Don Massimiliano Nastasi – Riflessioni sulla XV domenica del Tempo Ordinario /A

Is 55, 1011    Sal 64    Rm 8, 1823    Mt 13, 123

La XV domenica del tempo ordinario apre al terzo dei cinque grandi discorsi di Matteo, veri e propri pilastri nella costruzione del Vangelo. Infatti, «la singolarità per certi versi persino straordinaria del Vangelo di Matteo è rappresentata dalla serie dei cinque grandi discorsi di Gesù, oculatamente collegati nel corso dell’opera in modo da rendere immediatamente individuabili il suo ritmo pastorale» [M. Làconi, «Prendono forma i Vangeli» in Vangeli sinottici e Atti degli Apostoli, M. Làconi e Coll. (a cura di), Elledici, Torino 20022, 153].Essi hanno il compito di tracciare le principali linee di comportamento del discepolo e della vita ecclesiale nel clima del Regno; ognuno in una sua precisa prospettiva.

 

Dopo il discorso della montagna (cc. 5-7) e della missione (c. 10), segue in queste tre successive domeniche quello in parabole relativo al Regno e i suoi sviluppi (c. 13), tema predominante di tutto il primo Vangelo definito caratteristicamente “Regno dei cieli”.Esso si snoda «nel clima tormentato del rifiuto di Israele (episodio di Nazaret: 13, 53-58) e del formarsi inaspettato di un nuovo popolo messianico nel deserto (cc. 14-15: moltiplicazione dei pani)» [M. Làconi, «I Discorsi di Gesù nel Vangelo di Matteo» in Vangeli sinottici e Atti degli Apostoli, M. Làconi e Coll. (a cura di), Elledici, Torino 20022, 219].

 

Il genere parabola (παραβολή: comparazione, similitudine: Mt 15, 15), presente nella letteratura profetica veterotestamentaria (es. Is 5, 1-7: il canto della vigna; 2 Sam 12, 1-7: la parabola di Natan), trova un suo collocamento nei Vangeli sinottici, ma in particolare in Luca con le tre parabole più significative: Lc 10, 25-37: il buon samaritano; Lc 15, 11-32: i due fratelli e il padre buono; Lc 16, 19-31: il ricco epulone e il povero Lazzaro [cfr. D. Hartman, Le parabole della fonte L. Studio sulle parabole peculiari del vangelo di Luca, UniorPress, Napoli 2018, 39-46; 74-81; 88-96].

 

Impiegato anche nella letteratura classica e in quella rabbinicase ne contano 2.000 narrate in risposta ad interrogativi posti dai discepoli mostrando come la risposta sia più vasta di quella che il discepolo può percepirema non con il gusto realistico e la vitalità didattica delle parabole evangeliche; e tuttavia la loro interpretazione non è così agevole [cfr. Ch.H. Dodd, Le parabole del Regno, Paideia, Brescia 1970, 24].

 

Secondo il biblista luterano Adolf Jülicher (1857-1938) nella sua opera Die Gleichnisreden Jesu, vol. I-II, Mohr, Tübingen 19102, la parabola è differente dall’allegoria, sviluppata nell’ambito della cultura ellenistica come forma di interpretazione di antichi ed autorevoli testi religiosi che non risultano più comprensibili. Essa è, invece, un brano di vita reale, in cui sarebbe da cogliere una sola idea attraverso la narrazione di un racconto immaginario tratto dalla natura o dalla vita quotidiana, realistico e spesso vivace, ma portato avanti in maniera da condurre l’ascoltatore a cogliere il vero intento del parabolista (Gesù) e quindi l’argomento reale del suo discorso (il Regno), e soprattutto a prendere una posizione consapevole e convinta.

