Articoli / Blog | 26 Aprile 2018

Agi – Su Alfie Evans i vescovi della Chiesa d’Inghilterra dicono cose sacrosante

Qual è, in sintesi, secondo i Catholically Correct, il peccato mortale di questi vescovi? Riconoscere la competenza e l’onestà di medici e giudici

Nella tragedia di Alfie Evans, colpisce come alcuni sedicenti cattolici attacchino a testa bassa i vescovi della conferenza episcopale inglese colpevoli di aver saputo dire solo due cose: che “la sfida è complessa” e che “bisogna uscirne trovando un consenso tra tutti gli interessati”. Essi peraltro sarebbero in buona compagnia perché analogo errore è stato commesso da Mons. Vincenzo Paglia, Presidente della Pontificia Accademia per la Vita, che similmente aveva dichiarato: «Date le soluzioni comunque problematiche che si prospettano nell’evoluzione delle circostanze, riteniamo importante che si lavori per procedere in modo il più possibile condiviso. Solo nella ricerca di un’intesa tra tutti, un’alleanza d’amore tra genitori, famigliari e operatori sanitari, sarà possibile individuare la soluzione migliore per aiutare il piccolo Alfie in questo momento così drammatico della sua vita».

In questo modo Paglia commetterebbe l’errore di mettere in pratica la dottrina di don Lorenzo Milani, un prete molto amato da Papa Francesco, che affermava “sortirne tutti insieme è la politica, sortirne da soli è l’avarizia”.

Qual è, in sintesi, secondo i Catholically Correct, il peccato mortale di questi vescovi? Riconoscere la competenza e l’onestà di medici e giudici. I legittimi pastori cattolici della Chiesa che si trova in Inghilterra hanno perfino osato dire che le critiche all’ospedale sono infondate perché “la professionalità e la cura dei bambini gravemente malati mostrate all’Alder Hey devono essere riconosciute e affermate”.

In realtà però i vescovi, riconoscendo l’autorità di medici e giudici negli ambiti rispettivi, non fanno altro che mettere in pratica la dottrina cattolica. E invece, chi mina questa autorità rischia di cadere nel montanismo, un’eresia che secondo alcuni studiosi – in particolare penso a Marta Sordi – fu la vera causa delle persecuzioni di Marco Aurelio. I montanisti non riconoscevano l’importanza della vita civile, della politica, non facevano il servizio militare e credevano che tutto ciò fosse in contrasto con il cristianesimo. I discepoli di Cristo invece, consapevoli di vivere “in Babilonia”, come Pietro chiamava Roma (1 Pietro 5,13), sapevano che valeva anche per loro l’orientamento che Geremia aveva dato agli ebrei quando erano nell’esilio della Babilonia vera.

Allora il profeta aveva incitato i propri fratelli non a distruggere lo Stato, a resistergli o a insorgere, bensì aveva detto loro: “Costruite case e abitatele, piantate giardini e mangiate i loro frutti. Prendete mogli e generate figli e figlie; prendete mogli per i vostri figli e date le vostre figlie a marito, perché generino figli e figlie e perché là moltiplichiate e non diminuiate. Cercate il bene della città e pregate l’Eterno per essa, perché dal suo benessere dipende il vostro benessere” (Geremia 29, 5-7).

Ovviamente, spiegano gli studiosi, non si poteva pretendere da Marco Aurelio che fosse padrone di questi sottili distinguo in campo teologico e così, pensando che tutti i cristiani fossero montanisti, perseguitava tutti senza distinzioni.

In generale, dal punto di vista della morale cattolica, rischia di essere gravemente imprudente quel cristiano che critica un’intera conferenza episcopale e, in questo caso, converrebbe davvero che i portatori di queste convinzioni ci riflettessero perché il mondo laico – ora non c’è più Marco Aurelio ma ci sono tanti che non si ritengono credenti o cristiani – può davvero pensare che la loro posizione urlata sia il pensiero del cristianesimo.

 Tratto da Agi