Le Lettere di Luciano Sesta – L’Open Arms, il Tar e Salvini: dovere di soccorso o complicità con i trafficanti?
Navi cariche di migranti sbarcano frequentemente in Italia, nella più ovvia applicazione delle norme di diritto internazionale sul soccorso in mare. Altre navi sono respinte o affondano in altre parti del mondo, e, anche sulla terra ferma dalla quale provengono i migranti che attraversano il Mediterraneo, circa 30.000 minori muoiono ogni giorno per diarrea, disidratazione, malnutrizione e malaria (dati Unicef). Tutto questo, naturalmente, nell’indifferenza generale.
Ogni tanto, però, il bisogno di consenso elettorale, o l’esigenza di distogliere l’attenzione da situazioni imbarazzanti, “seleziona” un’imbarcazione che “ci riguarda” perché viene verso di noi, e la “usa” per la propria propaganda, “sovranista” o “umanitaria” che sia. Anche quella “umanitaria”, si’, è una propaganda, se si “sveglia” solo per i migranti rifiutati dal proprio avversario politico, tornando a dormire quando preoccuparsi di quelli che sono respinti altrove o lasciati morire “a casa loro” non può dare punteggio nella scala dei consensi.
Oggi è il turno dei 147 migranti nella Open Arms, che il TAR del Lazio ha autorizzato a sbarcare a Lampedusa, contro le disposizioni del Viminale. Salvini afferma che farà ricorso al Consiglio di Stato contro la sentenza del TAR, perché non vuole diventare “complice del traffico di esseri umani” portati illegalmente dall’Africa all’Europa. E aggiunge che non si può far entrare ”per forza” in Italia una nave che avrebbe potuto attraccare anche a Malta. Malta, però, sostiene che non si può fare entrare ”per forza” a Malta una nave che potrebbe attraccare anche in Italia.
Qui si fa una bella marmellata mediatica, e non si distinguono i livelli più elementari del problema, usando come se fosse azione immediata ciò che può essere frutto solo di mediazione diplomatica, e come azione diplomatica ciò che può essere solo azione immediata.
Pensiamoci bene: “far attraccare” significa non certo “rilasciare permesso di soggiorno” o “diritto d’asilo” nel paese di sbarco, ma “soccorrere”, in attesa di regolarizzare, di espellere o di redistribuire le persone arrivate (vedi Regolamento di Dublino). E allora non possono esserci più dubbi: se Malta non soccorre, lo facciamo noi, ci mancherebbe. E se si vuole impedire che questo (necessario) soccorso divenga una forma di complicità con i trafficanti di esseri umani, come teme Salvini, si deve lavorare diplomaticamente con i paesi di provenienza e cominciando a non disertare le riunioni dei ministri dell’interno a Bruxelles. Diversamente Salvini giocherebbe solo a fare il “cattivo”, scambiando “determinazione” con “cinismo”.
Ne’ vale ricordare che gli arrivi sono in calo. Le cause del ridotto numero di arrivi sono più di una, e non si può peraltro attribuirle esclusivamente alla “chiusura dei porti”. L’Open Arms dimostra che la gente parte anche con i “porti chiusi”, e non solo perché confiderebbe nel “buonismo” dell’opposizione a Salvini. Confida anche, più semplicemente, nel diritto del mare.
In una situazione simile, l’alternativa è o complici di chi sfrutta illegalmente i migranti o complici della loro sofferenza in mare. E qui, per schierarsi, non c’è bisogno di insultare Salvini. Basta un elementare ragionamento di buon senso etico: è meglio essere involontari complici del guadagno di un colpevole o volontario complice della sofferenza di un innocente? È chiaro che non ci sono dubbi: la prima. Che però non fa scomparire l’esigenza, su cui insiste Salvini, di combattere anche la seconda. Ma nelle sedi appropriate, non sul mare.
Possiamo dunque combattere questa involontaria complicità senza dover respingere barconi pieni di disperati, perché tali sono, se si trovano in mare piuttosto che a casa loro. Diversamente getteremmo via, con l’acqua sporca del trafficante, anche il bambino…