 

Di diversa opinione l’esegeta luterano Joachim Jeremias (1900-1979) che trova nella parola ebraica משל(mashal: parabola) l’inclusione dei generi più disparati: «la parabola, il paragone, l’allegoria, la favola, il proverbio, il discorso apocalittico, il detto enigmatico, lo pseudonimo, il simbolo, la figura fittizia, l’esempio (il modello), il motivo, la giustificazione, la discolpa, l’obiezione, lo scherzo» [J. Jeremias, Le parabole di Gesù, Paideia, Brescia 19732, 14].  Comunque sia, le parabole di Gesù, differentemente dal linguaggio figurato di Paolo o dalle similitudini dei rabbini, evidenziano una «marcata originalità personale, una singolare chiarezza e semplicità, una padronanza inaudita della forma» [J. Jeremias, Le parabole di Gesù, cit., 6].

 

La parabola evangelica, quindi, dotata di un «carattere argomentativo» [V. Fusco, Oltre la parabola. Introduzione alle parabole di Gesù, Borla, Roma 1983, 55], è capace di far riflettere l’ascoltatore, di portarlo a esprimere un giudizio sulla situazione e, in ultimo, di applicarlo a sé. Ancor meglio, aprire alla comprensione di come «il Regno è l’affascinante valore massimo per il quale ogni altro può essere sacrificato» [K. Berger, Commentario al Nuovo Testamento. I. Vangeli e Atti degli apostoli, Queriniana, Brescia, 2014, 86].

 

Il “discorso in parabole” di Mt 13 si sviluppa sulla linea delle sette parabole, in parte esclusive di Matteo,che si succedono a coppie: si parte da una situazione di crisi (seminatore, zizzania: il rifiuto di molti, la crisi fra i credenti) passando per una fase di illuminazione messianica (senape, lievito: misteriosa forza e grandezza del Regno), fino alla gioiosa scoperta (tesoro, pietra preziosa: c’è chi ha trovato il tesoro del Regno e lo accoglie felice). Così la storia dell’uomo che procede verso il divino epilogo (rete: il giudizio celeste). Essefondamentalmente proclamano «l’annuncio del Regno, col progressivo svelarsi del mistero personale di Gesù; la pressante richiesta di un generoso atto di fede; infine l’autorevole indicazione sulle vie nuove di comportamento» [M. Làconi, «Le parabole evangeliche»in Vangeli sinottici e Atti degli Apostoli, M. Làconi e Coll. (a cura di), Elledici, Torino 20022, 233].

 

Questa domenica propone la prima pericope riguardante la parabola del seminatore, semplice descrizione del processo di aratura in Israele, del tipo di terreno su cui viene gettato il seme, e dei soliti risultati, ma che di fatto «enfatizza i differenti tipi di ostacoli e fallimento incontrati dalla proclamazione del regno»[R.E. Brown, Introduzione al Nuovo Testamento, Queriniana, Brescia, 2001, 271]. Gesù dispiega così in ventaglio le diverse qualità dei più diversi destinatari e le descrive in maniera analoga alle proprietà del terreno agricolo e alle differenti minacce esistenti per il destino del seme, giungendo al monito sull’essere un terreno buono, adatto per l’annuncio.

 

La parabola, poi, termina con l’affermazione: «Chi ha orecchi, ascolti» (Mt 13, 9), propriamente «un detto inserito per indicare che quanto fu affermato precedentemente ha un significato molto più profondo di quanto sembri a prima vista» [J.L. MacKenzie, «Il Vangelo secondo Matteo» in Grande commentario biblico, Queriniana, Brescia 1973, 932]. Una postilla stereotipata (come in Mt 11, 15) solitamente usata quando viene proposto un detto enigmatico; è un segno distintivo del saggio il quale è in grado di parlare in enigmi e risolverli.

 

Alla parabola segue una sezione di riferimento ad Is 6, 9s. sull’ostinazione (Mt 13, 9-17), nel senso che grazie all’allegoria ora gli estranei non capiscono più nulla: «Guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono» (Mt 13, 13). È un inserto secondario redatto da una comunità che, in prima istanza, potrebbe sembrare piena di risentimento che si delimita rispetto a chi sta al di fuori di essa e che ha tradito l’apertura del mondo di Gesù. Ma che, in realtà, vuole solo sottolineare come «non c’è speranza che comprendano le parabole – e con queste l’annuncio stesso di Gesù – tutti coloro che non vivono con Gesù in maniera radicale. Nel mistero delle parabole del vangelo per la prima volta si presenta una teoria della conoscenza esistenziale: si può comprendere solo nelle condizioni di uno stile di vita»[K. Berger, Commentario al Nuovo Testamento, cit.,86].

