Blog / Luciano Sesta | 12 Aprile 2018

Le Lettere di Luciano Sesta – Inferno (1)| Una (prudente) ipotesi sulla possibile salvezza di tutti

In questi giorni, sui media e sul web, si è molto discusso degli eventuali “dubbi” di papa Francesco sulla reale esistenza dell’inferno. Il dibattito, anche teologico, che ne è seguito, merita di uscire dalla contingenza della polemica che lo ha suscitato, e di essere meditato con maggiore rigore e pacatezza, lontano dalle polemiche giornalistiche e dalle opinioni, reali o presunte, dei singoli personaggi coinvolti. Se infatti la morte non è davvero l’ultima parola, la possibilità di perdersi, e di farlo per sempre, è un mistero impenetrabile, che non tollera banali semplificazioni, come quelle, uguali e contrarie, dell’inferno pieno e dell’inferno vuoto.

Ecco allora una prima certezza. Nessuno può davvero sapere se l’inferno di cui parla la dottrina della Chiesa sia “pieno” o “vuoto”, come dimostra la stessa Chiesa, che non ha mai osato affermare, di qualcuno in particolare, che si sia certamente dannato. Proprio per questo, tuttavia, è lecito sperare che, alla fine, tutti gli uomini siano salvati, e che nessuno finisca all’inferno per sempre. Una simile speranza è non soltanto lecita, ma anche cristianamente doverosa. Se è vero, infatti, che “Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi” (1 Tm 2-4; 2 Pt 3, 9), e se Gesù stesso ha invitato a chiedere al Padre Nostro che “sia fatta la sua volontà” (Mt 6, 10), allora sperare che ogni uomo sia salvato significa compiere un atto richiesto da Dio stesso. Dubitare che l’inferno sia pieno, insomma, lungi dall’essere un’eresia, equivale a una virtù teologale, a sperare cioè che, alla fine, la volontà salvifica di Dio prevalga sul peccato dell’uomo.

Una simile ipotesi, ci si potrebbe chiedere, non contraddice la Sacra Scrittura e la tradizione della Chiesa, in cui si parla apertamente, e innumerevoli volte, della dannazione eterna riservata al peccatore che rifiuta, fino all’ultimo, il perdono di Dio e la sua offerta di salvezza? Non necessariamente. Che la volontà salvifica di Dio possa infine prevalere sul peccato dell’uomo, e che dunque la “possibilità” dell’inferno eterno possa “non realizzarsi mai”, per nessun uomo, è un’ipotesi compatibile con la Scrittura e con la tradizione della Chiesa, a condizione che a certi passi biblici e a certe affermazioni dottrinali non si attribuisca il significato univoco e letterale che spesso, erroneamente, si attribuisce.

Una prima ambiguità da sciogliere, e sulla quale in questi giorni si è registrata parecchia confusione, riguarda la stessa esistenza dell’inferno. Che l’inferno “esista”, infatti, può significare almeno due cose:

  • che sia una realtà, e cioè che già ora c’è, con certezza, qualche anima umana dannata per sempre;
  • che sia una possibilità, che la Scrittura prospetta in funzione di ammonimento e di messa in guardia, ma che potrebbe anche non realizzarsi mai, per nessun uomo.

È significativo, per esempio, che anche papa Giovanni Paolo II, nel suo Varcare le soglie della speranza (Mondadori, Milano 1994, p. 202), abbia affermato che dello stesso Giuda non abbiamo alcuna certezza che sia all’inferno. In effetti, tutti i passi biblici in cui si parla della dannazione del malvagio, inclusi quelli del Vangelo in cui Gesù parla del “fuoco eterno” (Mt 25, 41), anche per il verbo al futuro che presentano, non descrivono necessariamente una situazione già realizzata o che si realizzerà certamente, avendo piuttosto una funzione pedagogica di “ammonimento” e di “appello alla responsabilità”, come ricorda anche il Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC, n. 1036). La prospettiva dell’inferno, in altri termini, può ben presentarsi, nella Scrittura e nella stessa predicazione della Chiesa, così come in tutta la storia della spiritualità cristiana, incluse le rivelazioni private e le testimonianze dei Santi, come un “pressante appello alla conversione” (CCC, n. 1036), che ricorda a ogni uomo il rischio di fallire l’unica vita che gli è concessa, cercando la felicità lì dove non potrà mai trovarla. L’inferno, insomma, sarebbe in quest’ottica più un deterrente per l’aldiqua che una sanzione per l’aldilà.

Pensare che tutti gli uomini possano salvarsi, si obietta, significherebbe arrogarsi un giudizio che spetta solamente a Dio. In realtà in questo caso non si tratta di affermare, con certezza, che tutti si salvino, ma di sperarlo. E questa speranza può riguardare tutti gli uomini perché non c’è alcuna certezza che anche uno solo di essi si sia dannato. Qualora si volesse invece dire che certamente ci sono già alcuni dannati, in quel caso sì, ci si arrogherebbe un giudizio che spetta solamente a Dio. L’onere della prova, in una discussione su questioni così chiaramente più grandi di noi, ricade insomma su chi, sostenendo che attualmente ci sono dei dannati, pretende di sapere più di quanto non ci è dato di sapere.

Anticipo, a conclusione di questa riflessione introduttiva, che nelle prossime puntate cercherò di mostrare che la speranza nella salvezza di tutti è tanto più plausibile quanto più inaccettabile risulta l’interpretazione “giuridica” della dannazione eterna, di cui fornirò, come si vedrà, una critica molto decisa. A tratti, questa critica potrà dare l’impressione di colpire la stessa dottrina cattolica, ma io credo che, alla fine, ne distrugga solo una cattiva interpretazione. E rimango convinto, in ogni caso, che la fede non abbia nulla da temere da un uso spregiudicato della nostra ragione, che Dio ci ha donato affinché la utilizzassimo. Con umiltà, certamente, ma anche senza paura.

Questo articolo fa parte della raccolta:

Le Lettere di Luciano Sesta – Inferno (1)| Una (prudente) ipotesi sulla possibile salvezza di tutti
Le Lettere di Luciano Sesta – Inferno (2)| La parabola di Lazzaro e del ricco
Le Lettere di Luciano Sesta – Inferno (3)| Si può rifiutare Dio?
Le Lettere di Luciano Sesta – Inferno (4)| Ci si può dannare liberamente?
Le Lettere di Luciano Sesta – Inferno (5)| Senza inferno tutto è permesso?

Luciano Sesta, sposato e padre di quattro bambini, è docente di Storia e Filosofia nei Licei Statali Insegna Antropologia filosofica e bioetica all’Università di Palermo, ed è stato membro dell’Ufficio della Pastorale della Cultura dell’Arcidiocesi di Palermo. Ha pubblicato numerosi saggi nell’ambito della teologia morale, della bioetica e dell’etica