Articoli / Blog | 08 Dicembre 2016

MIO n. 48/DON MAURO LEONARDI PARLA CON I LETTORI – Affrontiamo la malattia

Mauro Leonardi (Como 1959) è stato ordinato sacerdote dal 29 maggio 1988. Vive a Roma presso l’Elis centro di formazione per la gioventù lavoratrice accanto alla parrocchia di san Giovanni Battista in Collatino. È cappellano del Liceo dell’Accoglienza Safi Elis. Da anni pubblica racconti, articoli, saggi e romanzi. Scrive per Huffington Post, METRO e su ilsussidiario.net. Il suo blog Come Gesù è uno dei più seguiti su internet. Il compenso di questo numero va Il compenso di questa settimana va a un ragazzo di 14 anni che vive con la mamma disoccupata e due fratelli più grandi, uno dei quali uscito recentemente da una grave malattia. Il padre ha lasciato la famiglia quando il ragazzo era piccolissimo.
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Caro Don Mauro,
io e mio marito abbiamo assistito per molti mesi mia suocera malata terminale di cancro, pochi giorni fa è venuta a mancare. Dopo tanta sofferenza mi chiedo che senso abbia avuto sottoporla a cure che i medici stessi hanno definito palliative. Quando la medicina smette di essere utile e diventa accanimento terapeutico? Cosa è giusto secondo la morale cattolica, come dovremmo comportarci in queste circostanze? Eleonora, Roma

Secondo la morale cattolica non bisogna mai arrivare all’accanimento terapeutico. È possibile cioè arrivare a un momento oltre il quale si può decidere di sospendere ogni cura straordinaria: quelle che per un cattolico non possono mai essere sospese sono le cure ordinarie, come l’idratazione e la nutrizione artificiale. Forse ricorderai che Giovanni Paolo II morì a casa sua e non in ospedale: aveva deciso di non andarci proprio perché non voleva più cure straordinarie ma solo quelle palliative, che cioè eliminano il dolore.
Queste risposte, fredde e precise, so che arrivano fino ad un certo punto. Accanto al letto di chi mi è caro e a cui nessuna sedazione riesce a placare i dolori, io in cosa spero, a cosa spero, chi e cosa aspetto? Mi ricordo di una mamma a cui era morta una bimba di due anni consumata da una malattia devastante. Si sentiva in colpa di provare sollievo dopo la morte. Ma quello, le dissi, era il sollievo dalla malattia e dal dolore devastante. Era il sollievo di chi sapeva che la figlia era libera e in pace. Non le mancava la bimba ma tutto quel male. Ma per sentirlo davvero ci vuole tempo, tanto tempo.

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