Le Lettere di Nicola Sparvieri – Realtà e Verità del divenire per ricollocare Religione e Scienza
Sappiamo che esiste un mondo esterno, fatto da tutto ciò che accade, e sappiamo anche che esistiamo noi, gli uomini, che abbiamo coscienza e razionalità. Siamo quindi in grado di intendere e volere e abbiamo memoria di ciò che è accaduto a noi stessi per diretta esperienza e al nostro gruppo di appartenenza, sia esso famiglia, clan, città o nazione per informazione indiretta, e cioè tramite la storia universale. Apprendiamo quindi che il mondo, cioè tutto ciò che accade, può provocare dolore e morte e che la vita di ciascuno è sempre a termine. Desideriamo la nostra soddisfazione e quella del nostro gruppo e l’essenza della nostra esistenza è nello sforzo di continuare a vivere per raggiungere questa soddisfazione. Vorremmo anzi poter vivere in eterno e siamo quindi molto sensibili alla religione che ci rasserena circa una alleanza con un dio più potente di noi, forse in grado di aiutarci.
Nel corso del tempo, per mezzo del linguaggio e delle esperienze comuni, ci siamo formati una rappresentazione del mondo e di quanto vi accade. È nata così la filosofia e la scienza e abbiamo verificato che il mondo può essere spiegato razionalmente utilizzando le leggi della fisica che mettono insieme la matematica con la misura di osservabili. Si è poi compreso che leggi diverse possono essere aggregate da un punto di vista logico e assiomatizzate sotto forma di teorie che forniscono rappresentazioni del mondo, cioè di quello che accade, sempre più generali e approfondite e capaci anche di prevedere accadimenti futuri. Con il progredire della scienza, nei vari campi, si è potuta sviluppare la tecnologia che migliora la qualità e la durata della vita, dando l’impressione di poter raggiungere l’obiettivo di avere una vita illimitata e abbondante per tutti.
Con il progredire delle indagini sulla natura e sull’uomo, abbiamo ora una rappresentazione, imperfetta ma importante, della vita biologica e della coscienza. La psicologia chiarisce meglio il significato di coscienza e di inconscio e la sua relazione con la nostra volontà insieme ai problemi di relazione tra gli uomini e all’aggressività. L’aver eliminato in maniera definitiva il fissismo di tutto ciò che accade e l’averlo inserito in una dinamica di evoluzione governata da una logica di conservazione della prole e della specie ha finalmente chiarito la natura dell’egoismo umano che è assimilabile allo sforzo di controllare e possedere risorse ritenute vitali per sé e per il gruppo di appartenenza allo scopo di conservare la vita.
L’aggressività senza limiti, la violenza e gli assassinii da parte dell’uomo sull’uomo e la distruzione della vita stessa e di tutto quello che c’è di più prezioso, sono presenti nelle guerre di ogni epoca. Esse fanno capire e desiderare una qualche forma di regolamentazione per migliorare questa giungla assurda prodotta da un sia pur giustificabile egoismo a livello individuale o di gruppo mutuato dalla esigenza di continuare a vivere. Viene naturale chiamare “Male” tutta questa tendenza di distruzione della vita e “Bene” la tendenza che, viene sperato, possa esistere nel fondo di ciascun uomo a qualcosa che abbia il potere di mettere da parte l’egoismo o perfino produrre un sacrificio di se a vantaggio collettivo.
Viene facile ed è molto efficace descrivere l’uomo “egoista” come un uomo imprigionato nella logica del profitto individuale e della morte da infliggere ai simili (anche se dettato da una legge naturale di conservazione della specie) e l’uomo capace di amare l’altro a spese di sé, come un uomo libero e “altruista”.
Si è anche arrivato ad annunciare che l’uomo che sacrifica in tutto, cioè morendo fisicamente, o in parte, cioè con il sacrificio del proprio tempo, dei propri beni ecc e cioè con piccole “morti esistenziali”, la propria vita per un altro in realtà non riceve danno dal non essersi difeso ma, viceversa, riceve vitalità e soddisfazione perché viene resuscitato da queste morti da una forma di amore presente nel Dio creatore stesso che per primo è morto e resuscitato per gli uomini. Non ci sarebbe quindi più la necessità di alcuna legge se si vivesse questa verità, che cioè si potesse evitare di difendere la propria vita, il proprio tempo, i propri beni ecc. senza distruggere sé stessi ma, anzi, realizzando una piena ed eterna felicità. La Chiesa cristiana, nata come setta staccatasi dall’ebraismo duemila anni fa, che sosteneva questa impostazione, è tuttora esistente e prospera dopo aver attraversato vicissitudini ed errori e rivolgimenti politici di ogni genere. Alcune migliaia di persone che hanno creduto a questo sono state esempio di bontà e, nel corso della storia, hanno costituito un esempio di eroismo e di positività. Tramite loro e tanti altri si è potuta costruire una vera e propria civiltà cristiana che è alla base della nostra attuale società occidentale che si è rivelata egemone su tutte le altre civiltà grazie allo sviluppo della scienza, della cultura e dell’arte in tutte le sue forme.
