Don Massimiliano Nastasi – Riflessioni sulla XII Domenica del Tempo Ordinario /A

Ger 20, 10-13  ⌘  Sal 68    Rm 5, 12-15    Mt 10, 26-33 

La liturgia domenicale, dopo le celebrazioni delle tre grandi solennità del tempo ordinario – Ss. Trinità, Corpo e Sangue di Cristo e Sacro Cuore di Gesù – che concludono gli eventi contemplati nel periodo pasquale, riprende il suo cammino nella lettura del Vangelo di Matteo.

Dell’autore non sappiamo molto tranne che, secondo alcuni Padri della Chiesa come Origene, è considerato il primo evangelista [riportato da Eusebio, Hist. Eccl. VI, 25,4]. E, invero, pur se tutti gli esegeti convengono su Marco come fonte di Matteo e di Luca, «il fondo ebraico palestinese di questo Vangelo è innegabile: la lingua, i procedimenti stilistici, i richiami alle usanze religiose ebraiche, il costante confronto con le Scritture sono lì a confermarlo» [M. Làconi, «I Vangeli sinottici nella Chiesa delle origini», in Vangeli sinottici e Atti degli Apostolo, M. Làconi e Coll. (a cura di), Elledici, Torino 20022, 144].

Presumibilmente lo scrittore del “primo” Vangelo è un giudeo cristiano di lingua greca della diaspora, che scrive ad Antiochia (alta Siria) tra l’80 e il 90 del I sec. per una Chiesa impegnata in un confronto serrato con l’ebraismo rinato negli ultimi decenni del secolo, e si serve di prezioso materiale riferibile a primitive testimonianze.  Difatti, «Matteo canonico fu scritto originariamente in greco da uno che non fu testimone oculare, il cui nome ci è sconosciuto e che dipende da fonti come Marco e Q» [R.E. Brown, Introduzione al Nuovo Testamento, Queriniana, Brescia 2001, 302]. Comunque, non è escluso che un suo autorevole rappresentante (Matteo) potrebbe effettivamente trovarsi alla radice di tutto.

Di fronte una chiesa che ha attraversato momenti di smarrimento e gravi difficoltà accresciute dal cattivo servizio di falsi maestri, nonché il desiderio di molti giudei cristiani di ritornare alla loro originaria fede riproposta in modo più attrattiva dopo il concilio giudaico di Jamnia del 95 d.C. – che stabilisce l’espulsione dalla comunità ebraica della componente giudeo-cristiana e la fissazione del canone ebraico –, il Vangelo richiama ad una interpretazione corretta del vero discepolo ed avverte l’urgenza di una catechesi intensa e precisa, ancorata a una fede viva sul Risorto, centro della vita comunitaria.

L’autore, perciò, sviluppa la sua catechesi (εὐαγγέλιον) in cinque grandi discorsi di Gesù: della montagna (5, 3 – 7, 27), missionario (10, 5 – 42), in parabole (13, 3-52), sulla chiesa (18, 1-35), escatologico (24, 4 – 25, 46); un vero e proprio «pentateuco cristiano» [B.W. Bacon, Studies in Matthew, Henry Holt, New York 1930, 110-118] che vorrebbe presentare il Maestro «come un nuovo Mosè, ma non si limita a questo; piuttosto, vuol far comprendere che Gesù è ben più grande di Mosè» [C. Buzzetti, «Il discorso del monte (Mt 5-7)», in Vangeli sinottici e Atti degli Apostolo, M. Làconi e Coll. (a cura di), Elledici, Torino 20022, 321].

Di questi cinque discorsi, oggi la liturgia si sofferma sulla parte centrale di quello missionario, ambientato in un contesto di scelta ed evangelizzazione dei Dodici, con l’autorità sugli spiriti impuri ed il potere di operare guarigioni per annunciare «che il regno dei cieli è vicino» (Mt 10, 7), ma possibilmente rivolto «alle pecore perdute della casa d’Israele» (Mt 10, 6).

Un apostolato però non privo di ostilità – «Vi mando come pecore in mezzo a lupi» (Mt 10, 16) – che anticipa il tipo di persecuzione che accoglierà i discepoli dopo la resurrezione (testimoniato da Luca negli Atti degli Apostoli), ma comunque con la promessa del Paraclito: «Infatti non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi» (Mt 10, 20).

Il Maestro, «con la coscienza maturata di fronte alla costante opposizione omicida dei capi dei sacerdoti, degli scribi, dei farisei, vede con lucidità il suo esito finale» [L. Pacomio, Gesù. 37 anni che cambiarono la storia, Piemme, Casale Monferrato (AL) 20004, 144], incoraggia i suoi discepoli a non avere paura degli uomini, ma piuttosto «di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo» (Mt 10, 28), perché è meglio perdere la propria vita salvando la fede che vivere ma poi terminare come un rifiuto per sempre. Difatti, ogni profeta veterotestamentario, come anche Giovanni Battista che ha portato avanti la parola del Signore al suo popolo nella giustizia non ha trovato altro che persecuzione e morte. Geremia, vissuto seicentosessant’anni prima di Gesù, ne è un esempio.

