Se “mi” racconto mi conosci – Roberta Rocelli. La mia vocazione? Sollevare la gente dai divani

Continua la rubrica di Alessandra Bialetti «Se “mi” racconto mi conosci». Chiunque desidera può contribuire inviando la propria testimonianza a [email protected]


A chi lamenta che le donne nella Chiesa non hanno voce in capitolo, il Festival biblico, manifestazione promossa da diocesi di Vicenza e Società San Paolo, risponde con la scelta di porre alla guida una giovane donna, laica, tenace, con le idee chiare, e un background professionale di tutto rispetto. Roberta Rocelli, 39 anni, nativa di Monselice (Padova) ma vicentina di adozione, già responsabile dell’Area partecipazione, dal 2017 è direttrice generale del Festival biblico (quest’anno dal 3 al 27 maggio), ma – come ama sottolineare – «supportata da uno staff prezioso, un gruppo di professionisti che condividono il modo di intendere la vita».

«I ruoli ci sono, altrimenti sarebbe l’entropia, però c’è sempre una mentalità collegiale di raggiungere gli obiettivi», spiega Rocelli. E con la stessa modalità collegiale viene elaborato anche il programma. «Il nostro Festival in Italia è il più diffuso a livello territoriale», spiega Rocelli. «Oltre che a Vicenza, dov’è nato, si svolge nelle città e nelle province di Verona, Padova, Rovigo e Vittorio Veneto. Le proposte sono frutto della collaborazione fra tutte le realtà che vi partecipano. Lo stesso tema 2018, Futuro, richiama le connessioni, perché è una mediazione fra tutti noi che abitiamo questa terra, con l’obiettivo di una convivenza quanto più pacifica possibile». 

Connessione, contaminazione, mescolanza, unione sono parole che accompagnano Roberta fin dai tempi della scuola: liceo scientifico, laurea in Lettere moderne, un master in gestione dei processi formativi, la scuola di fundraising (raccolta fondi, ndr). Primi passi lavorativi nel mondo profit, poi l’approdo in quello no profit. «Ho trovato un mestiere che mi assomigliava, perché il fundraising non è altro che tanta relazione con l’obiettivo di una sostenibilità economica. Però, attenzione, il no profit deve seguire le stesse regole di efficienza ed efficacia del profit, dal quale continuo a imparare molto. Il Festival biblico è un’azienda, non un oratorio. È un progetto professionale che mi appassiona perché ha uno spirito laicale di pubblica utilità, e quindi si coniuga perfettamente con la mia vocazione socio-culturale, di “sollevare la gente dai divani”, come dice papa Francesco. Dobbiamo uscire, ritrovarci nell’agorà a chiacchierare, confrontarci, anche davanti a un bicchiere di vino come Gesù ha fatto tante volte».

Con il Pontefice Roberta condivide anche l’amore per le periferie: che si tratti della Bassa Padovana di dove è originaria, «“addormentata” culturalmente, ma con un grande potenziale», del quadrilatero trascurato di via Milano a Vicenza, dove il Festival quest’anno approderà per la prima volta «con la capacità di accendere un faro là dove tutto è lasciato nel torpore», o che sia un campo di lavoro in Campania, «nelle terre confiscate alla mafia, quello che conta è il processo generativo che vi si può innescare».

L’impegno è supportato da «un senso di giustizia insito dentro come il fuoco» e da una fede combattuta. «Fatico ad accogliere la non risposta, la non plausibilità di alcuni eventi, così mi ritrovo in un interfaccia con Dio che a volte è lotta intestina, altre amore puro». Poi ci sono l’eredità familiare di «dedizione alla comunità», l’associazionismo giovanile, la curiosità innata, lo stile di vita sobrio: «Cerco la quantità giusta nelle cose come nelle relazioni», un’anima dialogante, la passione per i grandi temi dell’economia civile e dei diritti.

«Questo mio essere un “animale ibrido”, con un’identità fatta di più piani sovrapposti, diventa fonte di ispirazione anche per elaborare le proposte del Festival, che è nato da un’intuizione semplice ma innovativa. Bisognava raggiungere le persone nelle piazze, nelle strade, nei palazzi e, usando linguaggi nuovi, far conoscere la Bibbia, che ha molto da dire all’uomo contemporaneo, che sia credente o meno. Il mio rapporto con la Bibbia è linguistico: versetti, frasi, parole che mi restano dentro e si ripristinano nel momento in cui sono in difficoltà, ma anche quando sono nella beatitudine; è il mio modo per pregare».

L’anima inquieta porta Roberta a non considerare il Festival come un punto di arrivo professionale. «Non riesco mai a posizionarmi, a restare, perché secondo me è giusto lasciare sempre in eredità un progetto che non è tuo. Lo devi costruire e rendere molto chiaro per chi arriva dopo di te. E tu riparti altrove». Con un sogno: «Riuscire ad avere in comodato d’uso uno stabile morente e riportarlo a fioritura, attraverso un progetto culturale».  

In questo turbinio, c’è però posto per due costanti: il nuoto e la poesia. «Sono due dimensioni collegate, ed entrambe ti consentono una “sosta”. C’è silenzio in acqua, è tutto ovattato, le chiacchiere dell’esterno scompaiono. C’è il tuo respiro, ci sei tu e la tua fluidità. Questo permette alla testa di considerare quello che nella quotidianità non si riesce a vedere».

Spiega ancora la direttrice: «Poesia per me è la Maddalena che si inginocchia e con i capelli asciuga i piedi a Gesù. Un’immagine per dire uno spirito di servizio generativo, che mi appartiene. Ma poesia non è sempre delicatezza, è anche verso graffiante, come quelli della poetessa contemporanea Mariangela Gualtieri. Danno l’idea del mio essere sempre in ricerca. Lei dice che la testa le scotta. Io mi sento così».

Tratto da Famiglia Cristiana