Alessandra Bialetti / Blog | 07 Febbraio 2019

Le Lettere di Alessandra Bialetti – Mamma e papà: due cuccioli “vecchietti”

Il ciclo della vita. Naturale per alcuni versi, difficile da accettare per altri. Sei messo al mondo, piccolo, indifeso, hai bisogno di tutto. Impari mano a mano il significato della dipendenza ma non te ne fai un cruccio. Dipendi da mani che ti svegliano, lavano, vestono, nutrono, ti raccontano favole, giocano con te, ti rimettono a “ninna” la sera con un bacio. Non sempre è così, c’è chi non ce la fa ad essere padre e madre. Ma si è cuccioli: la specie umana che più a lungo rimane in uno stato di bisogno e di dipendenza, che mette più tempo a diventare autonoma e a camminare con le proprie gambe. E’ giusto così; in quel lasso di tempo prendi le misure con il mondo esterno, compi le prime esperienze, cadi, ti sbucci le ginocchia, provi ad esplorare con un occhio sempre rivolto all’indietro per tornare a mani accudenti. Costruisci il tuo essere, il carattere al di là del patrimonio genetico che rimarrà sempre tuo, ti metti alla prova. E, in un attimo, sei grande: la scuola con il pianto della prima separazione, i quaderni che faticano a riempirsi di parole e numeri, le interrogazioni che speri programmate per passare pomeriggi liberi e sereni, le lezioni di nuoto quando una vasca ti sembra infinita e il bordo non arrivare mai. E su quegli spalti, una volta al mese, quattro occhi che ti seguono, sudati, affannati dopo il lavoro, quattro occhi che per nulla al mondo si sarebbero persi il cucciolo nuotare a cagnolino verso la sicurezza del bordo e voltarsi a cercarli. Le malattie infettive sempre prima della partenza per le agognate vacanze, le febbri improvvise e i mal di pancia provvidenziali che bloccano la mamma a casa per un giorno intero tutta per te. Le fiabe sonore, oggi tornate di moda, e i giochi inventati anche solo con una coperta che diventa la più straordinaria tenda degli indiani. Le paure incontrollate: il buio, i mostri, gli animali, l’abbandono. Le corse al pronto soccorso o alla guardia medica del luogo di vacanza. Sei cucciolo e mamma e papà possono entrare nell’ambulatorio quando ti ricuciono la pelle tenera lacerata dalla caduta. Sei al sicuro sebbene il disinfettante bruci. E il gelato dopo i tanti lacrimoni.

E in un attimo gli scontri a coltello con i due “dinosauri” dei tuoi genitori che non capiscono il tempo che passa e le tue gambe ora esili e dinoccolate che vogliono conquistare il mondo. Le feste cui vorrebbero accompagnarti per sincerarsi in che mani finisci, la luce accesa in ingresso per quando torni e quella casa ti sembra meno buia e solitaria anche se ne vorresti una tutta tua. Le mattine accompagnato a scuola ma “per favore lasciami lontano altrimenti i compagni mi vedono”; i votacci nascosti e ora nemmeno tanto dato che si sono inventati il registro elettronico. Nemmeno il gusto della trasgressione, ti hanno tolto anche la “sega” a scuola, ti devi fare più furbo. Le giustificazioni che ti puoi firmare da solo perché avete brindato la sera prima ai tuoi diciotto anni.

