Blog / Don Massimiliano Nastasi | 24 Aprile 2020

Don Massimiliano Nastasi – Riflessioni sulla III Domenica del tempo di Pasqua / A

At 2, 14.22-33  ⌘  Sal 15  1 Pt 1, 17-21   Lc 24, 13-35

La III domenica del tempo di Pasqua, dopo le apparizioni del Risorto a Maria Maddalena (Gv 20, 11-18), agli apostoli (Gv 20, 19-22) e otto giorni dopo a Tommaso detto Δίδυμος (Gv 20, 26-29) – ossia la personificazione dello stesso Vangelo di Giovanni che serve da testimonianza per garantire la verità degli eventi (mediazione apostolica) – ci propone il racconto dei due discepoli in cammino sulla strada verso Emmaus, accennato nell’appendice dal primo Vangelo (Mc 16, 12-13) ma sviluppato teologicamente dall’evangelista Luca.

Prima di proseguire, comunque, è opportuno chiare come questi racconti pasquali non devono essere compresi nella qualità di affermazioni paradossali contro la realtà, bensì esperienze del Dio vivente e vittorioso in Gesù di Nazaret. O meglio, come esperienze contagiose di colui che è «il Primo e l’Ultimo, e il Vivente» (Ap 1, 17-18), che nel silenzio di Dio si è assoggettato realmente al dominio della morte, e da esso poté destarsi e disfarlo dall’interno, sconfiggendo il diavolo: «Al principe di questo mondo rimase nascosta la verginità di Maria e il suo parto, similmente la morte del Signore, i tre misteri clamorosi che furono compiuti nel silenzio di Dio» [Ignazio di Antiochia, Lettera agli Efesini, XIX, 1, in I Padri apostolici, A. Quacquarelli (a cura di), Città Nuova, Roma 19917, 106]. In questo senso il Cristo è stato anche l’ultimo che poté levare il lamento del giusto perseguitato del salmo 22: «Elì, Elì, lemà sabactàni?» (Mt 27, 46); mentre ora per i suoi discepoli la morte non è più abbandono di Dio, ma la porta che si apre sulla piena comunione con il nuovo Adamo: «Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita» (1 Cor 15, 22).

Il racconto dei discepoli di Emmaus – primo insegnamento di Gesù dopo la resurrezione sul suo ruolo per Israele (Lc 24, 21-27) – è inserito, pertanto, in questa cornice interpretativa; «Gesù dà un’importante rivelazione ai discepoli: fa appello a tutta la Scrittura, per spiegare ciò che ha fatto come Messia. Nel libro degli Atti i predicatori apostolici faranno questo e Luca vuole radicare il loro uso della Scrittura nella rivelazione data a Gesù» [R.E. Brown, Introduzione al Nuovo Testamento, Queriniana, Brescia, 2001, 366].

Oltre ciò, l’evangelista intende mostrare soprattutto il senso profondo della celebrazione del pane della comunità cristiana, descritta in Atti 2, 42-47 e richiamata dal testo più antico di Paolo in 1 Cor 11, 23-26, come radice della fede cristiana nella presenza del Signore al banchetto eucaristico che ogni domenica raccoglie i cristiani, realizzando così l’incontro con il Risorto: «Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto» (Gv 20, 29). La presenza di Gesù risorto trova, infatti, un legame particolare al convito, come nell’apparizione agli Undici (Lc 24, 42-43), nella pesca miracolosa (Gv 21, 1-14) o prima della sua ascensione (At 1, 4); «Il Signore sta a tavola con i suoi come prima, con la preghiera di benedizione e lo spezzare il pane. Poi sparisce davanti alla loro vista esterna, e proprio in questo scomparire si apre la vista interiore: lo riconoscono. È un vero incontro conviviale e tuttavia è nuovo. Nello spezzare il pane Egli si manifesta, ma solo nello sparire diventa veramente riconoscibile» [Benedetto XVI, Gesù di Nazaret. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla resurrezione, LEV, Città del Vaticano, 2011, 299].

I due discepoli, al sentire «l’insegnamento del senso più profondo, nascosto della Scrittura impartito da una persona che viene essa stessa dalla realtà nascosta, invisibile» [K. Berger, Commentario al Nuovo Testamento, Queriniana, Brescia, 2014, 408], sentono ardere i loro cuori, specialmente quando egli mostra loro come bisognava che «il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria» (Lc 24, 26). È un cuore indignato che si lamenta dell’ingiustizia recata ad un giusto innocente e che arde dal desiderio di giustizia, come ricordano le antiche midrāshim: «Io ardevo nelle mie viscere [dal desiderio] di svelargli che Giuseppe che era stato venduto. Ma avevo paura dei miei fratelli» [TestXII-Naft 7, 4, tr. it., Testamento di Neftali, in Apocrifi dell’Antico Testamento, vol. I, P. Sacchi (a cura di), UTET, Torino 1981, 865].

