Articoli / Blog | 05 Luglio 2018

Visto/ Fede da marciapiede – Dopo le parole di Papa Francesco: se lui ha un’altra?

Nell’ultimo incontro con il Forum delle famiglie, il Papa ha sottolineato l’importanza della pazienza e dell’attesa, soprattutto in tema di tradimenti coniugali. “Un’altra cosa che nella vita matrimoniale aiuta tanto è la pazienza: saper aspettare. Aspettare. Ci sono nella vita situazioni di crisi – crisi forti, crisi brutte – dove forse arrivano anche tempi di infedeltà. Quando non si può risolvere il problema in quel momento, ci vuole quella pazienza dell’amore che aspetta, che aspetta. Tante donne – perché questo è più della donna che dell’uomo, ma anche l’uomo a volte lo fa – tante donne nel silenzio hanno aspettato guardando da un’altra parte, aspettando che il marito tornasse alla fedeltà. E questa è santità. La santità che perdona tutto, perché ama”. Queste dichiarazioni hanno destato sconcerto perché sembrano chiedere ancora una volta alla donna un ruolo subalterno rispetto al maschio e paiono voler condannare a una prigione senza vie d’uscita chi vive un’unione infelice a causa del tradimento del partner. Le dichiarazioni del Papa vanno però contestualizzate partendo dal vangelo. Quando Gesù dice “chi può capire capisca” (Mt 19, 3-12) non si riferisce solo al celibato, come a volte riduttivamente si intende, ma anche alla definitività del vincolo matrimoniale. Vincolo che in astratto è per sempre e per tutti – se davvero ci si è promessa l’indissolubilità al momento di sposarsi -, ma, in pratica, è possibile solo se si percorre anche l’eroica strada del perdono nella quale non si può rimanere senza Grazia di Dio. Per questo il Papa, lì, parla di santità. La santità non è possibile senza l’aiuto di Dio. Fare finta di non vedere il tradimento della moglie o del marito è tanto “pazzesco” quanto perdonare il nemico. Il contesto quindi è quello della santità: capisco che chi non abbia deciso di vivere all’insegna della radicalità cristiana non sia d’accordo col Papa. È esattamente lo stesso ragionamento per cui “porgere l’altra guancia” è follia.

Non si tratta peraltro di assumere un atteggiamento remissivo che sopporta qualunque cosa, ma di maturare la consapevolezza che siamo tutti, a volte, drammaticamente fragili. Mi si dirà che una vita del genere può essere veramente infelice ma io rispondo che dipende molto da ciò che intendiamo per felicità. Se intendiamo per “gioia” l’immediato soddisfacimento di un desiderio, certamente il discorso del Papa risulta irrealistico. Bisogna però rendersi conto che una simile filosofia di vita condanna alla precarietà delle relazioni perché nessuno è in grado di garantire la felicità. Nel valutare le nostre relazioni con gli altri – vale per tutti non solo per i coniugi – è facilissimo trovare debolezze, errori e meschinità. Se rimaniamo legati a un’idea di amore assoluta saremo condannati a una moltitudine di giudizi “veri” ma impietosi, che alla fine ci condurranno ad avere rapporti solo precari, e quindi alla solitudine. Se invece pensiamo alla felicità come verità sulla natura delle nostre relazioni, allora sapremo vedere che tutte le nostre azioni sono un misto di bene e di male. Accettare di convivere con esse come elemento essenziale della propria personalità e di quella del partner è la base, il fondamento di ogni rapporto che vorremmo fosse, non dico indissolubile, ma per lo meno duraturo. Parlo di uno “star bene nei rapporti” anche noi stessi, non solo con gli altri. Il vero sentimento di amore consiste in un progressivo e continuo processo di accoglienza dell’altro, fondato essenzialmente sull’umiltà: la consapevolezza cioè che l’amore che noi possiamo dare e ricevere non è mai perfetto; assomiglia piuttosto agli avanzi che Gesù fa conservare nelle ceste dopo la moltiplicazione dei pani e dei pesci (Cfr Gv 6). Sapere che noi e i nostri partner possiamo solo darci briciole di bene non significa sminuire il valore dei nostri sogni ma sganciarli da illusioni che, non di rado, associano l’esperienza amorosa alla morte, in particolare al femminicidio.