Don Massimiliano Nastasi – Riflessioni sulla Presentazione del Signore

Ml 3, 1-4   ⌘   Sal 23   ⌘   Eb 2, 14-18   ⌘   Lc 2, 22-40

La festa della Presentazione del Signore fa memoria di un evento accaduto quaranta giorni dopo il Natale e legato alla tradizione giudaica sulla purità. In particolare, come prescrive Mosè, la donna che partorisce rimane impura per via della perdita del sangue e, quindi, isolata nella propria casa: se partorisce un maschio, la sua impurità resta di quaranta giorni; se una femmina, invece, ottanta giorni. Infatti, dopo l’ottavo giorno della circoncisione del bambino, la donna «resterà trentatré giorni a purificarsi dal suo sangue» (Lv 12,4); «ma se partorisce una femmina sarà impura due settimane […] resterà sessantasei giorni a purificarsi dal suo sangue» (Lv 12,5).

Terminato questo periodo, segue per la partoriente un rito di purificazione, e con esso anche il riscatto del proprio primogenito attraverso il sacrificio di un animale, ricordando così la salvezza dei primogeniti ebrei all’esodo dall’Egitto: «Consacrami ogni essere che esce per primo dal seno materno tra gli Israeliti: ogni primogenito di uomini o di animali appartiene a me» (Es 13,2). Nell’obbedienza della legge, perciò, Giuseppe in quanto padre legale di Gesù con la sua sposa Maria, sale al tempio acquistando un paio di tortore, l’offerta dei poveri.

Nel tempio, nel compiere questi riti, avviene l’incontro con due persone anziane: Simeone ed Anna. La tradizione orientale, intorno al VI sec., chiama questa festa Ypapanté, ossia dell’incontro, trovando il suo riferimento nel testo della Peregrinatio Aetheriae, uno scritto risalente al 363, dove una pellegrina, forse di origine spagnola, Eteria o Egeria, intraprende un pellegrinaggio in Terra Santa descrivendo accuratamente nel suo diario: «Il quarantesimo giorno dopo l’Epifania, qui, si celebra veramente con grande solennità. Infatti, in quel giorno si fa una processione all’Anastasis, e tutti ci vanno, e si fa tutto secondo il rito con grande pompa, come per Pasqua. Inoltre, tutti i sacerdoti predicano, come pure il vescovo, commentando sempre quel passo del vangelo in cui è detto che il quarantesimo giorno Maria e Giuseppe portarono il Signore al tempio e che lo videro Simeone e la profetessa Anna, figlia di Famuel, e le parole che essi dissero vedendo il Signore e l’offerta che fecero i genitori. E dopo aver fatto, regolarmente, tutte le celebrazioni che si usano, si celebrano i Misteri e ha termine la funzione» [Eteria, Diario di viaggio, C. di Zoppola – A. Candelaresi (a cura di), Edizioni Paoline, Alba, 1966, 127].

Festa Ypapanté, perciò, in quanto Simeone, rappresentante l’Antico Testamento, incontra un bambino, il Nuovo Testamento, immagine simbolica dell’incontro d’Israele con il suo re che accoglie con le proprie braccia, riconosciuto dal Padre al Giordano come «il servo» con cui Dio si compiace. Gesù rappresenta così la «luce per rivelarti alle genti e gloria del popolo, Israele» (Lc 2,32). Per il vecchio sacerdote la sua morte è concepita come la fine del suo servizio e momento di liberazione e il «fatto di aver visto il Messia fa morire Simeone in pace, poiché egli fa già parte della generazione messianica, e queste persone sono sempre state considerate beate» [K. Berger, Commentario al Nuovo Testamento, Queriniana, Brescia, 2014, 280-281].

La presentazione del bambino è certamente gioia e speranza per Simeone che «deve aver atteso in mezzo a grandi sofferenze, testimone com’era del tradimento sacerdotale di numerose sacre obbligazioni» [C. Stuhlmueller, «Il vangelo secondo Luca» in Grande Commentario Biblico, Queriniana, Brescia 1973, 983]. Ma al tempo stesso è realizzazione dell’intervento del Signore per il giudizio, come descrive il profeta Malachia chiudendo il rotolo dei dodici profeti intorno al 460 a.C., annunciando che egli «entrerà nel suo tempio» (Ml 3,1) e «siederà per fondere e purificare l’argento; purificherà i figli di Levi, li affinerà come oro e argento, perché possano offrire al Signore un’offerta secondo giustizia» (Ml 3,3). Egli che, come scrive un’antica esortazione anteriore al 70 d.C., tutto simile agli uomini, diventa definitivamente «sommo sacerdote misericordioso e degno di fede nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo» (Eb 2,17).

«Infatti, tolto completamente il sacrificio ancora in figura e per mezzo del sangue, fu necessario che venisse tolto di mezzo lo stesso tabernacolo, dal momento che al posto di esso ne fu elevato uno più vero, cioè quello della Chiesa, della quale anche lo stesso Cristo ha detto: Qui abiterà perché l’ho scelta (Sal 132,14). Ora, che quella forma di culto si dovesse cambiare e trasformare in una migliore, quella in Cristo e nuova, diventerà chiaro da quanto scritto per noi da Malachia su Dio […]. Che infatti il Verbo incarnato avrebbe compiuto in maniera intellegibile qualcosa di simile, l’ho a confermato Dio e Padre dicendo: Verrà subito nel suo tempio il Signore che voi cercate e l’angelo dell’alleanza che voi volete (Ml 3,1-3). […] Dice dunque che ci sarà un rinnovamento e una trasformazione del sacerdozio; e per la stessa forma di culto non qualche altra cosa indica se non il presente mistero di Cristo»: Cirillo di Alessandria, dal trattato Sull’adorazione e il culto in spirito e verità, n. 370-380: PG 68, 228-229.

 

Nato a Roma il 2 aprile 1976, sacerdote diocesano. Dottore in Teologia, dopo l’insegnamento IRC e gli studi a Milano e Roma, fino al 2015 è stato Vice Preside dell’Istituto Teologico Diocesano e Direttore dell’Ufficio Catechistico di Mondovì. Ha approfondito Archeologia e Geografia a Gerusalemme e attualmente è Docente di Cristologia presso Istituto Superiore di Scienze Religiose “Ecclesia Mater” della Pontificia Università Lateranense, Guida Biblica per l’Opera Romana Pellegrinaggi e Vicario Parrocchiale di Santa Caterina da Siena in Roma. Autore dei saggi “La cristologia adamitica nella concezione agostiniana. Alla scoperta di un’antropologia della redenzione” (Edizioni Sant’Antonio, Padova 2019) e “La questione del soprannaturale nella concezione agostiniana. Riflessione all’opera De natura et gratia di Agostino d’Ippona” (Edizioni Sant’Antonio, Padova, 2019)