Alessandra Bialetti / Blog | 25 Settembre 2019

Le Lettere di Alessandra Bialetti – Pensanti o non pensanti?

Am 8,4-7; 1Tim 2,1-8; Lc 16,1-13

Decisamente inizia una nuova stagione. Non solo l’autunno ma il ritorno di tanti detenuti all’appuntamento domenicale. Oggi la cappellina è piena, posti in piedi, tante storie e tanta umanità. Mi viene incontro E. visibilmente sofferente, un gran cerotto sul collo segno del tentativo prima di impiccarsi poi di tagliarsi. Una rabbia mista a tristezza profonda: “Aiutatemi, venite a trovarmi, sto crollando, lo sfogo è contro di me perché la colpa di tutto è mia. Ma voi venite altrimenti mi taglio”. Una sorta di ricatto, il ricatto del disperato che si attacca all’ultimo fuscello per non annegare. Ma anche una grande consapevolezza: il male fatto e auto inflitto. Ci servirà questa riflessione, serve a tutti noi renderci coscienti dei passi compiuti, delle scelte sbagliate, della pervicace ostinazione a percorrere cammini pericolosi. Stare accanto a chi è in difficoltà senza sapere nulla della sua storia ma soprattutto senza giudizio: che ne sappiamo se un nostro piccolo gesto, magari insignificante, magari strappato alle tante incombenze della giornata, possa addirittura salvare una vita, ridonare speranza e stimolo a cambiare? Primo insegnamento della giornata, giocoliere, è non è nemmeno iniziata la messa.

A. mi abbraccia forte e in quel momento dimentico tutto ciò che mi porto dentro, fatiche, dubbi, pesi. Un abbraccio e si crea un legame, un circolo virtuoso in un luogo vizioso. Una messa che si trasforma in spazio divino perché sacra è la vita umana sempre e comunque in quanto visitata dal passaggio di Cristo. E. continua: non ha fiducia in sé e negli altri ma capisce che in fondo non ha niente da perdere nel darsi una possibilità. Abbandonarsi magari con poca convinzione e scoprire che, su quel “tanto cosa ho da perdere” passa Cristo e stravolge l’esistenza, raccoglie la sfida perché è uno tosto e nulla lo spaventa o lo ferma.

T., il detenuto non credente, è presente anche oggi. E allora la domanda sorge veramente spontanea, perché continua a venire, cosa lo spinge? “Vuoi la sincerità? L’amicizia, il legame con gli altri”. Beata autenticità in cui risiede una disarmante verità: l’importanza di stringere dei vincoli, annodare fili, tessere una rete di salvataggio che possa dare una piccola sicurezza. Non è forse il Dio del legame, dell’unità, della relazione quello in cui crediamo? Anche se T. è lì per sperimentare affetto fuori dalla cella, l’obiettivo di investire sulle relazioni è raggiunto. Ora si tratta di convertirle in buone relazioni, come le nostre fuori, nessuno esente.

Don Antonello torna su un concetto caro: la giustizia riparativa e non punitiva. Perché lo stato dovrebbe investire sul carcere, su quanto si crede perso e senza speranze? E scatena la reazione sempre viva che invita a riflettere. Si alza un coro unanime: “Se nessuno crede in noi, nel nostro cambiamento, nella possibilità di riscatto che senso ha? Possiamo solo finire di nuovo nel circolo vizioso. Dentro paghiamo per un reato ma per la società non abbiamo mai pagato, siamo bollati a vita. Persone come noi non hanno speranza”. Queste ultime parole colpiscono: “noi” è una categoria di disperazione, parla di esclusi, di dimenticati che meglio rimangano tali, parla di separazione dal resto del mondo ritenuto giusto e normale. Ma noi liberi che “noi” gli stiamo preparando? Una giustizia che ripara o che continua a condannare? Quanta difficoltà ad assumere lo sguardo di Gesù che non vede reati e condanne a vita ma solo persone, opportunità. Aiutaci Cristo viandante, a tirare fuori da noi e dall’altro il buono, il residuo di positività anche fosse solo una briciola, aiutaci a riparare e non a condannare.

