Don Massimiliano Nastasi – Riflessioni sulla XXVII domenica del Tempo Ordinario /A

Is 5, 1-7    Sal 79    Fil 4, 6-9    Mt 21, 33-43

La liturgia di questa domenica propone la seconda delle ultime tre parabole di Gesù durante la sua permanenza a Gerusalemme prima di essere consegnato al supplizio della croce. In particolare, il giorno seguente il suo ingresso trionfale a Sion – «La folla, numerosissima, stese i propri mantelli sulla strada, mentre gli altri tagliavano rami degli alberi e li stendevano sulla strada» (Mt 21, 8) –, mentre è nel tempio ad insegnare, durante una dura diatriba con i sadducei e gli scribi – «Gli si avvicinarono i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo e dissero: “Con quale autorità fai queste cose? E chi ti ha dato questa autorità”» (Mt 21, 23) –, racconta tre allegorie che rappresentano una sintesi della sua predicazione, ma anche un ultimo ed estremo appello alla conversione: la parabola dei due figli (Mt 21, 28-32); dei contadini omicidi (Mt 21, 33-43) e del banchetto di nozze.

  Inserita tra il grande discorso ecclesiale (Mt 18) e quello escatologico (Mt 24, 1 – 25, 46), la parabola dei contadini omicidi è riportata come fonte da Mc 12, 1-12, anche se Matteo, come Lc 20, 9-19, l’ha un po’ ampliata per rendere il più chiaro possibile il concetto fondamentale, benché la similitudine non sia oscurata in Marco [1]. Certamente è un esempio classico del genere letterario parabolico, ove l’ascoltatore è portato ad esprimere un giudizio rivelando il proprio pensiero, che alla fine però gli si rivolge contro. Essendo, infatti, un racconto realistico ma anche volutamente paradossale nei suoi sviluppi, è causa di progressiva inquietudine nell’interlocutore; «probabilmente è la caratteristica più sconcertante, ma anche quella che rende indimenticabili le parabole di Gesù e le ha rese tanto efficaci nel suo progetto di annuncio: così riescono a interessare lettore o ascoltatore, costringendolo a scoprirsi con le sue valutazioni» [2].

Riferendosi direttamente ai ricchi proprietari terrieri di Giudea, sembrerebbe che abbia come fine il giustificare la reazione dei poveri contadini di Galilea che realmente, subendo le angherie dei questi che abitano nelle grandi città, anche stranieri che operano per mezzo di procuratori, alcune volte non trovano altra strada che ribellarsi violentemente [3]. Così come la domanda che il Maestro pone a conclusione ai suoi ascoltatori: «Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?» (Mt 21, 40). Ma espresso il loro giudizio – «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo» (Mt 21, 41) –, Gesù rivela il vero orizzonte di comprensione, ossia che questi contadini sono loro stessi che hanno ucciso anche il figlio del padrone della vigna.

Rapportandosi indirettamente al profeta Geremia – «Da quando i vostri padri sono usciti dall’Egitto fino ad oggi, io vi ho inviato con assidua premura tutti i miei servi, i profeti, ma non mi hanno ascoltato né prestato orecchio, anzi hanno reso dura la loro cervice, divenendo peggiori dei loro padri» (Ger 7, 25-26) –, Matteo recupera il tema veterotestamentario del ripudio e dell’uccisione dei profeti (una riflessione deuteronomistica) conferendogli una intensità drammatica. «Ma il punto non è solo quello di segnalare una continuità, vale a dire la riottosità degli Israeliti e il loro rigetto degli inviati di Dio, quanto piuttosto quello di mostrare, attraverso una sýnkrisis con Geremia, che Gesù stesso è veramente un profeta, come è possibile desumere non soltanto dalle sue prese di posizione sul tempio di Gerusalemme, ma altresì dal suo tragico destino» [4].

Gesù ponendo in causa le autorità presenti afferma: «A voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato ad un popolo che ne produca i frutti» (Mt 21, 43). I capi dei sacerdoti e i farisei comprendono, infatti, di essere il bersaglio del monito che il regno di Dio sarà tolto e dato ad una nazione che produrrà frutti, rivelando così il nucleo stesso del racconto, ossia la «storia delle relazioni tra il padrone della vigna e i vignaiuoli, ai quali essa è affidata» [5].

La parabola rivela una “cristologia implicita”, ossia come in Gesù ci sia una chiara visione di ciò che accadrà alla propria vita [6]. Egli è, infatti, l’ultimo inviato di Dio che lo rappresenta in modo più autorevole, un tratto, questo, essenziale per la comprensione della parabola. Infatti, «è vero che la qualifica di figlio rimane all’interno dell’immagine e non assurge a “titolo” cristologico in senso stretto. È tuttavia evidente che la figura del figlio rappresenta Gesù stesso, sia come inviato escatologico, sia nel suo rapporto singolare con il Padre» [7].

