Don Massimiliano Nastasi – IV Domenica del tempo di Pasqua / A

At 2, 14a.36-41  ⌘  Sal 22  ⌘  1 Pt 2, 20b-25  ⌘  Gv 10, 1-10

La IV domenica di Pasqua, tradizionalmente posta al centro di questo tempo liturgico, apre alla contemplazione del Signore come la porta e il pastore ideale. Dopo gli avvenimenti legati alla resurrezione e le testimonianze di Simone, degli apostoli e dei discepoli di Emmaus, la comunità cristiana è invitata ora a rileggere le parole del Maestro alla luce della sua manifestazione come il Risorto. Così, come nella figura del buon pastore, anche nell’affermazione di essere via verità e vita, e nella promessa di ricevere lo Spirito Santo, che caratterizzano le prossime domeniche fino a Pentecoste.

La rappresentazione di Gesù come il pastore è anticipata da un’altra immagine alquanto significativa: «la porta delle pecore» (Gv 10, 7), metafora utilizzata spesso dai primi scrittori cristiani per indicare il Cristo come perfetto mediatore: «Onorabili anche i sacerdoti, soprattutto il gran sacerdote custode del santo dei santi, il solo che ritiene i segreti di Dio, essendo la porta del Padre per la quale entrano Abramo, Isacco, Giacobbe, i profeti, gli apostoli e la Chiesa. Tutto questo per l’unità di Dio» [Ignazio di Antiochia, Phd, 9, 1, tr. it., Ai Filadelfiesi, in I Padri apostolici, A. Quacquarelli (a cura di), Città Nuova, Roma 19917, 131]; «Pertanto la porta nuova è nuova affinché coloro che saranno salvati entrino per essa nel regno di Dio» [Erma, Il Pastore, sim. IX, 12, 3, O. Soffritti (a cura di), Edizioni Paoline, Alba 1970, 282].

Tale similitudine trova il suo compimento nell’affermazione: «Io sono la via» (Gv 14, 6), unico modo per giungere alla grazia sanante: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati» (Mc 2, 17). Gesù, quindi, è la porta che permette l’accesso al Padre e attraverso lui si può giungere alla conoscenza di Dio; ma se non si passa attraverso lui si è «un ladro o un brigante» (Gv 10, 1). Il pastore, infatti, passa attraverso la porta, che significa accettare la sua mediazione, unica ed insostituibile, e chi non possiede lo stile del Maestro è un ladro che viene se non «per rubare, uccidere e distruggere» (Gv 10, 10).

In questa sequenza narrativa, posta tra il discorso di Gesù sulla luce del mondo, alla spianata del tempio durante la festa delle capanne, e la resurrezione di Lazzaro, si può constatare un diretto rimprovero ai farisei che in Gv 9, 40-41 sono accusati di essere cechi, ma anche ad altri cristiani che nella chiesa giovannea hanno introdotto pastori che possono sembrare rivali alle pretese di Cristo: «Il famoso passo in 10,16, in cui Gesù, riferendosi ad altre pecore non di questo ovile, esprime il suo scopo di avere un solo gregge e un solo pastore, suggerisce che, quando il Vangelo fu scritto, la divisione tra i seguaci di Gesù era un problema » [R.E. Brown, Introduzione al Nuovo Testamento, Queriniana, Brescia, 2001, 477]. Richiamo che fa anche Pietro ai cristiani che si trovano in difficoltà a causa delle divisioni interne alla comunità: «Eravate erranti come pecore, ma ora siete stati ricondotti al pastore e custode delle vostre anime» (1 Pt  2, 25).

L’importanza di Gesù come porta, comunque sia, resta dal fatto che egli sia venuto per dare la vita in abbondanza, e che si rende possibile in quanto egli riceve l’amore dal Padre: «perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo» (Gv 10, 17). La morte del Maestro per i discepoli, difatti, viene da sempre inquadrata nell’ambito del suo rapporto con il Padre: il Padre ama Gesù e gli dà quindi pieno potere nel dare e riprendere la vita, come afferma un’antica omelia: «Il Dio della pace, che ha ricondotto dai morti il Pastore grande delle pecore, in virtù del sangue di un’alleanza eterna» (Eb 12, 20). Cosicché, «la reciproca conoscenza del Padre e del Figlio che spiega il sacrificio supremo del Pastore per le sue pecore è parimenti la spiegazione dell’amore del Padre per il Figlio, perché il sacrificio del Figlio è compiuto in perfetta armonia con la volontà del padre» [B. Vawter, «Il vangelo secondo Giovanni», in Grande Commentario Biblico, Queriniana, Brescia 1973, 1408]. Una relazione che grazie alla resurrezione del Figlio di Dio è estesa ad ogni uomo, pur soggetta a persecuzioni e a continue seduzioni: «Negli ultimi giorni si moltiplicheranno i falsi profeti e i corruttori, e le pecore si muteranno in lupi, e la carità si muterà in odio» [Didaché, XVI, 3, U. Mattioli (a cura di), Edizioni Paoline, Alba 1965, 149-150].

