Articoli / Blog | 18 Ottobre 2019

Agi – Cosa mi ha detto Carlo Petrini su Gesù, il Papa e il cibo come amore

Nella Giornata mondiale dell’alimentazione ho fatto alcune domande al fondatore di Slow Food

Carlo Petrini è il fondatore di Slow Food. Agnostico da sempre, comunista del PDUP e proposto da Vittorio Sgarbi come candidato premier del suo movimento politico, ha parlato al Sinodo dell’Amazzonia di cui segue attentamente i lavori. Uno degli uomini che il Guardian posiziona tra le 50 persone che potrebbero cambiare il pianeta, è amico personale di Papa Francesco. Ho condiviso con lui questa chiacchierata-intervista il 16 ottobre, Giornata mondiale dell’alimentazione.

La sua prima affermazione, quella che apre questo testo, è la sua sua risposta a una mia domanda su Gesù: gli ho chiesto perché moltissime parabole di Gesù sono a contenuto agricolo, perché parla così tanto di pastori e di pescatori. Poi siamo passati a parlare del Papa.

“Se mi avessero detto due anni fa, che avrei dato del tu al Papa gli avrei detto: sei impazzito? Ma oggi posso dire che Papa Francesco è un uomo straordinario, di cui non solo condivido le idee ma anche lo stile e il modo di porsi. Ricevetti una sua telefonata al settembre 2013. Gli avevo mandato il libro di Terra Madre. Dopo una quindicina di giorni squilla il telefono. Pensavo fosse Repubblica e invece era il Papa. Da lì è iniziata l’avventura. Ci siamo sentiti e incontrati diverse volte. Per esempio lui mi aveva parlato della Laudato Si prima di scriverla; mi ha parlato del Sinodo prima che venisse annunciato. Oltretutto, io sono anche giornalista: pensi che opportunità avevo di fare degli scoop, ha avuto verso di me davvero una fiducia grandiosa”.

Nel suo intervento al Sinodo ha parlato dell’importanza, per l’ecosistema, del raccoglitore, cioè, nel caso dell’Amazzonia, dell’indigeno. Il raccoglitore di oggi, invece, a causa dell’agricoltura industriale, è una persona distante da quello specifico ecosistema, che non ne sa nulla.

“Se l’operazione del raccogliere viene fatta con rispetto gli ecosistemi vengono tutelati non distrutti. Gli indigeni delle popolazioni amazzoniche hanno perfettamente il senso del tempo di quando deve venire il frutto: nel mio intervento al Sinodo volevo rompere l’idea che l’indigeno fosse “un primitivo”: non è affatto così! Essi mantengono l’ambiente”.

Quindi l’indigeno, come il contadino di un tempo, mantiene l’ecosistema e si fa mantenere dall’ecosistema. Perché invece l’agricoltura industriale accumula…

“Sì, accumula, non sa governare il limite, esagera le produzioni, non ha un rapporto vivo con la natura, con il suo “estrattivismo”, distrugge. E questa dimensione nella quale la relazione non viene “mantenuta” – cioè curata – ma serve solo per accumulare esperienze e sensazioni è qualcosa di comune al nostro tempo: lo dicemmo col Papa proprio in quella prima telefonata.  Con l’economia dell’accumulazione, che è quella del capitale, l’agricoltura della sussistenza è stata svilita. L’economia dell’accumulo ha distrutto i contadini che guadagnano pochissimo. In quella conversazione parlai al Papa di una cuoca delle Langhe. Faceva delle raviole meravigliose ma cucinava solo di giorno. Allora io le dicevo: perché non tieni aperto la sera? Oltretutto la sera vengono i giornalisti, potresti farti conoscere, aumentare la tua clientela. E lei mi rispondeva “non voglio essere la più ricca del camposanto”. Molti a questa frase sorridono e non capiscono. In quell’affermazione della contadina, non c’era il desiderio di non lavorare alla sera. Lei, alla sera, lavorava, ma in altro modo. Si dedicava alla famiglia, magari preparava le conserve che le servivano il giorno dopo. Quella contadina aveva un altro concetto di economia”.

Nel suo intervento di lunedì scorso lei ha anche detto che il mondo non si sta rendendo conto di quanto sta accadendo a proposito dell’ambiente. Lei dice, in pratica, che noi siamo distanti da quanto stiamo facendo. Si riproduce in noi, su larga scala, quella distanza rispetto all’ecosistema mondo di cui abbiamo parlato all’inizio quando abbiamo parlato degli indigeni e dei contadini che non ci sono più.

