Blog / Luciano Sesta | 14 Maggio 2018

Le Lettere di Luciano Sesta – Inferno (5)| Senza inferno tutto è permesso?

Dostoevskij diceva che se Dio non esiste, tutto è permesso, anche l’antropofagia. Alcuni applicano lo stesso ragionamento alla prospettiva della dannazione eterna, dicendo che, se tutti alla fine saranno salvati, ognuno potrà fare ciò che vuole, e nessuno potrà scegliere davvero fra il bene e il male, perché tutte le azioni, buone o cattive che siano, sarebbero equivalenti. Un beffardo “abbiamo scherzato”, insomma, sarebbe la parola conclusiva di una storia che, mentre la vivevamo, ci era invece sembrata di ben più drammatica serietà.

 

Questo ragionamento è tanto diffuso quanto discutibile, perché fa dipendere la gravità del male non dal danno inflitto alla vittima, ma dalla punibilità del colpevole. Come se ritrovare Hitler in paradiso – magari dopo un adeguato purgatorio – trasformasse l’Olocausto in un evento indifferente. Come se la misura del male, nell’Olocausto, dipendesse più dall’entità della pena che si merita chi lo ha compiuto che dal fatto che sono state barbaramente uccise milioni di persone innocenti.

 

L’idea che ci si possa comportare bene solo sotto minaccia proietta sulla vita morale e spirituale le regole del diritto penale. L’omicidio, a ben vedere, rimane un male anche qualora l’assassino venisse perdonato. Anzi, un assassino può essere “perdonato” solo se ha fatto qualcosa di “male”, altrimenti non ci sarebbe alcun bisogno di perdonarlo. Si dirà: ma così tutti coloro che fossero tentati di uccidere, sapendo che saranno comunque perdonati, procederanno senza scrupoli. Nel diritto penale probabilmente è così, di fronte a Dio, invece, le cose sono un po’ diverse, per almeno 3 ragioni:

 

1) Lo scopo del cristianesimo non è astenersi da peccati impropriamente trattati come “reati”, ma la pienezza dell’amore di Dio e del prossimo. E ci si può chiedere se non peccare per paura della dannazione promuova l’amore piuttosto che un comportamento calcolatore: “Nell’amore non c’è timore, al contrario l’amore perfetto scaccia il timore, perché il timore suppone un castigo e chi teme non è perfetto nell’amore” (1 Gv 4,18).

 

2) Come ho cercato di mostrare nella puntata n. 3, se persino quaggiù, sulla terra, la pena di morte, che è certa ed evidente, fatica a svolgere la sua funzione deterrente, come potrebbe farlo efficacemente una remota e incerta dannazione nell’aldilà? Questo non esclude che l’inferno possa anche fungere da deterrente, come io stesso ho affermato, ma si tratterebbe solo di un aspetto, e nemmeno il più importante, di una prospettiva ben più ampia, il cui scopo è rendere per così dire “irrilevante” la minaccia di una dannazione: chi ama non ha bisogno, per farlo, né di “premi” né di “punizioni”.

 

3) Per quanto possa accadere che si commettano crimini perché non si crede nell’inferno, è storicamente accaduto che se ne siano commessi perché ci si credeva sin troppo. Quante volte l’eretico è stato giustiziato perché non conducesse alla perdizione le anime semplici? Quante volte si è inflitta la “pena” quaggiù per risparmiarla lassù? Un esempio concreto fra i tanti: la strage degli anabattisti, durante la Riforma protestante, fu motivata proprio dalla certezza che i bimbi morti senza battesimo si sarebbero dannati. Da questo punto di vista, come ha ammesso onestamente C. S. Lewis, esiste un “contributo specifico” del cristianesimo alle malefatte umane. Anche la storia della fede cristiana ha la sua quota di discriminazioni, guerre, persecuzioni, torture fisiche e psicologiche, di cui l’inferno è stato, anziché il deterrente, il movente!

 

Ma c’è un ultimo e a mio avviso più profondo motivo che ci spinge ad abbandonare l’idea che “senza inferno tutto è permesso”. Nella giustizia umana, dove spesso non abbiamo modo di risarcire le vittime, soprattutto quando il danno che hanno subito è irreversibile (violenze, abusi, uccisioni ecc.), è comprensibile, e talvolta necessario, “rifarsi” sul colpevole, non solo in ottica rieducativa, ma anche in funzione deterrente. Se la vittima non c’è più, per esempio, non punire il colpevole significherebbe non prendere sul serio la gravità del male che egli ha compiuto.

 

Ed è qui che emergono tutti i limiti della nostra tendenza a proiettare il nostro sistema penale sull’escatologia cristiana. Il Vangelo è colmo di messaggi che prendono in contropiede il nostro senso della giustizia. Una giustizia divina che potesse riscattare la vittima solo punendo il colpevole o immaginandolo per sempre cattivo e irredimibile – come avviene nel caso dell’inferno volontariamente scelto – sarebbe ancora umana, troppo umana. E mancherebbe soprattutto di fede, perché assumerebbe, implicitamente, che per le vittime non c’è più salvezza: al male definitivamente subito, dovrà perciò corrispondere una pena altrettanto definitiva (l’inferno).

 

La giustizia divina è “divina”, invece, perché non ha bisogno di punire, potendo riscattare sia il dolore innocente delle vittime del male, sia la colpa di chi lo ha compiuto. Il disagio con cui, esitanti, accettiamo di sperare per i malvagi, è direttamente proporzionale alla nostra incertezza sulla salvezza, già avvenuta, delle loro vittime. Nutrire la speranza che un carnefice sia perdonato suona ingiusto solo quando non c’è alcuna certezza che la sua vittima sia già salvata. Se potessimo vedere un bambino ebreo, sorridente, che gioca in paradiso e che ha perdonato Hitler, forse la nostra riluttanza a sperare anche per quest’ultimo comincerebbe a venir meno. E finché lo stesso Hitler, già morto, non potrà vedere questa scena, non potremo mai sapere cosa realmente si meriti, né escludere che la “misericordia” nei suoi confronti non sia esattamente la cosa più “giusta” che Dio possa usargli. Può permettersi di sperare nel perdono di tutti i colpevoli della storia, insomma, solo chi è certo della salvezza di tutte le loro vittime.

Questo articolo fa parte della raccolta:

Le Lettere di Luciano Sesta – Inferno (1)| Una (prudente) ipotesi sulla possibile salvezza di tutti
Le Lettere di Luciano Sesta – Inferno (2)| La parabola di Lazzaro e del ricco
Le Lettere di Luciano Sesta – Inferno (3)| Si può rifiutare Dio?
Le Lettere di Luciano Sesta – Inferno (4)| Ci si può dannare liberamente?
Le Lettere di Luciano Sesta – Inferno (5)| Senza inferno tutto è permesso?

Luciano Sesta, sposato e padre di quattro bambini, è docente di Storia e Filosofia nei Licei Statali Insegna Antropologia filosofica e bioetica all’Università di Palermo, ed è stato membro dell’Ufficio della Pastorale della Cultura dell’Arcidiocesi di Palermo. Ha pubblicato numerosi saggi nell’ambito della teologia morale, della bioetica e dell’etica