 

Una situazione di rifiuto della parola di Gesù tanto da essere definita dal teologo tedesco Romano Guardini (1885-1968) «il secondo peccato originale la cui portata in fondo può essere compresa solo in riferimento al primo» [R. Guardini, Il Signore. Riflessioni sulla persona e sulla vita di Gesù Cristo, Morcelliana – Vita e Pensiero, Brescia – Milano 2005, 136]. Questo indurimento del cuore e miopia dello spirito spingono il Maestro ad usare un annuncio della sua verità attraverso il velo dei simboli; «la causa di questo modello di predicazione è, dunque, la povertà spirituale degli ascoltatori e la loro superficialità. Ai discepoli, invece, “è dato conoscere i misteri del Regno dei cieli” (13, 11)» [G. Ravasi, Le pietre di inciampo del Vangelo. Le parole scandalose di Gesù, Mondadori, Milano 2015, 55]. Così, «il linguaggio delle parabole era così chiaro per chi ascoltava che l’accecamento di chi non voleva intendere nasceva da un rifiuto di Gesù e del suo messaggio, non da una difficile intellegibilità di quanto veniva proclamato; la parabola aveva in qualche modo la funzione di una prova della disponibilità, in chi ascoltava, ad aprirsi al messaggio di Gesù» [L.Pacomio, Gesù. 37 anni che cambiarono la storia, Piemme, Casale Monferrato (AL) 20004, 127].

 

Il Vangelo mentre trova l’ostilità del popolo eletto che ha veduto, ascoltato e compreso l’opera liberatrice di Adonai nel suo passato, è ora accolto dai pagani, spiriti aperti e cuori nuovi, il nuovo popolo dell’alleanza, santi per il Regno.

 

«L’apostolo ci chiama gli associati “dei santi” (Col 1, 12), e non c’è da meravigliarsi: se infatti si dice che noi siamo “in comunione con il Padre e con il Figlio” (1 Gv1, 3), come non lo saremmo anche con “i santi” (Ef 2, 19), non solo quelli che “sono in terra”, ma anche quelli “in cielo” (Col 1, 20)? Poiché anche Cristo mediante il suo sangue ha pacificato le realtà terrestri e celesti, per associare il terrestre al celeste. Indica ciò con chiarezza quando promette pienamente agli uomini il “regno dei cieli” (Mt 13, 11). Dunque, rompe e rinnega questa comunione chiunque si separa dalla loro unione con le proprie cattive azioni e con i cattivi sentimenti» [Origene, Omelie sul Levitico, 4, 4, M.I. Danieli (a cura di), Città Nuova, Roma 1985, 75].

 

Nato a Roma il 2 aprile 1976, sacerdote diocesano. Dottore in Teologia, dopo l’insegnamento IRC e gli studi a Milano e Roma, fino al 2015 è stato Vice Preside dell’Istituto Teologico Diocesano e Direttore dell’Ufficio Catechistico di Mondovì. Ha approfondito Archeologia e Geografia a Gerusalemme e attualmente è Docente di Cristologia presso Istituto Superiore di Scienze Religiose “Ecclesia Mater” della Pontificia Università Lateranense, Guida Biblica per l’Opera Romana Pellegrinaggi e Vicario Parrocchiale di Santa Caterina da Siena in Roma. Autore dei saggi “La cristologia adamitica nella concezione agostiniana. Alla scoperta di un’antropologia della redenzione” (Edizioni Sant’Antonio, Padova 2019) e “La questione del soprannaturale nella concezione agostiniana. Riflessione all’opera De natura et gratia di Agostino d’Ippona” (Edizioni Sant’Antonio, Padova, 2019)