Le parole della Scrittura e la frazione del pane portano i discepoli a riconoscerlo come il Messia. Infatti, «come vennero aperti gli occhi ai discepoli di Emmaus quando il misterioso compagno “a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede a loro” (Lc 24, 30), così ai fedeli di ogni epoca viene offerta la visione del Signore risorto “nello spezzare il pane” – cioè nella liturgia eucaristica» [T. Verdon, La bellezza nella parola. L’arte a commento delle letture festive. Anno C, San Paolo, Torino 2009, 133]. È, quindi, l’eucaristia l’atto dello svelamento del Cristo risorto agli occhi del credente; «Non basta, per poterlo riconoscere nella sua realtà più intima, l’esperienza fisica dell’ascolto. Quest’ultima è importante perché – come i due discepoli confesseranno – fa “ardere il cuore nel petto”; ma è necessaria una via superiore di conoscenza, quella della fede, che permette l’incontro pieno sotto il segno del pane spezzato» [G. Ravasi, Le pietre di inciampo del Vangelo. Le parole scandalose di Gesù, Mondadori, Milano 2015, 191].

Questo semplice racconto, infine, trova il suo parallelo, sempre nel contesto lucano, dall’incontro del diacono Filippo con l’eunuco sulla strada di Gaza (At 8, 26-40). Vi troviamo, infatti: 1. l’ignoranza delle Scritture; 2. la spiegazione che Gesù deve soffrire, in base alla Scrittura; 3. un’insistenza a fermarsi più a lungo; 4. improvvisa scomparsa. Esso, quindi, «si inserisce in una serie di narrazioni nelle quali Cristo si manifesta nella persona di predicatori peregrinanti: i 72 discepoli missionari (Lc 10, 8.16); Paolo (Gal 4, 13; 2 Cor 5, 20); tutti i bisognosi (Mt 25, 31-46)» [C. Stuhlmueller, «Il vangelo secondo Luca» in Grande Commentario Biblico, Queriniana, Brescia 1973, 1034]. Tradizione successivamente modificata prima che raggiungesse Luca, sotto l’influsso della liturgia eucaristica, mantenendo l’identica sequenza: una lettura e una spiegazione della Scrittura (Lc 24, 25-27) e lo spezzare del pane (Lc 24, 30).

Con i discepoli di Emmaus, poniamoci perciò in ascolto del Signore risorto presente nella Scrittura che cammina come pellegrino insieme a noi, giungendo a mangiare il suo corpo e bere il suo sangue offerti per la nostra salvezza.

«Quando dunque un cristiano accoglie un altro cristiano, è un membro che si pone al servizio di un altro membro, e con questo reca gioia al capo, che ritiene dato a sé ciò che si elargisce a un suo membro. Ebbene, finché siamo quaggiù, si dia il cibo a Cristo che ha fame, si dia da bere a lui assetato, lo si vesta quando è nudo, lo si ospiti quand’è pellegrino, lo si visiti quando è malato. Queste cose comporta l’austerità del cammino. Così dobbiamo vivere nel presente pellegrinaggio durante il quale Cristo è nel bisogno: ha bisogno nei suoi, pur essendo pieno di tutto in sé. Ma colui che nei suoi è bisognoso, mentre in sé abbonda in tutto, convocherà attorno a sé tutti i bisognosi. E vicino a lui non ci sarà più né fame, né sete, né nudità né malattia, né migrazioni né stenti né dolore»: Agostino, Serm., 236, 2-3, in «Opera omnia di sant’Agostino», vol. XXXII/2 («Discorsi [230-272/B]: su i Tempi liturgici», tr. it. P. Bellini – F. Cruciani – V. Tarulli), NBA – Città Nuova, Roma 1984, 755.

 

Nato a Roma il 2 aprile 1976, sacerdote diocesano. Dottore in Teologia, dopo l’insegnamento IRC e gli studi a Milano e Roma, fino al 2015 è stato Vice Preside dell’Istituto Teologico Diocesano e Direttore dell’Ufficio Catechistico di Mondovì. Ha approfondito Archeologia e Geografia a Gerusalemme e attualmente è Docente di Cristologia presso Istituto Superiore di Scienze Religiose “Ecclesia Mater” della Pontificia Università Lateranense, Guida Biblica per l’Opera Romana Pellegrinaggi e Vicario Parrocchiale di Santa Caterina da Siena in Roma. Autore dei saggi “La cristologia adamitica nella concezione agostiniana. Alla scoperta di un’antropologia della redenzione” (Edizioni Sant’Antonio, Padova 2019) e “La questione del soprannaturale nella concezione agostiniana. Riflessione all’opera De natura et gratia di Agostino d’Ippona” (Edizioni Sant’Antonio, Padova, 2019)