Blog / M. Céline C. | 31 Marzo 2018

Le Lettere di Cèline C. – La Rocca dell’esistenza

Sono salita fin sulla Rocca, sull’eremo della mia esistenza e in preghiera cercavo di innalzarmi, cercavo di ascendere, di lasciare ai piedi del colle tutte le mie rovine, cercavo di svuotarmi per trovarTi, Gesù.
E nel buio della notte, quando il vento spegne l’ultima candela, quando neanche le mani possono più
proteggerla, non Ti trovavo e più mi sforzavo di cercarTi, più non Ti trovavo.
Tutto quello sforzo umano eppure Tu non c’eri.

Ma chi non c’era? Tu o io?

Poi una punta di dolore fisico mi ha risvegliata e unita, cuore a cuore, al tuo dolore e ho sentito i buchi nelle mani, nei piedi, gli sputi, l’aceto sulla lingua, le spine nella carne, le frustate ripetute in ogni brandello di vita, mia e degli amici, caricati in quella salita sulle mie spalle.

Ho cominciato a fare la strada col Cireneo. Gli ho chiesto se potevo dargli il cambio. Anch’io volevo portare quella croce pesante, anche se ero senza forze per il peso del dolore dei miei amici.
Per un solo motivo. Incrociare il Tuo sguardo nascosto tra i grumi di capelli impastati di sangue. Ho sentito le schegge della croce non levigata. Tavolacci grezzi accostati senza cura. Resti di un cantiere probabilmente.
Tra quelle schegge ho visto Te.

Non dovevo ascendere per trovarTi, dovevo fare la strada con Te.
Dovevo trovarTi riflesso negli occhi di tua madre, dovevo sentire le sue mani tremanti di paura, dolore, amore.
Come si fa a non fermarsi a consolare quella donna che restava là sotto con quell’infinito dolore, comunque composto, ma infinitamente solo?

Solo lei. L’unica persona al mondo ad aver creduto in Te al punto da lasciarti morire senza imprecare contro le guardie, senza chiedere di potersi inchiodare lei al posto Tuo su quella croce.

Un’altra madre lo avrebbe fatto, avrebbe ingaggiato una guerra, avrebbe denunciato l’ingiustizia. Lei no.

Lei sapeva solo accettare. Lei era nata per accettare. Lei sapeva solo continuare a vedere quello che aveva visto per trent’ anni di Te e di lei.

Lei aveva visto un angelo e aveva nutrito un cuore che si era presa tutto il suo cuore. Glielo avevi mangiato d’amore quel cuore, per trent’anni.

E quel cuore era proprio lì ora, innalzato sopra di lei, non era cambiato in tutto quel dolore, in tutta quell’ingiustizia.

Lei accettava perché vedeva il miracolo più grande di tutti. Il cuore del bimbo nella mangiatoia, del bimbo sottomesso alla tradizione della circoncisione, del bimbo ritrovato nel Tempio, del bimbo che aiutava mamma e papà, che consolava i piccoli amici, che con una carezza sapeva perdonare tutto il male subito, non era cambiato.
Lei lo vedeva così: crocifisso bambino, sì perché il cuore era ancora quello di un bambino.

Se non c’è peccato non c’è differenza tra il cuore di un bambino e il cuore di un uomo. E questo era chiaro per quella madre. Come faceva a denunciare? Aveva imparato solo il perdono da quel cuore bambino, per trent’anni, sempre e solo perdono.

Ecco come poteva stare lì.
Ecco perché io non potevo non abbracciare una mamma così.

Mi sono soffermata e abbiamo pianto insieme le lacrime dell’umanità intera.

Le mie lacrime, pensavo, non serviranno a nulla…non potranno mai consolare una solitudine così profonda da scavare la storia per oltre duemila anni…

Eppure Tu mi hai detto: “Le tue lacrime stanotte sono la mia speranza. Quella speranza che mi ha fatto andare fino alla fine….sì, perché Io sapevo che qualcuno, dopo, avrebbe creduto…lo sapevo anche se non vedevo…sapevo che era solo una questione di tempo…e Io l’ho sfidata l’incognita del tempo e quando nessuno si fidava di Me, Io sapevo che mi dovevo fidare di voi perché Mio Padre si fidava.”

Arrivata all’eremo, mi è stato chiaro: non serve ascendere per fidarsi così, quella fiducia è il frutto maturo di una croce piantata come un albero in mezzo al campo del nostro cuore.
Si trova nelle schegge di legno che ce la fanno rivivere ogni giorno, proprio quelle che ci fanno sentire il dolore più acuto, che ci fanno avere bisogno di lavare le Tue ferite provocate dalla nostra infedeltà.

La Tua schiena non ha un lembo di pelle intatto, è segnata dalle vergate della nostra poca fede, della nostra superbia, della nostra invidia, della nostra paura, della nostra miseria, della nostra fame di giustizia terrena.
Senza il dolore che tocco sulla Tua schiena e senza provare lo stesso dolore sulle mani che lavano la Tua schiena, non posso partecipare alla vita di Dio.

Dio ha provato dolore, un dolore grande quanto il dolore provato in tutti i tempi da tutti gli uomini della storia.
Fino alla fine ha sperato. Dalle nove del mattino alle tre del pomeriggio di quel venerdì. Sei ore di attesa che anche uno solo dicesse: “fermi, garantisco io per quest’uomo!”

Nessuno. Neanche i suoi.
Il Suo è stato il dolore del nostro silenzio.
Ha pesato più il silenzio degli spettatori e degli amici che la lancia nel costato.

Quella croce é piantata nel campo dei nostri silenzi come la memoria del dolore di Dio.

Quella croce ha creato un solco profondo nel cuore di Dio. Eppure, quel solco nel cuore di un Dio bambino è un solco d’aratro per la semina.
Le lacrime di Dio hanno irrigato i solchi dei nostri silenzi, le mani di Dio hanno coperto con cura i semi rimasti intatti… e questo si é trasformato in un frutto meraviglioso. Misericordia.

Stanotte mi hai insegnato che Ti trovo in tutte le pieghe delle Tue ferite sulla mia carne, mi hai insegnato con le Tue ferite che bisogna passarci in mezzo alle rovine dell’umanità, in mezzo alle rovine del nostro cuore, in mezzo al campo piantato di croci, in mezzo ai cuori lavati di sputi, per ritrovare la Tua fiducia.
Ho pianto per la tua fiducia. Ma quanta fiducia hai avuto, Gesù?
In quella fiducia ho capito cosa significhi Resurrezione.

Buona Pasqua

M. Céline C.

Nata in un piccolo paese, si trasferisce in diverse città d’Italia per studio e per lavoro. Da sempre amante dell’arte e della poesia. Moglie, madre, lavora in tutt’altro ambito ma prepotentemente la passione per la scrittura ogni tanto si riappropria di uno spazio importante. M.Céline C. ha un’autentica passione per le relazioni umane. Fondamentalmente disobbediente, diretta, schietta. I suoi brani mostrano sempre quella “sicura insicurezza” che da sempre sperimenta nella vita.