Alessandra Bialetti / Blog | 10 Aprile 2019

Le Lettere di Alessandra Bialetti – Gesù scrive sulla terra un’altra storia

Oggi è faticoso varcare la soglia di Rebibbia con un vangelo così difficile sulle spalle. Argomento scomodo, parole che pesano. Gesù, il gran giocoliere, sembra passare ogni limite. Per Don Antonello, cappellano e amico di tanti anni passati insieme, non sarà facile portare a casa l’omelia. Un vangelo provocante e provocatorio, un vangelo che tocca argomenti delicati soprattutto per un luogo in cui spesso i reati hanno uno sfondo sessuale. La sessualità è un tasto dolente all’interno del carcere e nel ramo maschile ancora di più. Un vangelo che dà fastidio ai cristiani, un tema, quello dell’adulterio, che chiama in causa, rendendo difficile districarsi tra giudizi e pregiudizi. Ma non si sceglie: la chiesa medita su questo brano e su questo ci si confronta, comodo o scomodo che sia. Si parla di peccato: ognuno ha il suo, nessuno esente. Ecco la prima traccia: è facile per chi sta fuori dire che si è puliti, che grosse colpe non si hanno e che, bene o male, ci si è sempre comportati correttamente. Invece il brano ci mette davanti la possibilità di sbagliare che è di tutti, la realtà di un errore che coinvolge ogni persona. Quindi il vangelo non riguarda solo i detenuti che non sono stati così furbi da non farsi prendere, ma interpella ognuno di noi. Scomodo. Tutti noi siamo quell’adultera portata al centro della piazza sotto lo sguardo generale. Eh no, giocoliere. Mica la mia colpa è come quella dell’adultera o del detenuto! La mia è minore, uno scivolone, una svista. Mica sono come loro. Invece no. Sono anche io al centro con i miei errori. Ma come sono al centro, sono anche sotto lo sguardo di un Gesù chiamato a dare il suo parere, un Gesù tirato in mezzo nella certezza che farà il lavoro sporco, quello che incastrerà chi ha sbagliato. Ma il gran giocoliere non è uno che si fa manipolare, non teme, scrive per terra, non guarda negli occhi gli accusatori, interroga il suo cuore perché lì troverà la risposta. Mi piaci, giocoliere, piegato in ginocchio sulla sabbia mentre gli altri, esterrefatti, attendono le tue parole di condanna. Non te ne curi, hai già chiarissimo che la tua risposta sarà impopolare e destabilizzante.
F., il detenuto di religione ebraica, ci parla di una legge che, se applicata alla lettera, non lascia scampo: condanna immediata. Ma Gesù va oltre: scrive sulla terra e sappiamo che una parola impressa sulla sabbia, viene cancellata. Scompare, come non fosse mai esistita. Torna il Gesù dell’oltre, quello che vede nel cuore, che contestualizza, che fissa lo sguardo, che porta una nuova legge non più scritta su materiale corruttibile: la legge dell’amore e del perdono. La legge non è tutto, c’è un di più, un divario tra lo scritto che inchioda e la misericordia che rilancia.
Difficile ora spiegare la posizione dell’adultera in un luogo tutto al maschile. I detenuti si interrogano su quella donna e sull’atteggiamento degli scribi e farisei. Potrebbero scattare rapidamente gli stereotipi: la donna provoca, la donna se la cerca, se stesse al suo posto non accadrebbe nulla, l’uomo è debole e nasce predatore quindi… Ma sarebbe riduttivo e chiuderebbe immediatamente i giochi. Invece emergono due riflessioni: a fronte di un adulterio sono in gioco due persone. Una donna ma anche un uomo. Si è in due a commettere un atto. Si abbandona l’immagine di una donna che provoca e di un uomo che, per sua natura, deve rispondere; di una donna da dominare perché nasce donna ed è naturale che accada così. Nuove consapevolezze che spesso non emergono nel mondo “fuori”. La seconda riflessione parla del fastidio dei detenuti nel guardare al peccato di quella donna perché chiama in causa il proprio essere uomini che vedono giustificati i propri atti e forse anche una punta di invidia per quelli a cui capita di imbattersi in una bella ragazza. Si scopre insieme che non c’è giustificazione, che è tutto da ripensare, che anche l’avvenenza di una donna non è un invito a procedere ma a mettere in atto il proprio senso di responsabilità nei confronti della vita di un altro, qualsiasi esso sia. Ecco, giocoliere, quanto sei scomodo in queste quattro mura e non solo più di duemila anni fa in quella piazza: oggi non c’è scampo per nessuno.