“È così, anche se è vero che in minima parte il meccanismo della responsabilità è partito, viaggia ancora troppo lento per essere in grado di invertire la rotta. Io credo che il portato culturale e politico della Laudato Si, che è straordinario, non sia stato capito compiutamente dal mondo laico e, in buona parte, credo non sia stato capito neppure dal mondo cattolico”.

Nel suo intervento conclude auspicando che la salvezza venga dai poveri, dalle donne e dai giovani. Come legge il fenomeno dei giovani e di Greta Thunberg? Il Papa gliene ha parlato, le ha detto che cosa ne pensa?

Il movimento che ha in Greta il suo simbolo è l’unica vera bella notizia che c’è e si pone come richiesta alla politica. Il Papa, quando ha incontrato Greta, le ha detto “vai avanti, vai avanti”. Il pontefice, parlandone con me, ha dato una valutazione positiva del Friday For Future. Dice: meno male che ci sono questi giovani che rivendicano quello che è giusto rivendicare; ripete “è il mondo dei giovani che giustamente si sta mobilitando”. Questo me lo ha detto proprio in modo specifico”.

Il tema “cibo” che diventa tema “ambiente” è trasversale, non è di sinistra o di destra. Per questo Carlo Petrini è un uomo “trasversale”: di sinistra, in un certo senso, ma che anche viene candidato da Vittorio Sgarbi come proprio ideale Presidente del Consiglio. 

“L’amico Sgarbi dice questa cosa provocatoriamente. Seriamente parlando, la sua valutazione è un’altra. Lui è entusiasta di aver visto che io ho fatto dei prodotti agricoli e del patrimonio alimentare, un elemento di riscatto economico e di autorevolezza culturale. Una pera, una cipolla, sono diventati un prodotto identitario. Qualcosa che la gente sente propria con lo stesso orgoglio con cui sente propria un’opera d’arte, o un monumento del proprio territorio”.

Lei ha detto che confida nei poveri, come persone in grado di comprendere le ricchezze della microeconomia. Ma c’è chi dice che i prodotti etichettati “Slow food” hanno prezzi che non sono alla portata dei più poveri.

“I prodotti di Slow Food non sono né cari né elitisti. È ovvio che ogni prodotto abbia un suo costo e questo comporta che il prezzo debba essere giusto. Detto questo è anche doveroso dire che il problema dello spreco alimentare è trasversale, di tutti, non solo dei ricchi. Molto spreco alimentare è fatto anche dai ceti medio bassi. Se noi imparassimo a non sprecare saremmo in grado di riconoscere un prezzo più equo anche per il contadino. La politica non deve cadere nella demagogia. Noi di Slow Food cerchiamo di fare qualcosa di serio accorciando la filiera, con i “mercati della terra”, i “mercati di campagna amica” e ci sforziamo di creare un rapporto più serio e onesto tra il produttore e il cittadino”.

“Io parlo di cittadino, non di consumatore. La parola consumatore mi ricorda una malattia, la consunzione. Amo parlare di cittadino, cioè di una persona cosciente e responsabile. Se facilitiamo il dialogo tra cittadino e produttore, tutto migliora. Se il cittadino conosce il lavoro che c’è dietro un prodotto e in qualche modo ne vuole essere parte attiva, lui deve sapere che va pagato il giusto. Questa, non la demagogia, è secondo me la strada per sanare situazioni di enorme ingiustizia”.

“Noi – parlo a livello mondiale – abbiamo una umanità che soffre patologie da iperalimentazione e un’altra umanità che soffre la fame. Di fronte a questa forbice, noi dobbiamo prendere atto che il nostro sistema alimentare è criminale. Questi due volti, se visti a livello di politica planetaria, esigerebbero una visione che comporta azioni di contrazione e azioni di convergenza e invece la politica stenta a fare questo ragionamento e preferisce essere populista verso i poveri per poi non ottenere nulla. Faccio l’esempio della carne. Per mille motivi, ambientali e sanitari, stiamo facendo delle campagne volte a diminuire il consumo di carne. Quando io sono nato, gli italiani consumavano 40 kg di carne all’anno pro capite, oggi siamo a 90 kg: è troppo. Ma questa campagna di riduzione della carne, può essere proposta ai nostri fratelli dell’Africa subsahariana che consumano 5 kg all’anno a testa? Ecco cosa intendo per convergenza e contrazione”.

Tratto da Agi

Chi desidera può leggere qui il testo integrale dell’intervista

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