Ma il successo ottenuto implica la verità dell’enunciato? Cosa è questa “verità”? Cosa vuol dire “credere”? La “verità” può essere rivelata da antichi scritti mediorientali paragonabili ai racconti mitologici? Esiste una differenza tra il racconto del sacrificio di Isacco e quello dell’accecamento di Polifemo? Dobbiamo credere alla “realtà” dei racconti dei Vangeli? È vera la resurrezione raccontata nei Vangeli?
In definitiva: che differenza c’è tra la “realtà” storica e la “verità” del racconto mitologico? Ha senso confondere i concetti di “realtà” e “verità”? Cosa è la Storia e cosa è il Mito? È proprio così importante che i racconti della Bibbia siano reali o esiste un livello di verità più largo e più esistenziale? È proprio necessario che il racconto di Adamo ed Eva e la Creazione raccontata dalla Bibbia sia reale (cioè che la storia sia andata effettivamente in quel modo) o è sufficiente che sia vero per noi, per la nostra esistenza?
Il grande malinteso che è sempre esistito tra Scienza e Fede è proprio in questa confusione che viene fatta tra “reale” e “vero”. Non capisco come personaggi di grande spessore intellettuale sia di scienza che di fede abbiano sempre equivocato questi due termini senza tenerli separati, facendo sorgere incompatibilità tra le due discipline che non esistono e che non sono mai esistite. L’incompatibilità nasce dal dover considerare come realtà storicamente avvenuta i vari racconti della Bibbia che invece hanno solo un contenuto di verità esistenziale. La realtà può essere anche “scoperta” cioè portata alla luce, come qualcosa di preesistente che attraverso la ricerca viene ad emergere, mentre la verità viene stabilita o per rivelazione da testi antichi o per ispirazione di menti illuminate. La scienza si occupa di “realtà”, di modellizzazione matematica dello sperimentabile e di progresso di conoscenza e di tecnologia di tutto ciò che accade. Essa non può inferire sulla “verità” dell’uomo, che è invece di carattere esistenziale e ha a che fare con la soluzione dei conflitti tra gli uomini e con la conquista della vittoria sulla sofferenza e sulla morte. Viceversa la “verità” non può interferire con il progresso della scienza che ha regole sue proprie di sperimentabilità e riproducibilità.
L’uomo, al fondo della sua pienezza, ha bisogno di entrambe queste fattispecie: la realtà come approccio razionale alla vita e la verità come approccio esistenziale all’eternità. Esse sono come le due ali di un uccello, ciascuna indispensabile per spiccare il volo.
A questo grande, storico malinteso, che a mio avviso può ora considerarsi definitivamente risolto, ne segue un altro altrettanto storico e portatore di grande confusione:
Posto che Dio esista come il creatore del mondo, cioè di tutto ciò che accade, e sia l’autore della salvezza esistenziale dell’uomo, la domanda fondamentale è: come Egli comunica con l’uomo e come interviene nel mondo, cioè in tutto ciò che accade?
Anzitutto bisognerebbe chiedersi perché Egli avrebbe la necessità di comunicare con l’uomo invece di limitarsi alla creazione iniziale e lasciare che il mondo, cioè tutto ciò che accade, evolva con leggi sue proprie. La risposta a questa domanda sta nel considerare che esiste un conflitto, continuamente presente in ogni uomo, tra la inclinazione naturale all’egoismo prodotto dall’istinto di conservazione della specie, e quel senso di bontà e di giustizia che al fondo di ciascuno viene ritenuto “Vero” e che ci spinge a desiderare per tutti gli uomini che le sofferenze generate dall’ingiustizia e dall’ignoranza possano terminare per sempre sia nell’interno di ciascun individuo che in tutti i gruppi di appartenenza.
Tale conflitto, al fondo, rappresenta la lotta tra bene e male e il Dio Creatore, come espressione somma del bene, parteggia in ogni scelta dell’uomo verso il bene cioè verso quella scelta che produca la soppressione del naturale egoismo a vantaggio del bene collettivo. Ma risulta che l’uomo, benché totalmente libero di scegliere, non capisca dove si trovi il bene (ammesso che lo voglia perseguire) perché risulta nascosto nella complessità del mondo, cioè in tutto ciò che accade. Quindi risulta naturale pensare che Dio abbia un “disegno” o progetto di bene per ciascuno che viene chiamato “volontà di Dio” e che chi la compia sia Santo cioè perfettamente realizzato e felice. Quindi risulta essenziale conoscere questo disegno di Dio per poi operare con assoluta libertà conformemente o difformemente a tale indicazione. Questo è il motivo per cui ogni uomo vuole conoscere quale è il parere del suo Creatore (o Padre) nelle scelte che deve fare e, in particolare, nelle più importanti. Risulta quindi essenziale che esista una qualche forma di comunicazione fra Creatore e Creatura.