Dopo l’immagine della porta, segue quella del «pastore» (Gv 10, 11), un richiamo alla tradizione ebraica legata principalmente alla figura di Davide e a Dio stesso (Sal 23), e successivamente ai pastori d’Israele (Ez 34-37). Ma è presente anche nell’idea orientale del sovrano, che tratta il suo gregge in maniera premurosa ed attenta, come nella tradizione omerica (Iliade 1, 263; 2, 243). A differenza del titolo di “re” e per altri versi di quello di “messia”, con questa rappresentazione non viene formulata nessuna pretesa chiaramente circoscrivibile; questo titolo, infatti, non rimanda a rivendicazioni di sorta, ma all’atto del servire. Un buon pastore è interamente dedito al proprio mestiere rischiando la vita (1 Sam 17, 37s; Is 31, 4) e la sua professione gli garantisce a malapena la sopravvivenza. Siffatti, «anche all’epoca neotestamentaria le cose stavano in questi termini e soltanto in epoca più recente, accanto alla cristologia legata ai titoli – come ad esempio “Figlio di Dio” o “Signore” – sono state sistematicamente riscoperte le affermazioni su Gesù formulate attraverso metafore» [K. Berger, Commentario al Nuovo Testamento, Queriniana, Brescia, 2014, 482].

Pertanto, la caratteristica principale che richiama Gesù come il pastore è la sua completa oblazione per il bene del suo gregge: «La croce è il fulcro del discorso del pastore, e non come atto di violenza che colga Gesù di sorpresa e che gli venga inflitto dall’esterno, bensì come offerta spontanea di se stesso» [Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Rizzoli, Milano, 2007, 324]. Una spontanea ed amorosa donazione per gli altri, nata da un atto di violenza esterno della crocifissione, che diventa il suo darsi nel mistero dell’Eucaristia e dell’evento pasquale per condurci ai pascoli della vita eterna.

«“Se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo” (Gv 10, 9). Entrerà cioè nella fede, uscirà dalla fede alla visione, dall’atto di credere alla contemplazione, e troverà i pascoli nel banchetto eterno. Le sue pecore troveranno i pascoli, perché chiunque lo segue con cuore semplice viene nutrito con un alimento eternamente fresco. Quali sono i pascoli di queste pecore, se non gli intimi gaudi del paradiso, ch’è eterna primavera? Infatti, pascolo degli eletti è la presenza del volto di Dio, e mentre lo si contempla senza paura di perderlo, l’anima si sazia senza fine del cibo della vita. Cerchiamo, quindi, fratelli carissimi, questi pascoli, nei quali possiamo gioire in compagnia di tanti concittadini. La stessa gioia di coloro che sono felici ci attiri. Ravviviamo, fratelli, il nostro spirito. S’infervori la fede in ciò che ha creduto. I nostri desideri s’infiammino per i beni superni. In tal modo amare sarà già un camminare. Nessuna contrarietà ci distolga dalla gioia della festa interiore, perché se qualcuno desidera raggiungere la mèta stabilita, nessuna asperità del cammino varrà a trattenerlo. Nessuna prosperità ci seduca con le sue lusinghe, perché sciocco è quel viaggiatore che durante il suo percorso si ferma a guardare i bei prati e dimentica di andare là dove aveva intenzione di arrivare»: Gregorio Magno, Om. 14, 3-6, in Omelie sui vangeli, G. Cremascoli (a cura di), Città Nuova, Roma 1994, 122.

 

Nato a Roma il 2 aprile 1976, sacerdote diocesano. Dottore in Teologia, dopo l’insegnamento IRC e gli studi a Milano e Roma, fino al 2015 è stato Vice Preside dell’Istituto Teologico Diocesano e Direttore dell’Ufficio Catechistico di Mondovì. Ha approfondito Archeologia e Geografia a Gerusalemme e attualmente è Docente di Cristologia presso Istituto Superiore di Scienze Religiose “Ecclesia Mater” della Pontificia Università Lateranense, Guida Biblica per l’Opera Romana Pellegrinaggi e Vicario Parrocchiale di Santa Caterina da Siena in Roma. Autore dei saggi “La cristologia adamitica nella concezione agostiniana. Alla scoperta di un’antropologia della redenzione” (Edizioni Sant’Antonio, Padova 2019) e “La questione del soprannaturale nella concezione agostiniana. Riflessione all’opera De natura et gratia di Agostino d’Ippona” (Edizioni Sant’Antonio, Padova, 2019)