Alessandra Bialetti / Blog | 15 Luglio 2019

Le Lettere di Alessandra Bialetti – E adesso sì che cominciano i problemi

È giorno di festa a Rebibbia. Di quelli che vestono anche un carcere di piccoli momenti di gioia, angoletti di paradiso, luoghi assurdi che sanno di eternità. Nel 14 luglio di un’estate torrida scende lo Spirito Santo in carcere per infuocare e non per rinfrescare. Il fresco già lo conoscono i detenuti, oggi sperimentano la discesa di un fuoco che brucia ciò che va buttato via perché altro possa prenderne il posto. È il giorno delle prime comunioni e delle cresime, alcuni sono giovani altri molto grandi.

Eucarestia e cresima: un passo “normale” per chi vive fuori, una tappa “curriculare” dell’essere cristiano che troppo spesso diventa un bollino sul passaporto sacramentale, un lasciapassare per un’eternità che mi vede in regola. Normale è l’etichetta che mette al sicuro, che fa sentire dalla parte giusta, che omologa nella maggioranza una possibile diversità che mette paura, che è meglio allontanare. In carcere questo passo non è normale ma straordinario quando nessun genitore si fa garante della tua scelta, ti porta ogni settimana a catechismo e ti prepara alla festa dopo la cerimonia. Dentro si parla di scelta matura, pensata, desiderata, attesa, una scelta forte di cui non si ha bisogno per esibire un curriculum del buon cristiano, una scelta che serve a se stessi nelle ore passate alla catechesi spesso colme di dubbi, di ripensamenti, magari anche di prese in giro dei compagni. E alla fine non verrà rilasciato nessun bollino qualità, nessuna buona condotta che garantirà una buona uscita: ora sorgeranno problemi perché si dovrà rispondere con la vita a quella chiamata, a quella scelta. Essere comunicati e cresimati non accorcerà la pena da scontare, non farà tenerezza al giudice, butterà invece nella mischia con una responsabilità in più.

I comunicandi e cresimandi sono già in chiesa grande, magliette pulite e stirate, forse le migliori che hanno, magliette semplici perché “l’abito non fa il monaco”, perché non si deve far colpo ma farsi colpire, non si deve apparire ma scomparire per diventare nuove creature. L’emozione è evidente: A. mi dice che non dorme da giorni in attesa di questo giorno. Penso a tante nostre eucarestie scontate, stracciate, buttate lì quasi per dovere, distratte, senza attesa. Mentre A., con un viso felice ma teso, sa bene cosa sta per accadere nella sua vita proprio in un luogo dove pensava fosse dimenticato da tutto e tutti figuriamoci da un Dio di cui ha poco sentito parlare. Quell’emozione, quell’attesa forse ci deve svegliare dal torpore liturgico in cui spesso viviamo, da comunioni che ci vedono in fila presi dai nostri pensieri, da privilegi di poter ricevere il Cristo che non ci fanno più effetto, da un incontro che si rinnova ma non ci smuove più di tanto. Quelle ore di veglia notturna di A., e non per il caldo, mi lasciano nel cuore il desiderio di riscoprire l’attesa di un Cristo che non è mai uguale.

Arrivano le famiglie, i figli, piccoli e grandi, bimbi in braccio a padri che per la prima volta ricevono l’eucarestia e lo Spirito Santo. Innaturale questa scena, dovrebbe essere il contrario: padri che accompagnano i figli all’altare nei loro vestiti della festa con tutta la famiglia intorno. Veramente Gesù tu giochi e sovverti continuamente i piani, figli che fanno i padri e padri che ritornano figli. Ma non ti scomponi, l’importante è che per tutti ci sia un posto, per tutti ci sia l’incontro che spariglia le carte in tavola e inventa nuove regole. E per quei piccoli sarà un esempio un padre che decide per Gesù in carcere, che si fa toccare anche in età matura, che si commuove nel momento dell’imposizione delle mani e per quel pane che per la prima volta sta ricevendo. Questi sono gli esempi di cui abbiamo bisogno per credere che “non è detta mai l’ultima”, che il Cristo non scrive mai la parola fine su nessuna vita ma la prende dissestata come è e ne fa un capolavoro.  

Il vescovo si prepara e tira fuori dalla sua valigetta un pastorale smontabile. Non lo avevo mai visto prima. È di legno semplice: lo monta e diventa un bastone senza pretese, non un segno di potere ma il bastone del viandante, di quel Cristo che oggi si è messo per strada alla ricerca dei suoi figli, di quel giocoliere che usa il bastone non per colpire ma per riunire, per riportare ogni pecorella all’ovile, per ridare a ognuno la giusta dignità. Un bastone povero per un pastore povero, umile, con i piedi pieni di polvere e le mani coperte del fango delle sue creature.

