Alessandra Bialetti / Blog | 26 Agosto 2019

Le Lettere di Alessandra Bialetti – Stavolta mi “arrabbio”

Oggi niente Dio solo misericordia: oggi un Dio che si “arrabbia”. Che perde la pazienza, che pur essendo infinita, non lo è mai contro la nostra volontà. Mi piace un Dio che ogni tanto “perde le staffe” e non sta lì solo ad aprire le braccia, un Dio che dice di allontanarci se non pratichiamo la giustizia, se ci dimentichiamo di cosa dovremmo essere fatti, di cosa ci abbia “impastati” al momento della creazione. Mi piace un Dio che alza la voce perché invita a non sedersi, a non sentirsi arrivati, giustificati solo per la frequentazione della messa domenicale, a sporcarsi continuamente le mani con le situazione più complesse, forse disperate. Ci vuole una strigliata ogni tanto e la si accetta quando dietro si scorge comunque l’amore, l’attenzione, la cura, il non voler perdere nessuno. Così la prima lettura ci parla di una chiamata per tutti che giungono come possono: su dromedari, muli, cavalli, carri. Ognuno arriva come riesce ma soprattutto se vuole. Ecco perché oggi c’è un Dio che tuona: la chiamata è universale ma la riposta è individuale. Non si fa di tutta un’erba un fascio e si mette tutto dentro, si pone in cammino chi vuole, chi, anche con fatica, si vuole gettare nella mischia, chi rilancia nonostante le tante sconfitte, le tante disperazioni. Mi colpisce che i chiamati arrivino anche su portantine. Mi fa pensare che da soli non ce la facciano, che abbiano bisogno di qualcuno che li carichi sulle spalle e li trasporti, di chi si faccia ponte e strada e non muro e barriera. L’idea della portantina è formidabile, non ci si salva da soli ma si è responsabili anche della salvezza dell’altro, se non altro del trasmettere un messaggio che inviti a mettersi in moto, a cambiare, a credere ancora, a non lasciarsi andare. “Gli ultimi saranno i primi”: è vero, ci precederanno i più “sgangherati”, i rifiutati, i dimenticati, gli invisibili, quelli che non hanno il vestito buono della festa per essere ammessi alle celebrazioni quasi che queste rappresentassero il passaporto per la salvezza. Ma gli ultimi saranno i primi se ognuno di noi riuscirà a cambiare il cuore, a vederli arrivare, a soccorrerli e a issarli su mezzi di fortuna per avvicinarli all’incontro con il Gesù che chiama. Beati gli ultimi se ci sarà una comunità in grado di accogliere e non discriminare, di aprire e non chiudere, di abbracciare e non rifiutare. La strigliata è per noi tutte le volte in cui ci sentiamo giustificati dalla frequentazione religiosa e non in cammino di fede, quando pensiamo che partecipare alle funzioni sia di per sé la porta larga che ci conduce alla salvezza e appena usciti dalla messa, non siamo in grado di accorgerci di chi accanto a noi non è riuscito nemmeno a varcare la soglia. Basti pensare che sotto i ponti di Roma spesso non si trovi nemmeno un posto libero tanta è la soglia di povertà che vi dimora e rischiare di perdere quel posto fa tirare fuori anche un coltello.

