Alessandra Bialetti / Blog | 11 Giugno 2019

Le Lettere di Alessandra Bialetti – Scherzi dello Spirito

Pentecoste. La messa è nella chiesa grande denominata chiesa del Padre Nostro. Nostro, di tutti quelli che vi entrano, di tutti quelli che, qualsiasi storia portino sulle spalle, sono i benvenuti. Le porte sono aperte, il banchetto prevede un posto per ciascuno: detenuti, volontari, sacerdoti, guardie carcerarie. Per tutti c’è una parola, un annuncio, una proposta.

La Pentecoste ricorda Babele: inizia nello stesso modo ma finisce diversamente. Inizia dalla difficoltà di comunicare, da tante lingue che non trovano la strada, da idiomi che non si incontrano, genti diverse che non si comprendono. Appunto una babele come si suol dire quando si vuole significare una grande confusione. E nella confusione il cammino si ferma, ristagna, si chiude. Come nella famosa torre che divide uomini, intenti, desideri. La Pentecoste viene invece a sanare le incomprensioni non omologando a un unico modo di sentire ma esaltando la diversità di ognuno, celebrando le differenze che diventano ricchezza e opportunità di incontrare l’altro nella sua unicità. Nella chiesa grande oggi c’è di tutto, esperienze diverse anche molto lontane tra loro, esperienze di caduta, di errore, di risalita. E su questo mare confuso è scesa una nuova Pentecoste che ha fatto delle diverse lingue un unico modo di trovarsi insieme. Attorno alla morte di C., 46 anni. Nel silenzio più totale G., a nome di tutti, ricorda il compagno di detenzione, le sue parole prima di morire inaspettatamente, la volontà di C. di lasciare un ricordo, di ringraziare per ciò che gli è stato donato in quei 7 mesi di carcere, fosse solo un cappello per il freddo che sentiva appena arrivato. La Pentecoste della condivisione, dello stesso cammino, della solitudine e del vuoto che lascia un compagno che non c’è più e non perché finalmente libero. Dalla babele una sola voce per C., compagno, amico, anche solo conoscente e forse neppure quello. Ma l’esperienza della morte unisce, crea un unico coro muto ma attento e presente.

Parte la proclamazione della Parola: uno scherzo dello Spirito. Inavvertitamente il lezionario sull’ambone non è quello dell’anno liturgico in corso quindi riporta altre letture. Spiazzante questo Spirito che soffia dove vuole e come vuole. La lettera di San Paolo parla dei desideri della carne e dello spirito: proprio uno scherzo ad arte in un luogo dove seguire la carne ha fatto disastri. Dove vuole portare oggi lo Spirito? “Cosa chiedereste a Dio se fosse qui?” rilancia Don Antonello. La risposta è duplice: la ricchezza. Ma sembra limitata, povera, forse superficiale. Tutti noi desidereremmo una ricchezza in più. La seconda invece molto più pertinente e provocatoria: “Chiederei di non morire mai” afferma R. Ecco, ci siamo. Questa è proprio bella, ma cosa vuol dire? Diventare eterni, non invecchiare mai, scoprire l’elisir di lunga vita? Viene in soccorso lo Spirito giocherellone, quello che si diverte a scompaginare la Scrittura sull’ambone. La carne porta solo alla soddisfazione per sé stessi, lo spirito a gettare un ponte verso gli altri, a costruire relazioni di condivisione, ad abbandonare ogni desiderio di potere e sottomissione dell’altro come nella violenza contro le donne che soddisfa un istinto ma distrugge la dignità. Lo Spirito che soffia dove e come vuole fa luce nei desideri che danno morte, e li trasforma in desideri che non finiscono in orizzonti limitati, che non innescano bombe di male che lasciano dipendenti e insoddisfatti.

