Don Massimiliano Nastasi – Riflessioni sulla XVII domenica del Tempo Ordinario /A

1 Re 3, 5. 7-12    Sal 118    Rm 8, 28-30    Mt 13, 44-52

La XVII domenica del tempo ordinario conclude la terza parte del cap. 13 di Matteo relativo al terzo grande discorso di Gesù espresso in parabola. Dopo la similitudine del seminatore che come incipit invita il fedele ad accogliere la parola interrata nel proprio cuore (13, 3-9), seguita dalle tre parabole sulla zizzania (13, 24-30), sul granello di senape (13, 31-32) e sul lievito (13, 33), questa terza parte presenta il Regno come un tesoro (13, 44), una perla (13, 45) e, in ultimo, come una rete da pesca (13, 47-50). Mentre poi le prime parabole parlano del Regno e dei suoi membri in quanto gruppo, quest’ultime (il tesoro e la perla) sono indirizzate alle singole persone.

Certamente quello delle parabole è «un discorso tutto vivaci sfaccettature, che pone al centro della vicenda umana la comunità di coloro che hanno creduto in Gesù» [M. Làconi, «Le parabole evangeliche» in Vangeli sinottici e Atti degli Apostoli, M. Làconi e Coll. (a cura di), Elledici, Torino 20022, 222], unita all’esigenza della completa rinuncia che segue il suo meritato premio (Mt 6, 24; 8, 18-22; 10, 37-39). Esse, ponendosi al cuore della predicazione del Maestro, avvicinano al pensiero di coloro a cui si rivolge una realtà che fino a quel momento si trovava fuori del loro campo visivo. In tal modo vuole mostrare «come in una realtà che fa parte del loro campo di esperienza traspaia qualcosa che prima non avevano ancora percepito. Mediante la similitudine egli avvicina loro ciò che è lontano, di modo che, attraverso il ponte della parabola, giungano a ciò che fino a quel momento era loro sconosciuto» [Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Rizzoli, Milano 2007, 228].

La prima parabola di questa sezione descrive un uomo scaltro e furbo che trovando un tesoro in un campo non dice nulla al legittimo proprietario ma anzi, «vende tutti i suoi averi e compra quel campo» (Mt 13, 44). Trovare un tesoro in un campo non è un’immagine così fantasiosa nell’epoca arcaica. Piccole quantità di monete e gioielli, infatti, sono tuttora scoperti in Israele o per caso o durante scavi archeologici. In un mondo antico non ancora assestato e in cui il pericolo di invasioni nemiche o di briganti era ininterrottamente presente, numerosi capifamiglia sotterravano i loro piccoli risparmi nella speranza di un ritorno.

Lo scopritore del tesoro, quindi, utilizza un’astuzia in comportamenti economici che spesso Gesù descrive come modello di furbizia, come vediamo anche in Mt 25 con la parabola dei talenti che mostra fantasia ed impegno. Egli, tuttavia, «non esprime un giudizio, dice solo che si dovrebbe trasferire questo tipo di furbizia nell’ambito effettivamente importante, il guadagno della vita eterna presso Dio» [K. Berger, Commentario al Nuovo Testamento. I. Vangeli e Atti degli apostoli, Queriniana, Brescia, 2014, 91]. Così come la parabola seguente sul mercante di perle che pone anch’egli tutti i suoi averi in un investimento che gli renderà bene: «Va, vende tutti i suoi averi e la compra» (Mt 13, 45).

Il discorso sul tesoro è pertanto sapienziale, quanto quello nascosto nelle parabole – «Mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò» (Mt 13, 25) –, riferito non ad un oggetto (tesoro o perla) ma, secondo la tradizione giudaico-ellenica, ad una persona: «Un amico fedele è il rifugio sicuro: chi lo trova, trova un tesoro» (Sir 6, 14).

Esso poi trova corrispondenza in Paolo: «Parliamo invece della sapienza di Dio, che è nel mistero, che è rimasta nascosta e che Dio ha stabilito prima dei secoli per la nostra gloria» (1 Cor 2, 7). Una misteriosa sapienza divina, nascosta ai dominatori di questo mondo che avevano crocifisso il Signore della gloria che l’Apostolo delle genti proclama con parole insegnategli dallo Spirito, esprimendo cose spirituali in termini spirituali (1 Cor 2, 6-16). Così che quel tesoro trovato, altro non è che Gesù come unico fondamento possibile, e nel giorno del giudizio tutto il resto, che è inconsistente, sarà ben visibile e bruciato (1 Cor 3, 10-15). «Salvatore universale, Cristo è l’unico Salvatore. Pietro lo afferma chiaramente: “In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale sia stabilito che possiamo essere salvati” (At 4,12)» [Giovanni Paolo II, Catechesi Cristo l’unico salvatore (4 febbraio 1988)].

