Avvenire – Due Papi e un’amicizia per il bene della Chiesa, di Angela Calvini
Pubblichiamo sul blog questa recensione positiva del film I due Papi, dal 20 dicembre su Netflix. Il film, del regista Fernando Meirelles, con Hopkins e Pryce, è costruito su un immaginato incontro umano e spirituale fra Benedetto XVI e Francesco
L’amicizia è guardare la finale di un Mondiale di calcio insieme su un divano, stappando una birra e facendo il tifo con tanto di sciarpone colorato, anche se per squadre rivali, ma divertendosi e rispettandosi nel nome di una passione comune. Se però i due si chiamano Francesco e Benedetto, sono vestiti di bianco e tifano uno Argentina e l’altro Germania, vuol dire che c’è molto altro da raccontare. Anche se fantasiosa, questa è una delle scene più tenere e divertenti del film I due Papi, diretto dal regista brasiliano Fernando Meirelles, prodotto dall’americana Netflix che lo distribuisce in tutto il mondo: uscirà nelle sale italiane dal 2 al 4 dicembre, per poi debuttare sulla piattaforma dal 20 dicembre. Un film appassionante, visto in anteprima, che riesce a commuovere e persino a fare sorridere, capace di affrontare il tema della fede e il ruolo della Chiesa nel mondo di oggi attraverso una storia intima, ma al tempo stesso universale.
Una vicenda di fantasia ispirata a fatti reali ed ambientata pochi mesi prima della storica rinuncia al pontificato di Benedetto XVI nel febbraio 2013 e l’elezione al soglio di Pietro di Francesco il mese successivo. In questo “prologo” è ambientato un dialogo immaginario fra due uomini di Chiesa di altissimo spessore umano e spirituale, interpretati in modo magistrale da due titani come Anthony Hopkins, nel ruolo di Benedetto XVI, e di Jonathan Pryce in quello del cardinale Jorge Mario Bergoglio, poi Papa. Impressionante la somiglianza delle due star di Hollywood che, come spiega il regista Meirelles, già candidato agli Oscar per La città di Dio, hanno maniacalmente studiato gli atteggiamenti e il modo di parlare dei due Papi, riproducendoli però con una personalissima interpretazione ricca di naturalezza.
L’idea è partita dallo sceneggiatore Anthony McCarten (che ha scritto fra l’altro La teoria del tutto e L’ora più buia), che durante un viaggio a Roma rimase colpito dalle immagini che mostravano la straordinaria convivenza in Vaticano di due Papi: uno regnante e uno emerito. L’autore ha così immaginato i retroscena del “passaggio di consegne” attraverso un dibattito teologico e personale fra i due dai ritmi serrati alla Frost/Nixon alternati a flash back sulla vita del giovane Bergoglio. I due Papi è stato girato fra Roma ( Villa Mondragone e Villa Farnese) e Caserta, nella celebre Reggia, e l’Argentina, sui luoghi realmente frequentati da Bergoglio, come le baraccopoli di Buenos Aires e i selvaggi scenari di Cordoba. Ed è proprio nella periferia di Buenos Aires del 2005 che si apre la pellicola, mentre tra graffiti sui muri sporchi e ragazzini che corrono in ciabatte, l’allora cardinale Bergoglio predica a una piazza piena di giovani vocianti la storia di Francesco di Bernardone e di come il crocifisso gli parlò chiedendogli di ricostruire la sua chiesa.