Ma non basta. Oggi vieni anche a scardinare il senso di colpa, quello di cui ci siamo nutriti da sempre e che ci tiene imprigionati peggio di un detenuto. In quella donna esposta al ludibrio generale e avviata ad una fine certa tu scorgi altro: scendi nel cuore dove alberga il peggior giudice in assoluto. Quello che nessun detenuto si augurerebbe di trovare in un’aula di tribunale: il giudice interiore. Implacabile, un aguzzino sempre all’opera. Hai saputo vedere in quella donna, sorpresa in adulterio, una persona alle prese con se stessa, con il suo sbaglio, col senso di colpa di aver fallito, di aver macchiato la sua vita e quella di altri, di aver commesso un errore non riparabile e per il quale ora è chiamata a pagare. Anche se, per un caso fortuito, la legge non la condannasse, il processo che si svolge dentro di lei, l’ha già condannata. Il suo giudice interiore ha già vinto.
D. si immedesima sia negli scribi e farisei che nella donna. Esprime con parole sue un concetto che fa parte dei trattati di psicologia ma che all’interno di un carcere diventa vita vissuta. “Ci dà fastidio negli altri ciò che anche noi facciamo ma che non ammettiamo”. Semplice ma dritto al centro del bersaglio: anche noi siamo scribi e farisei, anche noi siamo pronti a puntare il dito sull’errore dell’altro mentre lo stesso errore forse fa parte delle nostre stesse scelte. E quanto più ci crea rabbia e disagio tanto più vuol dire che ci interpella e ci appartiene. Più lo scriba e il fariseo ci procura antipatia più quella parte di loro è la nostra. E D. continua: “Se mi metto nei panni della donna sento quel dito puntato contro e rivedo come in un film tutta la mia vita. Quel dito contro mi serve per guardarmi dentro, per riflettere sulle scelte fatte e sulle conseguenze che hanno generato. Se condanno l’altro assolvendo me stesso, se punto il dito senza sentirlo su di me, non ho la possibilità di redimermi, di riprendere in mano una vita che ho disonorato con i miei errori. Se mi fermo a quel dito contro continuo a sentirmi sbagliato, l’ultimo, quello che non può essere salvato. Invece Gesù ci libera dal senso di colpa dandoci sempre la possibilità di cambiare. Il fatto che sia detenuto mi sta dando la possibilità di trasformare la mia vita”. Grazie D. perché ci insegni che il peggior giudice non è né lo scriba né il fariseo ma noi stessi. Quando dentro di noi sale in cattedra il senso di colpa è la voce del giudice interiore ad avere la meglio, quel giudice che non lascia appello, che ci fa ricadere continuamente nel nostro sbaglio, che ci vuole tenere sotto scacco. E poi arriva Gesù che non getta pietre per lapidare ma distrugge il senso di colpa dentro di noi, con la forza dell’amore e della sua presenza. Non dice che è bene sbagliare ma non lascia a quell’errore l’ultima parola perché a ognuno dona la via del riscatto.
Anche oggi, gran giocoliere, ci hai sorpreso attraverso le parole dei detenuti, proprio quelli che sarebbero stati lapidati molto volentieri. Anche oggi, come allora, ti sei chinato sulla terra e hai inciso parole nuove. Quelle che rimangono e non vengono cancellate da una folata di vento.

 

Vivo e lavoro a Roma dove sono nata nel 1963. Laureata in Pedagogia sociale e consulente familiare, mi dedico al sostegno e alla formazione alla relazione di aiuto di educatori, insegnanti, animatori. Svolgo attività di consulenza a singoli, coppie, famiglie e particolarmente a persone omosessuali e loro genitori e familiari offrendo il mio servizio presso diverse associazioni (Nuova Proposta, Rete Genitori Rainbow, Agedo). Credo fortemente nelle relazioni interpersonali, nell’ascolto attivo e profondo dell’essere umano animata dalla certezza che in ognuno vi siano tutte le risorse per arrivare alla propria realizzazione e che l’accoglienza della persona e del suo percorso di vita, sia la strada per costruire relazioni significative, inclusive e non giudicanti.