Le Lettere di Renato Pierri – Si rese conto Giovanni Paolo II del non senso della sofferenza?
«La Lettera Apostolica Salvifici doloris parla ampiamente di come Gesù stesso e poi gli Apostoli e tutta la Chiesa si siano sempre adoperati per alleviare, per quanto fosse possibile, le sofferenze fisiche o morali della gente […] ma sottolinea anche come la sofferenza che non si riuscisse ad alleviare completamente, non sia una sofferenza senza senso […] da cui liberarsi con ogni mezzo. Parlando in questi giorni di eutanasia, penso che sia importante non dimenticare queste riflessioni […] e noi cristiani non possiamo dimenticare che il valore salvifico della sofferenza può essere suggerito agli ammalati con delicatezza» (Don Sergio Fumagalli, sul blog “Come Gesù”). Può una persona colta, intelligente e magari anche buona scrivere cose del genere? Sì, perché credenze sbagliate, una fede sbagliata, possono portare ad un offuscamento della ragione. Basti pensare a Sant’Agostino che giustificava il ricorso alla violenza per indurre eretici e pagani ad entrare nella Chiesa. Semplicemente aveva mal interpretato un passo del vangelo. Giovanni Paolo II in quel documento scriveva assurdità. La sofferenza dei malati non ha mai senso. Alle volte è necessaria, la sofferenza, ma sempre che si può evitare non è solo un diritto evitarla, è anche un dovere. Ma ritengo inutile ogni spiegazione a riguardo. Ricordo solo che l’autore della Salvifici doloris, malato gravemente, non volle tornare al Policlinico Gemelli, e chiese che lo lasciassero “andare alla casa del Padre”. Si rese conto che la sua sofferenza era inutile, non salvifica (?) e sotto “l’ombra del non senso” (cfr Evangelium vitae n. 7)? Chissà.