È il momento della cresima. I ragazzi in fila composti, ognuno con accanto il padrino o madrina a garanzia del loro percorso. Qualcuno è solo. Eh no, Gesù, la parola solo per te non esiste, tu ci hai creati comunità, popolo in cammino, scalatori in cordata. Sei venuto perché nessuno si perdesse e rimanesse solo, perché ognuno sentisse la responsabilità della vita dell’altro. E per dare a me l’emozione più grande della giornata, quella che vale una vita e nemmeno lo si sa. Sarò la madrina di due ragazzi, come fossi l’operaio dell’ultima ora chiamato a godere della presenza del Signore, preso per strada, dalla sua vita “sgangherata”, piena di errori, da una vita che spesso “non se ne azzecca una”. Io emozionata più di loro mentre la mia mano cerca di raggiungere le spalle di uomini molto più grandi di me: io piccola e loro grandi. E penso che lo sono veramente perché da una vita discutibile, già giudicata, già scartata, sono stati visitati da una proposta, sono stati scossi dal loro niente per diventare un tutto diverso, si sono lasciati interrogare e hanno dato la loro risposta. Sono più grandi di me perché non hanno dato per scontato un sacramento, lo hanno atteso e voluto in un luogo dimenticato dal mondo. Sono più grandi di me perché forse fuori è più facile, in ogni luogo c’è una chiesa e ci si entra quasi distrattamente e non ti cambia nulla. Sono più grandi di me non solo fisicamente ma perché non c’era alcun bisogno di un Dio nella loro vita eppure si sono lasciati scomodare da un invito chiaro e impegnativo. E lo sanno che lo sarà: che tutto non finisce nella bella festa in cortile con le famiglie e i bimbi intorno. Sanno che, come dice E., da oggi inizia un cammino diverso, che li chiamerà in causa a partire dalla vita in cella, che chiederà il conto di quell’incontro col Cristo che li è venuti a cercare nel nulla e dal nulla li vuole tirare fuori, che chiederà ragione di quella speranza che ha radicato nei loro cuori.

Un’ultima scena, un’icona. La Scrittura ricorda che siamo come “bimbi svezzati in braccio alla madre”. Immagine di tenerezza, intimità, cura, accudimento. Accanto a me R. ha in braccio il bimbo di pochi anni che dorme sereno sulla sua spalla. R. ha appena ricevuto lo Spirito Santo, ora è testimone di un amore più grande e tiene stretto suo figlio. Gli trasmette la gioia di quell’incontro, il riscatto di una vita creduta persa ma che ricomincia, il calore di braccia che lo hanno accolto per primo e che ora si aprono alla sua accoglienza. Icona di un amore che fluisce senza sbarre, quelle le mettiamo noi, di un amore che educa a lasciarsi andare al sicuro a Chi per primo ha amato e senza condizioni. R. appena cresimato, diventa fuoco per suo figlio che può dormire sereno.

E i problemi nascono ora: non si è più quelli di prima. Né loro né noi. Il Cristo non lascia  mai le cose come stanno. In giardino la festa: un bimbo si avvicina al tavolo del rinfresco e chiede dell’acqua. Aggiunge: “o me la dai o me la rubo”. Viene da sorridere, sembra che la legge passi di padre in figlio. Saranno problemi per M. appena cresimato: inizia da subito il nuovo cammino, l’educazione all’integrità, onestà e dignità del figlio, la ricerca di parole nuove, la testimonianza di un Cristo che chiama a cambiare. Bello scherzo, giocoliere: tu doni e chiedi subito il conto! Forse era meglio non incontrarti: ora sì che cominciano i problemi!

 

Vivo e lavoro a Roma dove sono nata nel 1963. Laureata in Pedagogia sociale e consulente familiare, mi dedico al sostegno e alla formazione alla relazione di aiuto di educatori, insegnanti, animatori. Svolgo attività di consulenza a singoli, coppie, famiglie e particolarmente a persone omosessuali e loro genitori e familiari offrendo il mio servizio presso diverse associazioni (Nuova Proposta, Rete Genitori Rainbow, Agedo). Credo fortemente nelle relazioni interpersonali, nell’ascolto attivo e profondo dell’essere umano animata dalla certezza che in ognuno vi siano tutte le risorse per arrivare alla propria realizzazione e che l’accoglienza della persona e del suo percorso di vita, sia la strada per costruire relazioni significative, inclusive e non giudicanti.