 Oltre questa comprensione cristologica, la similitudine è un forte annuncio finale di liberazione: «La pietra scarta dai costruttori è divenuta la pietra d’angolo» (Sal 118, 22). Infatti, portato fuori dalla vigna per essere ucciso [8], il Padre non si vendica, come commentato dalle autorità, ma paradossalmente innalza il Figlio nella resurrezione rendendolo il fondamento di un nuovo edificio, la chiesa come comunità dei redenti che lo riconosce suo Signore: «Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere in Cristo: per grazia siete salvati» (Ef 2, 4-5). La citazione del Sal 118, infatti, nell’ottica di Matteo e inserita nella sua comunità cristiana «è applicata in un senso lato; e così come è formulata può riferirsi unicamente all’ammissione dei gentili nella Chiesa. Con ogni probabilità questa spiegazione biblica della parabola è un ampliamento ecclesiastico» [9].

Comunque, Matteo non pensa semplicemente alla sostituzione di Israele con la chiesa, piuttosto «la sostituzione di quelli che erano indegni nel giudaismo (specialmente i capi) con una comunità di giudei e gentili che sono arrivati a credere in Gesù ed hanno risposto degnamente alle sue esigenze per il regno» [10]. La parabola, perciò, non va letta in chiave antiebraica, come già indica san Paolo di Tarso: «Dio ha forse ripudiato il suo popolo? Impossibile. Anch’io infatti sono Israelita, della discendenza di Abramo, della tribù di Beniamino. Dio non ha ripudiato il suo popolo, che egli ha scelto fin dal principio» (Rm 11, 1-2); ma «contiene la stessa condizione per la permanenza nel regno di Dio che è valsa per Israele. Solo chi porta frutti appartiene stabilmente a questo Regno» [11]. Pertanto, non sono tutti gli Ebrei che vengono allontanati dalla signoria di Dio, ma coloro che respingono e condannano a morte Gesù, così che i «nuovi locatori sono i credenti in Cristo, sia ebrei, sia pagani, in pratica la comunità cristiana a cui si rivolgono gli evangelisti» [12].

Tutti rinnestati nella vigna, che rappresenta la signoria di Dio fra gli uomini che riconoscono nel padrone del vigneto il Padre; ancor meglio, la vigna come dottrina e obbedienza, una sorta di spazio della pace di Dio in questo mondo. Una immagine della vigna che, comunque, grazie infine alla teologia paolina, «viene abbandonata e sostituita da quella del vivente edificio di Dio. La croce non è la fine, bensì un nuovo inizio. Il cantico della vigna non finisce con l’uccisione del figlio. Apre l’orizzonte per una nuova azione di Dio» [13], come scrive sant’Ambrogio di Milano:

«Salve, vigna meritevole di un custode così grande: ti ha consacrato non il sangue del solo Nabot (1Re 21,13) ma quello di innumerevoli profeti, e anzi quello, tanto più prezioso, versato dal Signore. È bensì vero che colui, senza farsi atterrire dalle minacce di un re, non soffocò la costanza con la paura né, allettato da ricchissime ricompense, barattò il suo sentimento religioso ma, opponendosi al desiderio del tiranno, perché l’erba della malva non si seminasse nei suoi orticelli al posto delle viti recise, contenne col proprio sangue, non potendo fare altro, le fiamme preparate per le proprie viti; ma egli difendeva pur sempre una vigna materiale; invece tu per noi sei stata piantata per l’eternità con lo sterminio di tanti martiri, e la croce degli apostoli, emulando la passione del Signore, ti ha diffusa fino ai confini del mondo» [14].

[1] La parabola è anche riportata dal Vangelo di Tommaso [Ev. Thom. 65, in Gli Apocrifi del Nuovo Testamento, I/1. Vangeli, M. Erbetta (a cusa di), Marietti, Torino 1975, 275] in forma “pura” senza tratti allegorici, ossia senza sviluppare il contatto con Is 5, 1s, e limitando a due gli invii precedenti quello del figlio. Poi il detto della “pietra angolare” nel medesimo paragrafo è riportato come logion a sé stante: «Gesù ha detto: Mostratemi questa pietra che i costruttori hanno rifiutato: essa è la pietra angolare»: Ev. Thom. 66.

[2] M. Làconi, «Le parabole evangeliche», in Vangeli sinottici e Atti degli Apostoli, M. Làconi e Coll. (a cura di), Elledici, Leumann (Torino) 2002, 235.