Una ricerca del Regno, quindi, che sembra svolgere la stessa funzione della grazia paolina, ossia, una forza che mette l’uomo in grado di obbedire a Dio. Matteo, infatti, non espone una esplicita dottrina sulla grazia, e tuttavia il discepolo, povero e piccolo di fronte a Dio, «attende tutto da lui» [J. Gnilka, Matteo, II, Paideia, Brescia 1991, 800]. Parabole, pertanto, che «pongono l’accento sul grande valore del regno e sulla necessità di prendere la singola opportunità di conquistarlo, anche se questo comporta la vendita di ogni altra cosa» [R.E. Brown, Introduzione al Nuovo Testamento, Queriniana, Brescia, 2001, 272].

È un fare non nel senso del vivere bene eticamente, ma l’invito pressante riguarda il comportamento escatologico teso ad accogliere, attuare e diffondere il Regno. «È la risposta operativa richiesta al momento supremo della storia deciso da Dio e attuato con la presenza di Gesù nella vita del discepolo, travolto dall’urgenza della salvezza» [M. Làconi, «Matteo: la catechesi del “Dio con noi”» in Vangeli sinottici e Atti degli Apostoli, M. Làconi e Coll. (a cura di), Elledici, Torino 20022, 504].

Il Regno, pertanto, significa la unica salvezza escatologica per l’uomo, che pone termine ad ogni realtà terrestre e che esige dall’uomo la decisione. Non è, infatti, qualcosa che si può possedere insieme con altri beni, di cui ci si può interessare insieme con altre preoccupazioni. Ma non è neanche il “sommo bene”, posto sempre in relazione con il bene relativo, come coronamento supremo di tutto ciò che gli uomini potrebbero qualificare come beni, al quale si volge il volere e l’agire umano. In quanto escatologica si tratta, invece, di una grandezza semplicemente extramondana, o meglio, «il regno di Dio è qualcosa di prodigioso, anzi è per eccellenza “il prodigioso” che si oppone a tutto ciò che esiste ora e qui, ed è “totalmente altro”, realtà celeste» [R. Bultmann, Gesù, Queriniana, Brescia, 20177, 35]. 

Con tali premesse è possibile, infine, comprendere l’ultima parabola conclusiva del terzo grande discorso di Gesù relativo all’immagine della rete da pesca, propria di Matteo, è molto simile alla parabola della zizzania. In particolare, descrive la presenza dei buoni e dei cattivi nella Chiesa offrendo la stessa soluzione escatologica. In questa similitudine, tuttavia, «è possibile rintracciare una forma più arcaica della parabola sottostante al secondo livello allegorizzante di interpretazione. Il v. introduttorio non fa alcuna menzione di buoni o di cattivi, ma afferma semplicemente “ogni sorta”» [J.L. MacKenzie, «Il Vangelo secondo Matteo» in Grande commentario biblico, Queriniana, Brescia 1973, 934]. Il Regno è così descritto come universale nella sua portata, con l’esclusione di nessuno, reso possibile dall’unico sacrificio del Cristo.

«Non ha chiesto un prezzo a noi colui che per noi ha pagato il prezzo del suo sangue, poiché ci ha riscattati non con l’oro e l’argento, ma con il suo sangue prezioso (cfr. 1 Pt 1, 18-19). Sei debitore, dunque, del prezzo con il quale sei stato comprato. Per quanto egli non sempre lo pretenda, ne sei tuttavia debitore. Comprati dunque Cristo, non con ciò che hanno in pochi, ma con ciò che tutti hanno per natura e che in pochi offrono per timore. Quello che Cristo ti chiede gli appartiene. Egli ha dato la sua vita per tutti, egli ha offerto la sua morte per tutti. Paga per il tuo Creatore ciò che devi pagare per legge. Egli non è stato comprato per poco prezzo, non tutti lo vedono con facilità. E non a torto è esaltato il mercante che vendette ogni suo avere e comprò la perla (cfr. Mt 13, 45-46)» [Ambrogio di Milano, dal tratto su Giuseppe, 7, 42: CSEL 322, 102].

 

Nato a Roma il 2 aprile 1976, sacerdote diocesano. Dottore in Teologia, dopo l’insegnamento IRC e gli studi a Milano e Roma, fino al 2015 è stato Vice Preside dell’Istituto Teologico Diocesano e Direttore dell’Ufficio Catechistico di Mondovì. Ha approfondito Archeologia e Geografia a Gerusalemme e attualmente è Docente di Cristologia presso Istituto Superiore di Scienze Religiose “Ecclesia Mater” della Pontificia Università Lateranense, Guida Biblica per l’Opera Romana Pellegrinaggi e Vicario Parrocchiale di Santa Caterina da Siena in Roma. Autore dei saggi “La cristologia adamitica nella concezione agostiniana. Alla scoperta di un’antropologia della redenzione” (Edizioni Sant’Antonio, Padova 2019) e “La questione del soprannaturale nella concezione agostiniana. Riflessione all’opera De natura et gratia di Agostino d’Ippona” (Edizioni Sant’Antonio, Padova, 2019)