La morte di Giovanni Paolo II (purtroppo sommariamente liquidato in due righe come un Papa rigido conservatore e basta) richiama il cardinale argentino a Roma per il conclave da cui uscirà Papa Joseph Ratzinger dipinto dai media solo come il difensore dei dogmi. Sette anni dopo Bergoglio invia la lettera al Papa per la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi (in realtà è la prassi per ogni vescovo che abbia superato i 75 anni di età) per tornare alla quotidianità del ministero, ma viene convocato da Benedetto XVI per un incontro privato (questo inventato) a Castel Gandolfo. Qui inizia uno straordinario “match” di bravura fra un graffiante Anthony Hopkins, un Ratzinger anziano, solo e amareggiato nel pieno dello scandalo ‘Vatileaks’ , e un bonario e allegro Jonathan Pryce, un cardinale Bergoglio che non vede l’ora di tornare nel caos della vita cittadina fra i suoi amati poveri. Certo, non mancano le semplificazioni e le “licenze poetiche”. La scelta drammaturgica, infatti, è quella di una iniziale contrapposizione fra i capitani di due squadre in una Chiesa divisa: il conservatore da una parte e l’innovatore dall’altra, il burbero e il simpatico, l’irremovibile tedesco e il rivoluzionario sudamericano. Nella realtà, come sappiamo, le cose non stanno così, basta leggere gli scritti ricchi di umanità di Ratzinger, mentre Bergoglio non è mai uscito dai canoni della Chiesa nel suo sacerdozio.
Ma l’escamotage cinematografico, attraverso due “caratteri” contrapposti, è atto a rendere ancora più eclatante nel film il colpo di scena delle dimissioni di Benedetto XVI, che diventa, con un ribaltone, il vero “rivoluzionario”. Ambedue sono dipinti con profonda simpatia: mentre Benedetto XVI suona al pianoforte musica classica di rara eleganza e passa la serata a guardare alla tv Il commissario Rex, ogni volta che entra in scena Bergoglio attacca una hit pop come Dancing Queen degli Abba, o un tango argentino appassionato. Ma questi sono i “cotillon” con cui il regista rende immediato e popolare il tratteggio dei due caratteri attraverso una regia vivace che ben presto affonda negli angoli più reconditi dell’anima dei due uomini e nei pesi che gravano sui loro pensieri. Sotto gli affreschi di una Cappella Sistina ricostruita in modo strepitoso, a grandezza naturale a Cinecittà, il confronto si fa sempre più denso e il legame spirituale sempre più profondo. Entrambi mettono a nudo i dubbi e le fragilità di due apparenti fallimenti. Benedetto XVI ha scelto di annunciare a Bergoglio la decisione della sua rinuncia, perché vede in lui la persona giusta per quel rinnovamento della Chiesa che le sue energie non gli consentono di portare a termine. Ma il cardinale argentino confessa la sofferenza per le accuse di non avere reagito abbastanza contro la giunta militare al potere nel suo Paese negli anni ’70.
Sono grande cinema i flash back biografici in Argentina, un film nel film girato con toni più scuri: dalla commovente vocazione del giovane Jorge (una scoperta l’attore argentino Juan Minjìn) in un confessionale nel 1956 al suo tentativo di preservare, da provinciale dei gesuiti, i suoi sacerdoti e tanti dissidenti dalla violenza con le armi della diplomazia e del soccorso segreto, sino ai giorni passati fra i poveri di Cordoba. È proprio Benedetto XVI a consolarlo con aria paterna e a riconoscere in lui «la voce di Dio», sino a confessare le proprie fragilità e il timore che gli studi lo abbiano tenuto lontano dalla vita quotidiana. Peccato una sbavatura sul tema della pedofilia nella Chiesa, cui Ratzinger/Hopkins dice con sofferenza di non aver prestato «sufficiente attenzione », mentre nella realtà è stato proprio lui che durante il pontificato ha avviato con forza e determinazione un’azione vigorosa e severa per curare la terribile piaga. Si arriva infine al Conclave del 2013, al celebre «Fratelli e sorelle, buonasera» pronunciato dal loggione di San Pietro (anche qui con qualche licenza poetica) sino alle immagini di oggi dei due veri Papi, Benedetto e Francesco, che si abbracciano. E viene voglia di abbracciarli anche noi. Una coppia “unita e vincente” per il bene della Chiesa proprio perché si completa nella sua diversità di stile. Questo sì, nel film come nella realtà.