[3] Il sistema di affitto imposto dai grandi proprietari terrieri ai contadini, risalente alla dominazione tolomaica dal III sec. a.C. (secondo i papiri di Zenone), in effetti, è il terreno su cui attecchisce il movimento zelota e la ribellione contro Roma, a cominciare dalla Galilea. Così come il piano dei coloni di uccidere il figlio non è irreale. Secondo, infatti, l’esegeta tedesco luterano Joachim Jeremias (1900-1976), quando un proselita moriva senza testamento la sua proprietà diveniva terra di nessuno che veniva assegnata al primo rivendicatore; e i coloni avevano l’opportunità prioritaria di rivendicazione mediante l’occupazione (cfr. J. Jeremias, Le parabole di Gesù, Paideia, Brescia 1967, 86).

[4] J.-N. Aletti, Senza tipologia nessun vangelo. Interpretazione delle Scritture e cristologia nei vangeli di Matteo, Marco e Luca, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2019, 84.

[5] R. Fabbris, Matteo. Commenti biblici, Borla, Roma 19962, 444.

[6] Al di là di una semplice previsione, è evidente infatti come Gesù legga il proprio destino di sofferenza alla luce delle Scritture. Cfr. J. Guillet, Gesù di fronte alla sua vita e alla sua morte, Cittadella, Assisi 1972, 146-167; X. Léon-Dufour, Davanti alla morte. Gesù e Paolo, Elledici, Torino 1982 63-75.

[7] F. Mosetto, «La parabola dei vignaiuoli ribelli (Mc 12, 1-12 parr.)», in Vangeli sinottici e Atti degli Apostoli, M. Làconi e Coll. (a cura di), Elledici, Leumann (Torino) 2002, 405.

[8] Il fatto che in Matteo, come in Luca, il figlio sia ucciso “fuori dalla vigna” corrisponde alla norma che le esecuzioni capitali dovevano compiersi fuori della città, davanti alle sue mura (cfr. Lv 24, 14.23; Nm 15, 36; Dt 22, 24). Come scrive Origene di Alessandria (185 ca. -253): «Il vitello viene offerto all’entrata del tabernacolo (Lv 1, 3): non è l’interno, ma al di fuori dell’entrata. Infatti, Gesù stette fuori dell’entrata, poiché venne fra i suoi e i suoi non lo ricevettero (Gv 1, 11). Non entrò dunque in quel tabernacolo al quale era venuto, ma fu offerto come olocausto alla sua entrata, poiché patì fuori dal campo (Lv 4, 12; cfr. Eb 13, 11-13). Infatti, anche quei cattivi coloni cacciarono fuori dalla vigna il figlio del padre di famiglia che veniva e lo uccisero (Mt 21, 38-39)»: Origene, Om. 1, 2: SC 286, 74.

[9] J.L. MacKenzie, «Il Vangelo secondo Matteo», in Grande commentario biblico, Queriniana, Brescia 1973, 949.

[10] R.E. Brown, Introduzione al Nuovo Testamento, cit., 284.

[11] K. Berger, Commentario al Nuovo Testamento, Queriniana, Brescia 2007, 124.

[12] G. Ravasi, Le pietre di inciampo del Vangelo. Le parole scandalose di Gesù, Mondadori, Milano 2015, 78.

[13] Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Rizzoli, Milano 2005, 301.

[14] Ambrogio, Exp. Ev. sec. Lucam, 9, 23-30.33, in «Opera omnia di Sant’Ambrogio», vol. IX/2 (tr. it. di G. Coppa), Città Nuova – Biblioteca Ambrosiana, Roma – Milano 1978, p. 390.

 

Nato a Roma il 2 aprile 1976, sacerdote diocesano. Dottore in Teologia, dopo l’insegnamento IRC e gli studi a Milano e Roma, fino al 2015 è stato Vice Preside dell’Istituto Teologico Diocesano e Direttore dell’Ufficio Catechistico di Mondovì. Ha approfondito Archeologia e Geografia a Gerusalemme e attualmente è Docente di Cristologia presso Istituto Superiore di Scienze Religiose “Ecclesia Mater” della Pontificia Università Lateranense, Guida Biblica per l’Opera Romana Pellegrinaggi e Vicario Parrocchiale di Santa Caterina da Siena in Roma. Autore dei saggi “La cristologia adamitica nella concezione agostiniana. Alla scoperta di un’antropologia della redenzione” (Edizioni Sant’Antonio, Padova 2019) e “La questione del soprannaturale nella concezione agostiniana. Riflessione all’opera De natura et gratia di Agostino d’Ippona” (Edizioni Sant’Antonio, Padova, 2019)