Il punto chiave di tutta la questione, e dei malintesi enormi che ne conseguono, è di definire quale sia il linguaggio tra creatore e creatura. Molti sostengono che il creatore parli nei “fatti che ti accadono”. Ad esempio un giovane che non abbia ancora deciso a quale università iscriversi e cerchi una qualche indicazione del suo creatore in proposito, è propenso a considerare un insuccesso nel test di ingresso come una indicazione che non sia quella la strada da percorrere. Oppure un improvviso terremoto che distrugga tre o quattro cittadine viene interpretato come la risposta del creatore all’approvazione di una legge sulle unioni civili e via di seguito.
Questa impropria e inammissibile invasione da parte della “Verità” nei confronti della “Realtà” fa il paio, invertendo i termini, con l’altrettanto grave confusione che già abbiamo considerato all’inizio, interpretando come reali e storiche delle frasi della Bibbia che avevano invece importanti significati di verità esistenziale per l’uomo ma che non avevano nulla a che fare con l’indagine scientifica razionale. È evidente che la confusione tra realtà e verità è ancora presente e l’errore commesso è lo stesso: qui si parte da una realtà storica e si interpreta come fosse una verità esistenziale e prima il viceversa. Realtà e verità sono disgiunte e non sono consentite sovrapposizioni e reciproche mescolanze interpretative. Il creatore ci parla nella verità delle nostre coscienze esistenziali e lascia la realtà in totale autonomia.
Un punto fondamentale che mi sembra di dover sottolineare è quello della autonomia della realtà che, insieme all’autonomia delle scelte umane (libero arbitrio), costituisce il fondamento della creazione operata da Dio. La realtà è governata dalle leggi della fisica in totale autonomia da tutto il resto e i mezzi che il creatore usa per comunicare con gli uomini io credo siano ben altri.
Intendo volutamente lasciare da parte i miracoli che sono prevalentemente orientati a guarigioni umane e che hanno a mio avviso principalmente una funzione rafforzativa nell’ambito della predicazione e dell’annuncio ma non hanno una particolare relazione con l’argomento che stiamo trattando.
Piuttosto direi che nell’ambito del conflitto bene-male, di cui parlavamo in precedenza, che è determinato dal trovarsi di fronte a una scelta, gli argomenti che giocano sono a livello di coscienza, direi quasi di “foro interno”. Avviene cioè un dialogo tra le due differenti opzioni, ciascuna opportunamente argomentata. Una è la classica tentazione che spinge a una scelta conforme alla difesa e alla conservazione di sé a danno di qualcun altro. L’altra, ispirata dall’introspezione e dalla preghiera, suscita invece delle azioni volte al bene collettivo e che a volte sono anche un danno per chi le opera o addirittura uno strumento mortale, come la croce, ma comunque conformi al “disegno” del Creatore. La lettera di San Paolo ai Filippesi parla proprio di questo: “È Dio infatti che suscita in voi il volere e l’operare secondo i suoi benevoli disegni. (Fil 2,13)”. Quindi è Lui che suscita e noi che vogliamo e operiamo in totale libertà e autonomia e inoltre in una realtà altrettanto libera e autonoma.
Ma in che modo “suscita”, cioè in che modo comunica con noi? Per quanto detto finora, la risposta è nella coscienza individuale, nel ricevere stimoli positivi sulle nostre verità esistenziali che ci pongono come creature mortali e desiderose di eternità e di vita. Tali stimoli vengono dalla preghiera, non intesa come richiesta di realizzare i nostri desideri, ma, al contrario, come richiesta di chiarire cosa necessita per poter fare il bene anche accettando situazioni scomode o spiacevoli.
Gli stimoli possono venire anche dall’ascolto di un annuncio o leggendo e studiando la Bibbia cercando in essa una risposta alla nostra situazione esistenziale o nei sacramenti e nelle liturgie che sono tutte cose poste al servizio di questo “suscitare” per poi “volere e operare”.
Concludo queste considerazioni poco utili e forse futili ma che sono per me un contributo a chiarire delle situazioni confuse e piene di false incompatibilità di cui spesso si sente parlare tra chi appartiene al mondo della “spiritualità” e chi appartiene al mondo della “razionalità”. La conclusione è che questi due mondi non esistono affatto ma ne esiste uno soltanto e si chiama “umanità” che le comprende entrambe e che ci fa concepire sia la enormità e bellezza dell’universo conosciuto come frutto del potere dell’indagine razionale e nel contempo ci permette di riconoscerci bisognosi di affetto e speranza alla fine della vita sulle soglie del mistero e dell’oscurità.
Nicola Sparvieri (Roma, 1959), sposato, nove figli, vive e lavora a Roma. Laurea in Fisica. Per interesse ed esperienze personali segue le vicende del cattolicesimo nelle sue relazioni con la Scienza e la Società. Ha un blog