Il vangelo parla forte di un rendere conto che diventa rendersi conto, diventare consapevoli del male fatto, del trauma generato. Questo è il vero pagare: quando non facciamo sconti sulla nostra responsabilità, quando non cerchiamo giustificazioni ma sappiamo essere coscienti di ciò che abbiamo causato, delle strade che abbiamo deciso di calcare. Rendersi conto e chiedere scusa del male fatto, non solo sotto un profilo di giustizia legale, ma per amore della vita dell’altro, di quell’altro che abbiamo ferito con le nostre azioni o con le nostre omissioni.

Don Antonello scende ancora più in profondità: “Siamo in un sistema del “tanto-quanto”. Quanto hai fatto, tanto devi pagare, e tutto finisce qui”. Una giustizia che non lascia scampo, che non riscatta perché vede solo la tara e l’impossibilità di uscirne. Lo strozzino del vangelo non aumenta il debito ma lo abbassa e stabilisce con l’altro una relazione, magari rimettendoci di persona, perdendo quella parte di ricchezza che lucrava sul patrimonio del padrone. Mette in atto la logica del perdono che crea un legame, fa nascere un rapporto, dona una possibilità (quei legami che spingono T., non credente, a sedersi nei banchi di una chiesa). È l’attuazione del Padre Nostro quando chiediamo che ci vengano rimessi i debiti perché, a nostra volta, possiamo sperimentare il perdono dell’altro e donare accoglienza. La relazione: questa la logica che può salvare i detenuti una volta fuori e salva tutti noi davanti ai nostri sbagli e al male fatto e ricevuto. Fatevi amici, tessete legami, sporcatevi della storia dell’altro. Il mondo, E., non cambia con la logica dei potenti ma dal basso, dalle nostre piccole relazioni, da te che chiedi di essere visitato per non perderti, da quel tempo rimediato per stare con chi ha bisogno. Il Vangelo, come sottolinea il cappellano, invita a porci la domanda: siete pensanti o non pensanti? Spinge a ragionare sulla nostra vita perché con questa domanda verremo accolti dopo la vita terrena. Hai saputo riflettere sulle tue dinamiche, sulle tue scelte, sulle tue azioni o ti sei fatto “pensare” da altri, hai abdicato alla tua responsabilità, hai anestetizzato i tuoi problemi? Ecco la domanda che ci può cambiare la vita: la messa, la Parola non deve trasmettere solo certezze ma far sorgere dubbi, interrogativi, innescare la volontà di ricerca. Se sentiamo il vuoto cerchiamo il senso. Non una fede di certezze che crollano al primo ostacolo ma una fede di dubbi che spinge a chiedere aiuto, a intercettare lo sguardo di un Dio che è già sulle nostre tracce. E si alza un applauso quando Don Antonello afferma di voler essere rinchiuso in carcere se dovesse “spacciare” certezze senza stimolare prese di coscienza, risposte preconfezionate, soluzioni che non coinvolgano ma creino solo assistenzialismo.

Al momento della consacrazione i detenuti vengono chiamati intorno all’altare. Io li vedo di spalle, seduta sulla mia panca. Un pensiero mi attraversa vedendoli in piedi davanti a me: mi precederanno, ci precederanno nel regno dei cieli se riusciranno a fissare lo sguardo su quell’ostia e a vivere un incontro che sarà giustizia riparativa. Devo e dobbiamo fare tanta strada per abbattere giudizi e pregiudizi, la presunzione di conformità, la logica di sentirci migliori con un passaporto in regola. Guardiamo virtualmente quelle spalle e le spalle dei tanti reietti salvati dallo sguardo del Cristo e muoviamoci. Il tempo è ora. Il tempo di passare da non pensanti a pensanti perché desiderati da un amore folle.

 

Vivo e lavoro a Roma dove sono nata nel 1963. Laureata in Pedagogia sociale e consulente familiare, mi dedico al sostegno e alla formazione alla relazione di aiuto di educatori, insegnanti, animatori. Svolgo attività di consulenza a singoli, coppie, famiglie e particolarmente a persone omosessuali e loro genitori e familiari offrendo il mio servizio presso diverse associazioni (Nuova Proposta, Rete Genitori Rainbow, Agedo). Credo fortemente nelle relazioni interpersonali, nell’ascolto attivo e profondo dell’essere umano animata dalla certezza che in ognuno vi siano tutte le risorse per arrivare alla propria realizzazione e che l’accoglienza della persona e del suo percorso di vita, sia la strada per costruire relazioni significative, inclusive e non giudicanti.