teologico Diocesano e Direttore dell’Ufficio Catechistico di Mondovì. Ha approfondito Archeologia e Geografia a Gerusalemme e attualmente è Docente di Cristologia presso Istituto Superiore di Scienze Religiose “Ecclesia Mater” della Pontificia Università Lateranense, Guida Biblica per l’Opera Romana Pellegrinaggi e Vicario Parrocchiale di Santa Caterina da Siena in Roma. Autore dei saggi “La cristologia adamitica nella concezione agostiniana. Alla scoperta di un’antropologia della redenzione” (Edizioni Sant’Antonio, Padova 2019) e “La questione del soprannaturale nella concezione agostiniana. Riflessione all’opera De natura et gratia di Agostino d’Ippona” (Edizioni Sant’Antonio, Padova, 2019)