L’università sperando di aver fatto la scelta giusta mentre ti innamori e ti sembra che tutto il mondo sia tuo. La laurea e mamma e papà con il fazzoletto in mano senza farsi vedere. Un figlio dottore…ma chi quello che gattonava per casa? Si quello che getta in aria il tocco da dottore e si apre alla vita. Il primo lavoro e la prima pizza offerta con il tuo stipendio. Forse no, ma ci piace immaginarla così. Il matrimonio o la convivenza, tu che parti abbandonando il nido e lasci alle spalle mamma e papà che sanno che è giusto così ma gli mancherai molto. Diventi padre e madre e capisci tante cose prima incomprensibili: ora tocca a te, notti insonni e giorni di corsa, fatiche e gioie, preoccupazioni e speranze. E dietro a te sempre mamma e papà, oggi più stanchi ma sempre presenti. Con le loro lamentele, le loro ansie che con gli anni diventano sempre più forti, prima da genitori ora da nonni mentre, ancora più sudati, seguono il cucciolo “bis” dagli stessi spalti della stessa piscina. Nonni cui chiedi aiuto alle 7 di mattina quando il bimbo ha la febbre e il lavoro incombe, cui ti rivolgi per prenderti una vacanza dal tuo essere genitore e torni figlio. Nonni che piangeranno con te alla laurea del tuo cucciolo o alla sua entrata nel mondo. Nonni che temono per la vita insicura e incerta che accoglie il nipote tra porti chiusi e muri sempre più alti.

E la tua rabbia quando ti accorgi che il tempo scorre e il loro passo si fa più lento, quando i ragionamenti si incastrano nelle pieghe della loro testa e le parole inciampano. Quando non sono più così scattanti mentre li vorresti i primi a tagliare il traguardo olimpico. Quando ti guardano spaesati davanti allo smartphone e tu alzi gli occhi al cielo. Quando riescono ad inviarti un whatsapp e sono felici come avessero vinto un oscar e tu ridi senza capire e loro ti guardano senza capire. E poi ti chiedi: perché la rabbia? Perché in fondo quel cucciolo ormai cresciuto non accetta il tempo che passa, fatica a lasciar andare, ad accogliere la fragilità, a vedersi grande e loro sempre più piccoli. Ma lo sono e diventano due cuccioli “vecchietti”, grigi nei capelli, più bassi del loro portamento solito da generali, bisognosi di presenza, vicinanza quando i sogni brutti si impadroniscono di loro. E in quel passo più incerto, ma saggio e maturo, cercano la tua mano dopo avertela data tante volte mentre cadevi e ti rialzavi tentando di camminare o mentre tenevano stretto il sellino della prima bicicletta senza rotelline. E la rabbia lascia il posto alla tenerezza, la testardaggine di non voler capire alla comprensione della loro fatica di scoprirsi “vecchietti”, della paura di dipendere e di dar fastidio, delle manie e paure improvvise e ingiustificate. E ti fanno l’ennesimo regalo: quello di poter essere, proprio tu, una guida in grado di indicare la strada, di prendersi cura dopo aver ricevuto cura, di tenere la mano quando il buio evoca brutti pensieri. E da cucciolo diventi madre e padre dei tuoi stessi genitori.

Non è una favola a lieto fine perché tanti saranno i momenti di rabbia, difficoltà e fatica e perché non per tutti il percorso sarà stato o sarà lo stesso nel bene o nel male.

Ho visto piangere figli davanti alla paura dell’anzianità dei genitori, ho visto figli scoprire di avere due “vecchietti” cuccioli. E ritrovare il sorriso anche nella tristezza e nella fatica.

 

Vivo e lavoro a Roma dove sono nata nel 1963. Laureata in Pedagogia sociale e consulente familiare, mi dedico al sostegno e alla formazione alla relazione di aiuto di educatori, insegnanti, animatori. Svolgo attività di consulenza a singoli, coppie, famiglie e particolarmente a persone omosessuali e loro genitori e familiari offrendo il mio servizio presso diverse associazioni (Nuova Proposta, Rete Genitori Rainbow, Agedo). Credo fortemente nelle relazioni interpersonali, nell’ascolto attivo e profondo dell’essere umano animata dalla certezza che in ognuno vi siano tutte le risorse per arrivare alla propria realizzazione e che l’accoglienza della persona e del suo percorso di vita, sia la strada per costruire relazioni significative, inclusive e non giudicanti.