Articoli / Blog | 25 Febbraio 2020

Agi – Andare a Messa, durante un’epidemia

Sulla scorta delle ultime notizie a proposito di coronavirus, i vescovi toscani decidono che non si lasci l’acqua benedetta nelle acquasantiere, che durante la messa non ci si scambi il segno di pace e che l’ostia venga data in mano. Fino a quando la messa ci sarà, aggiungo io, perché, sulla scorta di quanto avvenuto a Milano ed in altre diocesi italiane, è presumibile che la Conferenza episcopale toscana faccia eco alle autorità civili e la sospenda fino a quando l’emergenza sarà superata.

I cattolici che si lamentano di queste decisioni hanno ben poco di cattolico. I preti – anzi i santi – di una volta, facevano esattamente lo stesso. Ho presente il caso del venerabile Angelo Ramazzotti, vescovo di Pavia di cui è in corso la causa di beatificazione, che nel 1854 durante l’epidemia di colera decise che non si desse ai moribondi la comunione in punta di morte (il cosiddetto “viatico”) perché, anche se la medicina ancora non sapeva spiegarlo, era evidente ai suoi occhi che il colera si contagiasse.

Quand’anche i vescovi della Toscana dovessero decidere che non si faccia la messa in pubblico, non è che “si smette di dire messa”, si smetterebbe di celebrarla in pubblico: i sacerdoti, cioè, continuerebbero a celebrare il sacrificio e a offrirlo per la Chiesa e, poiché la messa è atto del popolo di Dio a prescindere dalla quantità di persone che vi assistono, una messa con un solo prete è sempre messa di tutta la Chiesa: vale come se tutti i vescovi del mondo la celebrassero assieme al Papa a San Pietro. Oltretutto, è regola generale che il precetto domenicale della messa non vale in caso di necessità: figurarsi quando la Chiesa decide di non celebrare la messa.

C’è anche chi, volendo ricevere la comunione in bocca o volendo farsi a tutti i costi il segno della Croce con l’acqua benedetta, si scandalizza perché pensa “Gesù è buono, non può farci del male: il suo Corpo purissimo ci preserva da ogni malattia”. Questa è magia. L’Eucarestia è, per il credente, nella sostanza, Cristo, ma negli accidenti è il normale pane e vino: tanto è vero che i celiaci devono usare un particolare tipo di ostia. Secondo la fede cattolica, il male – anche le malattie – è entrata nel mondo a causa del peccato originale, e ora il male c’è e Dio lo permette. Obbligare Dio a “togliere” il virus da un’ostia qualora ci fosse, è l’essenza del pensiero magico: quella mentalità che “comanda” al divino, non che chiede umilmente “sia fatta la tua Volontà”.

I cristiani che sentono l’anelito al martirio volendo la Comunione in bocca se il vescovo dice di prenderla in mano, che vogliono abbracciarsi in una messa gremita di gente per scambiarsi il segno della pace, ricordino che martire è colui che offre la propria vita, non quella degli altri: quest’ultimo si chiama kamikaze che vuole uccidere stando in mezzo alla folla.

Nei casi in cui le nostre liturgie comunitarie venissero temporaneamente sospese o cambiate in qualche particolare è molto opportuno alimentare la propria carità pregando nella propria stanza (come dice il Vangelo – cfr Mt 6,6) e manifestando una particolare attenzione verso le singole persone: soprattutto i più anziani, che non possono essere lasciati soli, e gli ammalati; stando vicini a quanti operano nel campo della sanità esponendo le loro persone al rischio di contagio, e a tutti coloro che, con la ricerca scientifica, cercano di individuare cure e vaccini adatti.

Tratto da Agi