Blog / Luciano Sesta | 30 Luglio 2018

Le Lettere di Luciano Sesta – Non c’è più uomo né donna (3)| Le persone prima di tutto

Il Prof. Sesta condivide con il blog il testo di un suo intervento tenuto a Bagheria nel novembre dello scorso anno, in cui erano presenti anche l’avv. Gianfranco Amato e la dottoressa Silvana De Mari. L’intervento verrà pubblicato in tre episodi, abbiamo già pubblicato i primi due (clic qui per il primo, clic qui per il secondo) e questo è l’ultimo 

Le persone prima di tutto

Nonostante si dica spesso il contrario, le teorie del Gender non impongono ai bambini un’educazione che li orienta a diventare omosessuali o transgender (come temono i catastrofisti), né solo a rispettare le persone omosessuali o transgender (come affermano i negazionisti, ossia coloro che negano e minimizzano alcuni rischi pedagogici di certa educazione alla parità di genere). Il vero e proprio messaggio delle teorie del Gender, piuttosto, è l’equivalenza di tutti gli orientamenti sessuali.

La conseguenza di questo modo di vedere le cose è non solo la piena legittimazione morale e giuridica delle relazioni omosessuali, ma soprattutto la loro equiparazione antropologica a quelle eterosessuali, intese come modalità di rapporto diversa, ma non migliore né più naturale, di quella omosessuale. Se si dà uno sguardo alla letteratura sull’argomento, ma anche se si leggono attentamente i testi di legge che regolamentano le unioni omosessuali e la possibilità di adottare bambini, come base vi è sempre il ridimensionamento della differenza sessuale biologica in favore del significato morale e culturale delle relazioni di genere, eterosessuali o omosessuali che siano. Da qui anche diverse accezioni di “famiglia” e l’eliminazione di termini che richiamano la differenza sessuale, come “matrimonio”, “padre”, “madre”, sostituiti da termini neutri come “genitorialità” ecc.

Non entro nel merito di questa prospettiva, che pure mi sembra criticabile[1]. Ciò che è certo, tuttavia, è che non si può presentare come semplice invito al rispetto delle persone, che è principio indiscutibile, un’opinione discutibile come l’equivalenza di tutti gli orientamenti sessuali. L’idea che tutti gli orientamenti sessuali abbiano lo stesso valore va discussa apertamente, e non può essere fatta passare sottobanco approfittando dell’ovvio consenso che c’è sulla necessità di rispettare chiunque a prescindere dal suo orientamento sessuale[2]. Non si può cioè dire che poiché tutte le persone gay e lesbiche devono essere rispettate, allora l’omosessualità e il lesbismo sono equivalenti all’eterosessualità, e per esempio in diritto di ottenere, per via “giuridica” e “medica”, ciò che l’eterosessualità ottiene per “natura”, come per esempio dei figli. E non perché una tale rivendicazione sia per principio da escludere, ma perché per soddisfarla bisogna addurre delle ragioni indipendenti, che cioè entrano nel merito della richiesta a prescindere dal rispetto per le persone che la fanno. Che un tale rispetto per le persone sia sempre dovuto, come si è detto, non garantisce, automaticamente, l’equivalenza di tutte le loro richieste. E questo proprio in nome del rispetto di ogni persona – per esempio di eventuali bambini adottabili o concepibili in modalità “surrogata” – che potrebbe prevalere sulla richiesta di altre persone, giustificandone la limitazione e persino il rifiuto. Se una coppia di persone omosessuali o lesbiche è in buona fede, potrà ammettere che, anche se dolorosa, questa limitazione della loro richiesta ha un senso proprio sulla base di quello stesso rispetto per ogni persona che la induce ad avanzarla.

D’altra parte, quando si parla di transessualità e di omosessualità, non si può troppo facilmente distinguere fra “comportamento”, presumibilmente “immorale”, e “persona”, sempre invece da “rispettare”. Spesso, soprattutto in ambito culturale cattolico, si dice per esempio che a essere innaturale è l’omosessualità, non le persone omosessuali. La distinzione fra persona omosessuale e omosessualità si basa però sull’idea che l’omosessualità sia una scelta e non una condizione, un problema soltanto di comportamento piuttosto che di identità. Dire che l’omosessualità è innaturale o immorale, significa colpire una condizione che non è solo “oggettiva” ed “esterna” alla persona omosessuale, ma qualcosa con cui la persona stessa si identifica profondamente e in cui, spesso, si riconosce. Dire – come fanno alcuni – che esistono solo le persone, e che l’omosessualità non dovrebbe esistere, o addirittura che non esiste, significa dire che alcune persone non dovrebbero esistere o, peggio, che non esistono.  

È venuto il momento di concludere questa riflessione. Molti si mostrano preoccupati che le teorie del Gender, entrando nei programmi educativi delle scuole, possano creare disorientamento nelle giovani generazioni. Si teme, per esempio, che sotto l’etichetta dell’educazione alla parità di genere fra uomini e donne e della lotta all’omofobia passi tutt’altro messaggio, per esempio che maschi e femmine non si nasce, ma lo si diventa per scelta, e magari non una volta per tutte, ma in base ai capricci e alle mode del momento. Non si tratta di un timore del tutto infondato. Per evitare che ciò accada, occorre vigilare continuamente, ma senza esagerare, aggiungiamo. Se infatti l’educazione consiste non nel preparare la strada al figlio, ma il figlio per la strada, allora anche la prospettiva del gender è non tanto un pericolo da evitare, quanto un rischio da correre. Più che opporre un rifiuto polemico, dunque, si potrebbe proporre una prudente valorizzazione di due aspetti propri della teoria del gender:

  1. siamo tutti persone al di là del nostro vissuto sessuale;
  2. le differenze sessuali e di genere sono non solo biologiche, ma anche sociali e culturali.

Con questa consapevolezza si può, senza necessariamente incoraggiare determinati orientamenti sessuali, aiutare le nuove generazioni a non demonizzare quelli che già ci sono, e dunque a saper innanzitutto rispettare come una persona colui o colei che mostra di averli. Certo, questo comporta dei rischi. Per esempio il rischio che si scambi l’accoglienza delle persone transessuali con una legittimazione della loro condizione, o persino come un’esortazione al transessualismo. Si tratta però di un rischio che dobbiamo correre: è infatti meglio rispettare pienamente le persone transessuali rischiando di trasmettere un messaggio poco chiaro sul transessualismo, che correre il rischio di maltrattarle pur di lanciare un messaggio chiaro sull’“anomalia” della loro condizione. Come già diceva Simone Weil, c’è in ogni uomo qualcosa di sacro. E non è la persona umana. Non è nemmeno la sua persona. È semplicemente lui, quest’uomo

[1] Su questo rimando sempre al mio L. Sesta, Per un’etica della lotta civile. Famiglia, Gender e rivendicazioni omosessuali, cit.

[2] Lo fa notare giustamente G. Savagnone, Il gender spiegato a un marziano, EDB, Bologna 2016.

 

Luciano Sesta, sposato e padre di quattro bambini, è docente di Storia e Filosofia nei Licei Statali Insegna Antropologia filosofica e bioetica all’Università di Palermo, ed è stato membro dell’Ufficio della Pastorale della Cultura dell’Arcidiocesi di Palermo. Ha pubblicato numerosi saggi nell’ambito della teologia morale, della bioetica e dell’etica