Blog – La nuova enciclica, niente più “guerre giuste”. Neanche nelle nostre vite
Uno dei motivi per cui verrà ricordata l’enciclica che il Papa ha firmato sulla tomba di san Francesco è l’affermazione molto netta dell’impossibilità in epoca moderna di una guerra giusta.
“Non possiamo più pensare alla guerra come soluzione, dato che i rischi probabilmente saranno sempre superiori all’ipotetica utilità che le si attribuisce. Davanti a tale realtà, oggi è molto difficile sostenere i criteri razionali maturati in altri secoli per parlare di una possibile “guerra giusta”. Mai più la guerra” (n. 258)
L’argomentazione decisiva è quella della mancanza di proporzione tra i mezzi utilizzati e i possibile effetti ottenuti. La battaglia di Lepanto perché può essere ritenuta “giusta”? Dando per scontato che il movente fosse giusto (in genere il movente deve essere ricondotto alla legittima difesa), ciò che differenzia profondamente l’epoca attuale da quella, per esempio, della battaglia tra cristiani e mussulmani avvenuta nel 1571 nel Golfo di Corinto è che mentre allora gli effetti delle armi utilizzate rimanevano circoscritti a quelle acque, ciò oggi è del tutto impossibile visto che qualsiasi guerra comporta il rischio della bomba nucleare i cui effetti ricadono sull’intero pianeta: è proprio essa infatti ad essere citata: “riesce quasi impossibile pensare che nell’era atomica la guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia” (260)
Questa considerazione ci può riguardare non solo nel momento in cui si va a votare o in una discussione tra amici ma nella nostra vita interpersonale. Quando vogliamo fare il bene quali sono gli effetti delle nostre azioni? Quando i genitori si arrabbiano con i figli non è perché non obbediscono non è perché vogliano “che obbediscano” ma perché pensano che nel modo in cui si stanno comportando non saranno mai felici. Li vogliono felici. Peccato che arrabbiandosi facciamo passare l’ira e l’amore resta in canna. Anche in questo caso dovremmo imparare a guardare i “danni collaterali” (n. 261) che non sono le semplici urla o lacrime, ma la distruzione della relazione