L’unico vero desiderio che ispira lo Spirito oggi, nella chiesa del Padre Nostro, è scoprire di essere amabili ovvero degni di cura, di attenzione, di accudimento, anche in un luogo maledetto come il carcere, spazio di perdizione. Amabili nel gesto di G. che dona il cappello a C. perché ha freddo, prendendosi cura ancor prima del freddo interiore, di quella mancanza di custodia e protezione che lacera il cuore. Lo Spirito che sconfigge la babele del nostro cuore urla a gran voce come rombo di tuono che abitare un inferno, qualsiasi esso sia anche fuori dal carcere, non vuol dire identificarsi con quel nulla, con quel vuoto ma sentirsi chiamati come persone amabili, da amare, da salvare, da rimettere in gioco perché possano diventare amanti. Sì, amanti: persone in grado di rispezzare il bene ricevuto come il pane dell’Eucarestia, in grado di ridonare ciò che si è avuto del tutto gratuitamente, di abbattere muri, di abbandonare le corazze e le armi come mezzo di difesa, le parole che feriscono più di altro. Il passaggio da Babele a Pentecoste è il passaggio da amabili ad amanti. Un passaggio che rende possibili le parole del gran giocoliere, oggi alleato dello Spirito scherzoso, che ci invita ad amare come siamo stati amati, a ridonare ciò che abbiamo sperimentato nel passaggio dall’inferno della schiavitù alla terra promessa. “Tu sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima e io ti amo” ci ricorda Isaia: oggi tutte le parole della Scrittura ritornano e confortano, rilanciano, danno una nuova possibilità, infondono coraggio. Lo stesso coraggio che ha animato gli apostoli e li ha inviati a portare l’annuncio della Buona Notizia: per tutti c’è una promessa e una certezza. Essere amati senza condizioni per amare senza condizioni. Anche senza muoversi da una cella e per noi fuori anche senza partire in terra di missione perché la missione è proprio la terra che abitiamo ogni giorno. “Cosa veramente ci cambia dentro?”, chiede Don Antonello. Una sola cosa: far esperienza di un altro che si fa prossimo, che si fa compagno, che fascia le ferite, che si sofferma e non si spaventa della nostra infermità, che ci libera dal giudizio senza scampo a cui noi stessi ci condanniamo. L’esperienza di un amore secondo lo Spirito, di un amore che non sottomette ma libera, che non giudica ma assolve vincendo ogni resistenza, anche il cuore più chiuso e indurito da una vita di sbagli. La babele crolla nel riconoscersi uno con l’altro e non uno contro l’altro, la Pentecoste trionfa quando le tante lingue diventano l’unica lingua della cura, della protezione, della carezza, del mettersi in gioco per l’altro. Così non si muore mai perché si gettano semi di vita nuova anche nelle ossa inaridite e si aprono orizzonti anche dietro le sbarre, reali o virtuali. La vera morte è l’indifferenza, è l’invisibilità, il non esistere per nessuno.

Grazie, Spirito giocherellone, che hai girato le pagine della Scrittura per portarci dove tu volevi, fuori dagli schemi, fuori dalle regole, fuori dalle parole attese e invece sovvertite. Ciao C. ricorda sempre quel cappello ricevuto in dono, quel calore che ha spento il tuo freddo, quel compagno che ti si è fatto prossimo. Una nuova Pentecoste.

 

Vivo e lavoro a Roma dove sono nata nel 1963. Laureata in Pedagogia sociale e consulente familiare, mi dedico al sostegno e alla formazione alla relazione di aiuto di educatori, insegnanti, animatori. Svolgo attività di consulenza a singoli, coppie, famiglie e particolarmente a persone omosessuali e loro genitori e familiari offrendo il mio servizio presso diverse associazioni (Nuova Proposta, Rete Genitori Rainbow, Agedo). Credo fortemente nelle relazioni interpersonali, nell’ascolto attivo e profondo dell’essere umano animata dalla certezza che in ognuno vi siano tutte le risorse per arrivare alla propria realizzazione e che l’accoglienza della persona e del suo percorso di vita, sia la strada per costruire relazioni significative, inclusive e non giudicanti.