Oggi ci parla il Cristo dell’omissione: abbiamo mangiato e bevuto con Lui, ci siamo seduti alla sua presenza ma poi abbiamo sorvolato sul farci porta e accoglienza. Risultato: non saremo riconosciuti. Il nostro volto sarà uno tra tanti, non verrà pronunciato il nostro nome solo per aver condiviso un eucarestia che non sia diventata poi pane spezzato nella vita concreta e quotidiana. Di questa “dimenticanza” ci sarà chiesto conto anche con un viso severo perché il messaggio evangelico non è acqua, non si svende, è per tutti ma non obbliga. L’assurdità del Cristo povero è la mancanza di coercizione che ci dona. E ci incastra: alle nostre responsabilità, alle nostre scelte, alle nostre decisioni. Che serve credere in un Dio impotente davanti alla nostra libertà? Al paradosso di un amore inchiodato alla croce quando nella vita domina la logica del vincente? Serve a noi quel Dio impotente, a riflettere su quale strada vogliamo percorrere, quale esempio vogliamo seguire, di quale pasta vogliamo essere lievito con i nostri gesti quotidiani. Un Dio forte che ci salva contro la nostra volontà non è un Dio che ci aiuta e non è il Cristo evangelico che invece accetta la debolezza, la fragilità di un amore che potrebbe risolvere tutto con uno schiocco di dita ma rimane fermo, lancia il messaggio, passa nelle nostre esistenze, formula la chiamata e invita. Tutto lì. Ma perché, ogni tanto non ci trascini contro la nostra scelta di non voler passare attraverso la porta stretta? Perché tu, Gesù, sei uno forte veramente. Ci lasci liberi e ci guardi anche con dolore mentre ci sbraniamo a vicenda. Ma non ti arrendi. Passi, ripassi, ti affacci alle nostre vite, le accarezzi, le sfiori, le scuoti. Non rinunci mai e ci inviti a fare l’esperienza drammatica di avere le armi spuntate, di non poter salvare noi stessi e nemmeno l’altro contro la sua intenzione.

Oggi non rispondi alla domanda su quanti si salveranno ma ci indichi “semplicemente” come ci si potrà salvare, sanare, recuperare. Solo lavorando sulla nostra porta stretta, quella di un cuore che non riesce ad aprirsi all’altro, che non vede al di là di sé, che non considera il prossimo così vicino da diventare un affar proprio. Solo facendosi portantini per chi non ce la fa, per chi non arriva, per chi fallisce l’incontro con il Gesù che passa perché talmente piagato dalle sue difficoltà da non potersi muovere. Come ci si potrà salvare? Ricordando il messaggio evangelico del “chi avrà fatto una sola cosa a uno dei più piccoli l’avrà fatta a me”. Questa la porta da allargare: sostituire il giudizio con l’accoglienza, la critica con il consiglio, l’indifferenza con la condivisione, il pregiudizio con quella correzione che sa di amore perché si sporca le mani con l’altro.

Ed è vangelo vissuto e spezzato l’esempio di un gruppo di vacanzieri in Sicilia che, sotto il sole del giusto riposo, accolgono la bimba di una mamma ambulante che gira sulle spiagge per mettere insieme qualcosa per vivere. È vangelo prendersene cura mentre la mamma continua a lavorare togliendola dalle spalle e affidandola a famiglie che la faranno divertire in acqua insieme ai propri figli, la porteranno al tavolo di un ristorante, che nemmeno avrà mai saputo cosa è, potendo scegliere un cibo che non conosce: il pane buono dell’accoglienza, del farsi carico, del donare cura, protezione, perché il sole caldo e forte colpisce la testa di ogni bimbo e ogni bimbo ha diritto alla custodia.

A volte ci vuole poco per allargare la porta. Continua ad “arrabbiarti, Gesù, ogni volta che ce lo dimentichiamo e ci sdraiamo sulle nostre comodità. Spiaggiati ma non salvi.

 

Vivo e lavoro a Roma dove sono nata nel 1963. Laureata in Pedagogia sociale e consulente familiare, mi dedico al sostegno e alla formazione alla relazione di aiuto di educatori, insegnanti, animatori. Svolgo attività di consulenza a singoli, coppie, famiglie e particolarmente a persone omosessuali e loro genitori e familiari offrendo il mio servizio presso diverse associazioni (Nuova Proposta, Rete Genitori Rainbow, Agedo). Credo fortemente nelle relazioni interpersonali, nell’ascolto attivo e profondo dell’essere umano animata dalla certezza che in ognuno vi siano tutte le risorse per arrivare alla propria realizzazione e che l’accoglienza della persona e del suo percorso di vita, sia la strada per costruire relazioni significative, inclusive e non giudicanti.