Matteo, differentemente dagli altri evangelisti, si riferisce molto al profeta Geremia e lo cita esplicitamente tre volte (2, 17-18; 16, 14 e 27, 9), Ma è proprio in Mt 16, 14 che determina una identificazione tipologia di Gesù con il profeta da parte delle folle: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti» (Mt 10, 28), anche perché «all’epoca era considerato il profeta; il suo libro era rappresentativo dei libri profetici nel loro complesso; aveva annunciato la distruzione del tempio di Gerusalemme ed era stato duramente perseguitato dai Gerosolimitani del suo tempo» [J-N. Aletti, Senza tipologia nessun vangelo. Interpretazione delle Scritture e cristologia nei vangeli di Matteo, Marco e Luca, San Paolo – GBP, Cinisello Balsamo (Milano) – Roma 2019, 81].

La figura di Geremia, pertanto, anticipa quella di Gesù, perseguitato per la sua fede e per la giustizia, e il suo lamento di uomo sofferente ed angosciato trova il conforto e la speranza in Adonai che lo ha sedotto: «Ma il Signore è al mio fianco come un prode valoroso» (Ger 20, 11). Però mentre Gesù sulla croce non chiede giustizia contro i suoi persecutori, Geremia rivendica la propria causa affidandola al Signore affinché sia lui a compierla: «Signore degli eserciti, che provi il giusto, che vedi il cuore e la mente, possa io vedere la tua vendetta su di loro, poiché a te ho affidato la mia causa» (Ger 20, 12).

Solo l’amore di Cristo e l’azione del Paraclito potrà veramente portare l’uomo ad una accettazione delle persecuzioni per il regno dei cieli tanto da procurare ammirazione anche da parte degli stessi persecutori che troveranno, invece, proprio la morte violenta, come ci testimonia lo scrittore romano di fede cristiana Lucio Lattanzio (250-317) nel suo De mortibus persecutorum [tr. it., Come muoiono i persecutori, Città Nuova, Roma 2005].

«Voi siete pieni di emulazione e di zelo nelle cose che riguardano la salvezza. Vi siete curvati sulle Sacre Scritture, le vere, date dallo Spirito Santo. Siete convinti che nulla di ingiusto e di falso è scritto in esse. Non troverete che i giusti siano stati ricusati da uomini santi. I giusti sono stati perseguitati, ma dagli ingiusti; sono stati imprigionati ma dagli empi; sono stati lapidati, ma dagli empi; uccisi da quelli che vengono presi dall’invidia perversa e malvagia. Essi sopportarono gloriosamente queste sofferenze. Che dire, o fratelli? Daniele forse fu gettato nella fossa dei leoni da quelli che temevano Dio? Anania, Azaria e Misaele furono chiusi in una fornace di fuoco da quelli che praticavano il culto grande e glorioso dell’Altissimo? Giammai questo. Chi sono, dunque, quelli che l’hanno commesso? I detestabili e pieni di ogni cattiveria spinsero il loro furore sino al punto da mandare alla tortura quelli che servivano Dio in santità e senza reprensione. Essi non sapevano che l’Altissimo è difensore e protettore di quelli che con coscienza difendono il suo santo nome. A lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen. Coloro che hanno sopportato con fiducia hanno ereditato la gloria e l’onore; sono stati esaltati e scritti da Dio nel suo memoriale per i secoli dei secoli. Amen»: Clemente Romano, Lettera ai Corinti XLV, l-8., in I Padri Apostolici, A. Quacquarelli, Città Nuova, Roma 19917, 78-79.

 

Nato a Roma il 2 aprile 1976, sacerdote diocesano. Dottore in Teologia, dopo l’insegnamento IRC e gli studi a Milano e Roma, fino al 2015 è stato Vice Preside dell’Istituto Teologico Diocesano e Direttore dell’Ufficio Catechistico di Mondovì. Ha approfondito Archeologia e Geografia a Gerusalemme e attualmente è Docente di Cristologia presso Istituto Superiore di Scienze Religiose “Ecclesia Mater” della Pontificia Università Lateranense, Guida Biblica per l’Opera Romana Pellegrinaggi e Vicario Parrocchiale di Santa Caterina da Siena in Roma. Autore dei saggi “La cristologia adamitica nella concezione agostiniana. Alla scoperta di un’antropologia della redenzione” (Edizioni Sant’Antonio, Padova 2019) e “La questione del soprannaturale nella concezione agostiniana. Riflessione all’opera De natura et gratia di Agostino d’Ippona” (Edizioni Sant’Antonio, Padova, 2019)